Si comincia dal macro geopolitico per giungere al mini circoscrizionale, cioè a Giorgia Meloni. Bene, presto i russi, spettatori fedelissimi del Festival di Sanremo fin dal tempo di Breznev, si troveranno Zelensky all'Ariston. E sarà per tutti loro un duro colpo, un grande dolore politico al cuore della casalinga di Vladivostok. Nel frattempo, i settimanali per anime semplici e culturalmente approssimative, chiamati infine pomposamente “magazine”, adorano "Giorgia", “prima donna premier della storia d’Italia”. Poi, ancora di più, “mamma di una bimba di sei anni”, dettaglio che impone struggimento partecipe in chi legge. La presentano come orgoglio della Nazione e dell’impegno per la salvaguardia della natalità. Quanto al suo quotidiano politico marcatamente di destra-destra, osservano ogni cosa distrattamente, quasi fosse un dettaglio periferico: ministeriale, burocratico, notarile, catastale, cose ordinarie di Palazzo Chigi. Lei viene innanzitutto innalzata come donna, madre, amabilmente cristiana. Pensano forse di accreditarla e blandirla come “fidanzata d’Italia”. Sebbene lei, la loro nuova beniamina, sia già accasata, meglio, convivente. In un finora inedito “Italian Graffiti”, destinato appunto a un pubblico di lettrici e lettori decisamente, si è detto, cui è cara la semplificazione pop, pensierini da beauty-case. Meloni perfettina, anzi perfetta, ragazza invidiabile, “tosta”, Meloni pischella romana “che si è fatta interamente da sé”. Vuoi mettere in un mondo di raccomandati maschi voracissimi nelle faccende professionali, occupazionali? In questo ideale murales multiplo, ripeto, il dato politico resta sullo sfondo, del tutto irrilevante, inessenziale, sostituito da una narrazione da messa in piega, colpi di sole e ancora simpatia, caruccismo. Quanto alle possibili obiezioni sul suo retaggio subculturale: “… uffa, ancora co’ ‘sta storia der fascismo?”. Cancellata così in un istante la memoria privata e familiare, endemica, del regime che tocca la prima premier donna per storia personale da vicino, nonostante lei sia venuta al mondo a Ventennio già concluso. Poco importi che Giorgia un tempo, perfino con orgoglio, avrebbe assai probabilmente marciato in fila, appunto, tra le “Piccole” e poi le “Giovani italiane”, camicetta bianca e gonna nera, la “M” appuntata sul petto, mantellina altrettanto d’orbace nelle occorrenze invernali e piovose.
Rimosso ogni pregresso fantasmatico nero, di lei resta nient’altro che la leggenda famigliare al presente. Sì, un popolo già di eroi, poeti, santi, navigatori e, in prospettiva, di Primi Presidenti del Consiglio Donna come Giorgia. Un passo oltre le massaie rurali e, nel nostro caso, urbane, già residenti alla Garbatella, e le ragazze da caseggiato popolare, da “piccolo chalet gaio come te…”, recitava una canzone dei giorni del littorio. D’altronde, chi provi a ricordare le parole di plauso della giovane italiana Meloni per Mussolini, tra gli sbuffi, si sentirà ancora rispondere che lei, la Meloni, “uffa, è nata nel 1977”. Non c’è intervista a “Giorgia”, ed è il caso della più recente apparsa su “Donna moderna”, che ne ignori l’immagine domestica, nell’al di là dei gravosi impegni ufficiali, tra rappresentanza e protocollo. Semmai si fa caso alla sua cucina, ai suoi fornelli, ai suoi strofinacci, all’orologio dalle minacciose lancette pronte a ricordarle gli obblighi del ruolo lì sul muro, che tuttavia mai oscureranno l’amabile tazza di caffelatte e le merendine sul tavolo, le piccine cose di buon gusto piccolo borghese pronte per la sua “bimba”. Virtualmente, in questo quadretto da tinello edificante sembra di intuire una credenza - Liatorp o Hauga? - acquistata all’Ikea. Lei, dunque, come noi, Giorgia da immaginare alla Bufalotta, o magari laggiù all’Anagnina, a spingere il carrello insieme al suo “compagno”, Andrea Giambruno, fisico tonico consustanziale all’estetica da conduttore Mediaset, giacca abbottonata e niente barba, così come pretende il principale di Arcore dai ogni dipendente. La Meloni non certo come quell’altra, la “comunista” Anna Finocchiaro, che la spesa se la faceva reggere invece dagli agenti della scorta, addirittura tre.
