È stato definito “il disobbediente tranquillo”, ma nonostante la mitezza sta portando avanti alcune delle battaglie civili più importanti degli ultimi anni. Difficile tenere il conto. Per rimanere a quelle recenti, è stato assolto (insieme a Mina Welby) dall'accusa di assistenza al suicidio offerto a Davide Trentini, malato di Sla e morto in una clinica in Svizzera nel 2017. Una sentenza storica, che ora apre la strada al referendum per il diritto all’eutanasia. Nel frattempo, si sta spendendo nella campagna Stop Global Warming, con la raccolta firme per chiedere all’Europa di fermare il climate change spostando le tasse dal lavoro alla CO2, idea supportata da 27 premi Nobel e oltre 5mila scienziati. Come se non bastasse, ha avviato anche in Italia Politici per caso, comitato promotore di un nuovo strumento di governance democratica: le assemblee di cittadini estratte a sorte per discutere di temi importanti, visto che è convinto non basti più esprimersi soltanto alle urne a distanza di anni.
Tutto questo, Marco Cappato lo sta portando avanti senza ricoprire cariche istituzionali. Insomma, c’è vita oltre il Parlamento. E mentre tutti correvano a candidarsi, lui ha lasciato ogni carica rappresentativa e si è trasformato in un attivista puro attraverso l’associazione Luca Coscioni e il movimento Eumans ottenendo un risultato dopo l’altro. Lo abbiamo intervistato perché questo mese ricorrono due date importanti: il 19 maggio sono stati 5 anni dalla scomparsa di Marco Pannella, lo storico leader dei Radicali e suo padre spirituale. E oggi 25 maggio “Marco il Giovane” – com’era chiamato quando iniziò a farsi strada nel partito – compie 50 anni tondi tondi.
Cappato, partiamo dall’assoluzione di qualche giorno fa. Se la aspettava o ha temuto il peggio?
È stato un passo importante, più che per noi per tutti. Noi ci siamo autodenunciati, per cui non avevamo paura per l’esito finale. Però il precedente che è stato stabilito è che non è obbligatorio rimanere attaccati a una macchina per sopravvivere se non lo si ritiene più opportuno.
Ora sarà più facile arrivare a una legge sul diritto all’eutanasia?
È quello che vogliamo, ma il Parlamento avrebbe dovuto già rispondere alla Corte costituzionale che per due volte l’ha richiesta. Anche perché questa vicenda processuale è durata 4 anni e 9 udienze di tribunale fra primo e secondo grado. Non è immaginabile che un malato terminale debba ogni volta affrontare un iter così lungo. In assenza di una legge, attraverso il referendum vogliamo stabilire il principio fondamentale alla legalizzazione all’eutanasia.
Parallelamente sta portando avanti la campagna Stop Global Warming. Vi servono 1 milione di firme entro luglio. Perché è così importante anche per il nostro paese aderire?
Qui il problema è che, da un lato i governi sembrerebbero essersi resi conto della necessità di intervenire e sono stati fissati obiettivi molto ambiziosi sulla riduzione di emissioni di CO2 e sulla neutralità carbonica, ma quel che non è chiaro sono gli impegni vincolanti sul come arrivarci. Qui subentra la nostra proposta, cioè di far pagare un prezzo minimo per le emissioni, spostando le tasse dal lavoro, da tassare men, verso le emissioni da tassare sempre di più. Il tutto, utilizzando gli strumenti dell’economia di mercato per incentivare il risparmio energetico e l’uso di fonti rinnovabili.
Da qualche anno non fa più parte dei Radicali, non ricopre cariche elettive, non ha ruoli istituzionali. Ma chi è oggi Marco Cappato politicamente?
Faccio politica senza né elezioni né essere eletto da qualche parte, ma attivando gli strumenti della partecipazione civica e della non violenza. Non voglio ripudiare una storia o prendere le distanze dalle posizioni di questo o quel partito, semplicemente ritengo urgente oggi fare politica in modo diverso. Perché la politica elettorale è orientata al breve periodo, mentre i grandi problemi del nostro tempo, dai cambiamenti climatici alle conseguenze delle rivoluzioni digitale, scientifica e dell’intelligenza artificiale travalicano i confini degli stati nazionali e vanno governate con l’occhio al lungo periodo e non al consenso immediato del marketing della campagna elettorale. Sono quindi un attivista politico, con l’associazione Luca Coscioni e il movimento Eumans e utilizzo gli strumenti di partecipazione popolare.
La sanità è uno dei temi cardine, come ha dimostrato anche lei in alcune battaglie recenti. Ma lei ha fiducia nel ministro Speranza, che sulla pandemia è stato aspramente criticato?
