Il disastro della cabina della funivia precipitata a Stresa, con il suo portato di morte, ha sconvolto gli italiani. Vittorio Feltri però, a modo suo, vuole provare a tranquillizzare tutti, per quanto possibile: “È più facile tirare le cuoia – si legge nel suo editoriale su Libero – in auto, in moto o in bicicletta”, mentre in funivia gli incidenti sono “uno ogni trapasso di vescovo”.
Riguardo alla caduta costata la vita a quattordici persone, Feltri riconosce che “si è trattato di una grave disgrazia che allarma qualunque appassionato di escursioni in montagna. Ovvio. Non potrebbe essere diversamente, davanti alle catastrofi nessuno rimane indifferente”. Il fondatore del quotidiano di cui da pochissimo ha assunto la direzione Alessandro Sallusti vuole però esprimere una riflessione che si augura rasserenante: “Ogni giorno funzionano nella massima sicurezza decine, centinaia di mezzi che scorrono su corde di acciaio che ne reggono perfettamente il peso. Mi riferisco non soltanto alle funivie, anche alle seggiovie e perfino alle funicolari, che nella mia città di origine, Bergamo, sono addirittura due. Ebbene incidenti come quello tragico piemontese sono stati rari. In Italia si contano sulle dita di una mano. Pertanto coloro che abitualmente usufruiscono di determinati veicoli non devono fasciarsi la testa, è più facile tirare le cuoia in auto, in moto o in bicicletta che non in funivia, sulla quale i sinistri sono rari, anzi rarissimi, uno ogni trapasso di vescovo. Perciò il popolo continui pure a salire a bordo delle cabine che attraversano le vallate senza temere conseguenze disastrose”.
Lo stesso Feltri comunque si dice non particolarmente a proprio agio quando si tratta di staccarsi da terra. L’origine di questa sua idiosincrasia è da ricercarsi nel più grave incidente funiviario della storia italiana, quello avvenuto nel 1976 sul Cermis, in Trentino, che causò la morte di 42 persone (da non confondersi con ciò che avvenne sempre sul Cermis nel 1998, quando un aereo militare americano tranciò le funi del tronco inferiore della funivia durante un volo a bassa quota, facendo cadere una cabina con a bordo 20 persone, che morirono tutte): “Anche in quel caso – scrive Feltri riguardo all’episodio degli anni Settanta – accadde per motivi oscuri che la corda si spezzasse, forse per cattiva manutenzione, facendo precipitare nel burrone l’abitacolo che conteneva la bellezza di quaranta persone stipate. Un volo di oltre cinquanta metri a cui scampò solamente una ragazza di venti anni (quattordici, in verità, ndr), la quale se la cavò con varie fratture alle gambe. Per gli altri fu una ecatombe. Il Corriere della Sera, il mio giornale di allora, inviò me e un collega a Cavalese per raccontare la raccapricciante storia. Raggiunta la località in provincia di Trento, scendemmo nel burrone per dare una occhiata alla cabina, allo scopo di capire come si fosse ridotta dopo l’impatto con la terra. Ebbene, essa non era più alta di sessanta centimetri, completamente schiacciata su sé stessa, e al suo interno, letteralmente compressi come carne in scatola, erano deceduti coloro che trasportava, eccetto la menzionata fanciulla, miracolosamente salvatasi, benché ferita. Questa esperienza scioccante mi segnò al punto che non misi più piede né sedere su ciò che attraversa il cielo”.