In questo scenario a suo modo glamour, il Presidente Meloni si solleva infine come la Olivia Newton-John della destra già post fascista, assolta tra mille emoticon nel tempo della dimenticanza, nel Paese che mostra memoria da criceto. Un musical ideale che la mostra accanto, metti, a Ignazio La Russa e al cognato Francesco Lollobrigida: il partito e la famiglia di Giorgia, ancora una volta madre, italiana, romana, cristiana, caruccia… A debita distanza ormai, escluso quasi dal cast, l’uomo che l’ha creata politicamente, cioè il “gabbiano” Fabio Rampelli, suo commissario tecnico nel tempo in cui militava nel Fronte della Gioventù, nel “bunker” spettrale di Colle Oppio, luogo già di pertinenza dei mazzieri narrati dall’ex camerata Giulio Salierno in “Autobiografia di un picchiatore fascista”, gente titolata come Er Nerchia. Giorgia Meloni semmai tra i giovani quadri del post fascismo: Alleanza nazionale con il rimosso Gianfranco Fini, la Meloni giovanissimo ministro con Silvio Berlusconi, che, storia nota, ebbe modo di “sdoganare” i fasci perché chissenefrega dei trascorsi impresentabili, dai. Assai meglio, sempre nella narrazione da nuovo rotocalco, fare caso ancora alla madre, già autrice per bisogno di romanzi rosa, ed ecco giungere nel musical perfino Anna Paratore, fotografata accanto alla figlia che ha sfondato in politica, come una Sora Lella bonaria, merito tutto dei sacrifici e di un laborioso silenzio sul padre assente. Così sullo sfondo della Garbatella, storicamente quartiere popolare e antifascista, riconvertito nei titoli da cronaca rosa nella culla residenziale dei Meloni, rimuovendone ogni memoria resistenziale presidiata invece da un orribile monumento metallico che ne ricorda i partigiani in piazza delle Sette Chiese, non lontano dalla trattoria “Ar grottino der traslocatore”. Su tutto, come un angelo notarile, Bruno Vespa a benedire la sua leadership dal cielo di via Teulada.
La Meloni la cui “vita è diventata più frenetica, ma non meno entusiasmante. Più complicato riuscire a conciliare famiglia e lavoro, ma cerco di mettercela tutta per ritagliarmi più tempo possibile per stare con Ginevra. Ma ho la fortuna, che tantissimi altri genitori in Italia non hanno, di poter contare su diverse persone che mi danno una mano. Andrea è un padre straordinario, estremamente presente e attento. Poi ci sono mia sorella Arianna, i nonni di Ginevra, la mia assistente Patrizia che risolve mille problemi, la tata di Ginevra, Betty, che ormai è parte della famiglia”. La Meloni, parole sue, “dentro un grande frullatore”, e ancora Giorgia che fa “il possibile per accompagnare mia figlia a scuola, quando riesco, e per tornare a casa alla sera per metterla a dormire, come ho cercato di fare sempre. Leggerle i libri, giocare e parlare prima che si addormenti è la nostra tradizione. Per questo cerco di limitare al massimo le notti fuori casa”. Giorgia che “penso che la parità uomo-donna non si risolva dicendo insegnanta o capatrena”. Meloni a guardia e saluto alla bandiera del più banale senso comune d’ogni infelice condominio nazionale, come ha sostenuto un giovane consulente del suo governo, che ci vorrebbe, forse, tutti nuovamente in divisa di balilla moschettiere.