Tregua. Questa è la parola che Laura ha tatuato sul polso, perché questa è la condizione a cui aspira: «Tregua dal dolore, dall'avanzare della malattia, da un corpo che non risponde più». Laura Santi ha 46 anni e la sclerosi multipla, che dai primi giorni del 2021 peggiora sempre di più «e d'improvviso scopri che non puoi più pettinarti o infilarti gli slip da sola». Nell'intervista che ha rilasciato a Repubblica dice: «Non voglio morire oggi e nemmeno domani. Anzi, se restassi così o se la malattia avesse una progressione lenta starei qui». Invece la sclerosi va veloce e allora lei vorrebbe poter dire: «Basta, vado via, aiutatemi a morire». Ma in Italia non è possibile; certo potrebbe andare a Zurigo, ma preferirebbe morire a casa sua, ed è per questo che è diventata testimonial del referendum per l'eutanasia legale.
Laura lo fa anche per gli altri che conosce o che ha conosciuto, che sono o che erano nella sua stessa condizione, che hanno sofferto sofferenze insopportabili. Gli altri di cui parla anche nel blog La vita possibile. «Il mio corpo è una prigione, è come se ogni mese perdessi un pezzo. Arriverà il giorno che non muoverò più nulla». Per adesso è felice, «posso ancora pensare e leggere, posso ancora stringere la mano del mio compagno Stefano, che ha un cuore grande, è un uomo forte, e sa che amare è anche lasciare andare». Lui c'è da 17 anni, la sclerosi da 25: «Gliene parlai dopo il primo bacio: peggiorerà, gli ho detto. Non è scappato».
Di banchetti per il referendum ne ho incontrati diversi in queste ultime settimane. Li ho osservati da lontano, ma alla fine non mi sono mai fermato per firmare. Quel pensiero lì che non ammetti ma che in fondo ti fa dare la priorità ad altro: non mi riguarda. Nessun problema né senso di colpa, ma la prossima volta mi fermo, la prossima volta firmo (si può fare anche online). Lo faccio per lei, per Laura, che se riesce a girarsi da sola di notte è contenta «come quando da ragazzina vincevo le gare di nuoto». Lo faccio perché per me è giusto così, perché se c'è chi si sente infelice o si incazza per cazzate, c'è chi invece è felice, come ha detto Laura, solo perché riesce ancora a pensare e a leggere. Pensare. E leggere. E stringere la mano del proprio compagno.
E no, nella mia scelta nulla c'entra la fede, il credere o non credere. C'entra l'empatia, c'entra l'umanità, che non credo siano concetti lontani dalla fede, oltretutto. C’entra la sofferenza che, come diceva Pavese, «soffrire non serve a niente» e sarebbe bello imparare le stesse cose anche senza. E poi c'entra l'amore, che a volte è saper lasciare andare sì, e c'entra un'idea di società e di libertà. Ecco perché andrò a firmare per il referendum a favore dell'eutanasia legale.