Credo che sia difficile puntare il ditino di fronte a una tragedia enorme che nessuno aveva previsto. In realtà avrebbe dovuto esserci un piano prevenzione pandemica che molti governi precedenti non hanno mai rinnovato. Su quello c’è stata una responsabilità della politica. Oggi penso che il peggio sia stato dato nella gestione delle informazioni e dei dati. A 14 mesi di distanza non sono ancora stati messi a disposizione della comunità scientifica e sono ancora gestiti centralmente soltanto dal governo. Credo che diffonderli avrebbe contribuito positivamente sulle misure da prendere. E poi ci sarebbero le riforme…
A cosa si riferisce?
Le riforme strutturali più urgenti come sul potenziamento della ricerca scientifica e della medicina sul territorio, la telemedicina, la medicina a domicilio e l’assistenza psichiatrica, sulle quali purtroppo non mi sembra siano stati dati segnali concreti.
Mentre lei combatte battaglie su temi civili rischiando in prima persona e andando spesso e volentieri a processo, cosa prova a vedere Matteo Renzi che fa la spola tra l’Italia e l’Arabia Saudita e viene accusato di fare più gli interessi di un paese discutibile dal punto di vista dei diritti umani, rimanendo comunque senatore della Repubblica italiana?
In questi casi le regole sono più adeguate dei richiami alla moralità, perché se una commistione così forte tra interessi privati e ruoli istituzionali è possibile evidentemente è perché non si sono poste regole adeguate. Per esempio, per separare con un lasso di tempo adeguato l’assunzione di incarichi aziendali da ruoli politici. Renzi non è l’unico. Anche Minniti guida una Fondazione promossa da Leonardo e Padoan è entrato nel Cda di Unicredit. Per cui, invece di prendermela con il comportamento del singolo, sarebbe meglio avere delle norme che impediscono alla radice questo tipo di commistione di interessi.
Non mi dica che non le fa un certo effetto, quando entra in libreria, vedere l’autobiografia di Roberto Formigoni, proprio a lei che nel 2010 ne denunciò l’illegittimità di essere eletto per la quarta volta presidente della Lombardia…
Io con Formigoni ho vinto due cause per diffamazione con il pignoramento di una parte della sua liquidazione per avere ripagato il danno che non voleva pagare. Noi avevamo scoperto una truffa elettorale senza la quale non avrebbe potuto neanche candidarsi. Se la magistratura fosse intervenuta subito, non sarebbe diventato presidente per la quarta volta della regione Lombardia e gli avremmo evitato tanti guai. Su quell’ultimo mandato, infatti, si sono concentrate le inchieste e i processi per i quali è stato chiamato a pagare un pensante dazio. Di certo è una persona che ha esperienza e attraversato molte vicende interessanti, per cui non è un problema che abbia scritto un libro, ma che abbia potuto impunemente violare le leggi senza che le responsabilità siano state accertate in tempo utile.
Dopo il caso Palamara ogni giorni escono nuovi scandali che interessano la magistratura italiana. Ma si può ancora avere fiducia nella giustizia?
Bisogna vedere se si poteva già avere... Io non l’avevo già prima fiducia nel sistema giustizia. La maggior parte dei magistrati fanno un grande lavoro e mettono a rischio la propria incolumità, ma il sistema di governo della giustizia è gestito con logiche clientelari e spartitorie, questo da tempo. Il referendum di Enzo Tortora che chiedeva la responsabilità civile dei magistrati è degli anni ’80. E anche qui vale la stessa risposta per il conflitto di interessi: sono necessarie le regole. Non ci si può basare solo sui buoni magistrati. Il potere giudiziario oggi è fondamentalmente irresponsabile e governato da un sistema di correnti. Se non lo si aggredisce con responsabilità civile dei magistrati, con la separazione delle carriere e il rispetto dei diritti degli imputati e dei detenuti non si riforma la giustizia.
Il 19 maggio sono stati cinque anni della morte di Marco Pannella. Cosa le manca di più?
Pannella era riuscito a tenere insieme la lotta istituzionale con quella fuori dal palazzo, onorando le istituzioni ma attivando all’esterno tutti gli strumenti della non violenza politica. Credo sia l’insegnamento più forte che ha lasciato, perché è quello di cui ci sarebbe più bisogno oggi. Le istituzioni sono invece sempre più sconnesse dalla realtà e anche le organizzazioni sociali rinunciano troppo spesso a interagire con loro e con la politica. Questo impoverisce sia l’uno che l’altro fronte di iniziativa.
Invece lei, che al tempo dei Radicali veniva chiamato “Marco il Giovane”, oggi 25 maggio compie 50 anni. Con che spirito arriva a questa data?
È un’ottima data per scherzarci sopra con gli amici. Però non ha per me un particolare significato.
Il prossimo sogno di Marco Cappato?
Proprio in questi giorni abbiamo posto una nuova questione molto importante, che sta prendendo piede in altri paesi europei. Mi riferisco alle assemblee di cittadini estratti a sorte sui temi più importanti. Credo sia un contributo decisivo per uscire dalla trappola del consenso immediato nella quale è costretta la politica elettorale. Lo stiamo facendo con la proposta di legge PoliticiPerCaso.it e spero che presto otterremo questo risultato.