Ormai è qui, ci siamo. Tra poche ore, esattamente nella notte italiana fra sabato 28 e domenica 29 gennaio, inizierà la 36esima edizione della Royal Rumble, uno degli eventi che ha scritto la leggenda della WWE, World Wrestling Entertainment (dal 2011 è solo WWE, ma giusto per ricordarci per cosa stanno le iniziali). Un evento che sarà possibile seguire in diretta, dalle 2 di domenica, su Dmax. E se parliamo di wrestling, in Italia, i due nomi che spontaneamente ci saltano addosso, attaccandoci alla giugulare, sono quelli di Michele Posa e Luca Franchini, voci e volti storici che da quasi 23 anni accompagnano gli appassionati, evento dopo evento, brawl dopo brawl, alla scoperta del mondo ibrido, scintillante e dinamico del moderno wrestling. Nomi oggi associati, a loro volta, a quello di Warner Bros. Discovery, che dal 2020 detiene i diritti per la programmazione di punta della WWE, ogni settimana live e on demand sulla piattaforma discovery+ e in italiano su Dmax, canale 52 del digitale terrestre. Giusto per capire come e quando è possibile abbuffarsi di wrestling: in tv, su Dmax, ogni lunedì sera va in scena Raw (in replica sabato alle 10.30), ogni martedì sera c’è SmackDown (in replica domenica alle 10.30), e ogni sabato alle 12.30 vanno in onda gli highlights di NXT (in replica la domenica alle 9.30). Il tutto sempre condito dalla vivacità e dalla competenza del Bardo e Godzilla, ossia Posa e Franchini. Ma non è finita, perché poi c’è lo streaming su Discovery+: ogni lunedì notte l’appuntamento è con i live, direttamente dagli Stati Uniti, del Monday Night Raw. Il commento è in lingua originale. Quindi, ogni venerdì notte, live, il Friday Night SmackDown (commento sempre in lingua originale), e, ogni giovedì mattina, NXT, on demand immediatamente dopo la trasmissione live negli Stati Uniti. Per orientarci dentro le complessità del nuovo wrestling abbiamo intervistato proprio Michele Posa.
Michele, ma com’è che il vostro tag-team, quello composto da te e Frank, ancora funziona dopo tutti questi anni?
“Beh, l’alchimia è talmente forte che riusciamo anche a fare le telecronache in smart-working, senza vederci. Io riesco ad anticipare ciò che dirà Luca e viceversa. È la tecnica della mela morsicata: se io sto esprimendo un concetto e so che Luca può completarlo, così è. In questo modo tutto appare perfettamente accordato e naturale”.
Però negli anni il vostro linguaggio è cambiato.
“Perché sono cambiati i tempi, le regole. Il clima in cui viviamo. Nelle nostre fasce, oggi, un linguaggio troppo diretto, se non addirittura spinto, non è più necessario e opportuno. Siamo cambiati insieme ai tempi, tutto qua”.
Tempi che cambiano, appunto. Con una carriera, la tua, così legata al wrestling dell’era moderna, sei ancora in qualche modo legato al vecchio wrestling?
“Io nasco, all’inizio degli anni ottanta, come fan del wrestling giapponese. La filosofia della federazione nipponica ha sempre visto questa disciplina come “il re degli sport”. Prestazioni atletiche spaziali, quasi al limite dell’incredibile, per uno sportivo – il lottatore – che è il più completo in assoluto. Il wrestling giapponese ancora oggi, nonostante anch’esso viva di storie, tradimenti e fazioni, garantisce un intrattenimento sportivo meno hollywoodiano di quello proposto dalla WWE. Si tratta di un wrestling che però, nella versione americana, era troppo lento e statico. Oggi, nell’epoca della Crash TV, quel tipo di combattimento, per non perdere per strada eserciti di spettatori, ha dovuto farsi molto più dinamico e spettacolare”.
Manca pochissimo a una nuova edizione della Royal Rumble. Qualche indiscrezione in extremis?
“Nessuna news particolare”.
Eh, vabbè, ho capito. Sappiamo però, ad esempio, che è esclusa la partecipazione di Ronda Rousey.
“Diciamo che non è annunciata”.
Stiamo sulle eroine della WWE… Charlotte Flair: essere figlia di Ric è stata più una benedizione o una maledizione?
“Impossibile definirla una maledizione. Quando hai un padre che ha avuto un successo così grande, la tua corsia per irrompere nel circo del wrestling è per forza preferenziale. Charlotte ha avuto indubbi meriti, ma ha sfruttato una serie di privilegi che senza quel cognome forse le sarebbero stati preclusi. Ma non è una critica, sarebbe ingiusto imputare a lei il fatto di essere figlia d’arte quando tanti figli d’arte ci hanno provato e hanno combinato poco o nulla”.
Affondo il colpo, allora: il wrestling femminile sembra una grande opportunità, una fetta golosa della torta targata WWE, ma… C’è sempre un “ma”.
“Il wrestling femminile è ancora difficile da analizzare perché il wrestling, nonostante tutto, è ancora un affare per maschi. Il botteghino lo sbanchi con i combattimenti maschili, c’è poco da fare. Poi le cose, negli ultimi 10 anni, sono anche cambiate, eh. Si è passati dai match-spogliarello a match che nulla hanno da invidiare a quelli maschili, però aumentare il tempo televisivo dedicato ai match femminili non è semplice. Per avere un’offerta intrigante sulle ragazze dovresti ampliare il roster di atlete, ma più allarghi il roster più rischi di tenere ferme ai box alcune lottatrici. E poi non è facile trovare ragazze brave dentro il ring, ma anche capaci di esibirsi, recitare. Infine c’è un’altra questione delicata: i social”.
In che senso?
“Beh, una piattaforma come OnlyFans permette di monetizzare vendendo contenuti audaci. Vedi il caso Mandy Rose, recentemente licenziata dalla WWE per aver diffuso foto molto intime e provocanti su FanTime, che funziona grosso modo come OnlyFans. Se una lottatrice, come nel caso della Rose, è particolarmente piacevole, per lei può risultare più conveniente – e infinitamente meno rischioso – vendere foto osé su Internet anziché calcare un ring. Solo che questo alla WWE, comprensibilmente, va giù storto. La Federazione investe tempo televisivo prezioso su una ragazza che a un certo punto, del tutto legittimamente, può dire: “Ok, preferisco vendere foto e video”. Materiale non così sconveniente, magari, ma la WWE punta su un intrattenimento per famiglie. Le cose non possono stare insieme. Benché tutto legale, la WWE non potrebbe mai tollerare un titolo di giornale in cui si parla, che ne so, di “pornocampionessa”. Capisco anche l’atleta, che trova più semplice vendere la propria immagine piuttosto che rischiare di rompersi l’osso del collo, ma comprendo anche la Federazione, che non vuole investire invano”.
Prima citavi Hollywood. Per questa edizione della Royal Rumble si sono fatti i nomi di due colossi come The Rock e John Cena: qual è oggi il rapporto fra cinema e wrestling?
“È un rapporto sempre più stretto e intrigante, perché a Hollywood si sono accorti che il lottatore di wrestling è un professionista affidabile non solo per gli action movies. Pensiamo a Dave Bautista, forse il più sottovalutato fra i wrestler divenuti star del cinema: ha recitato anche in ruoli drammatici, non solo da “spacco tutto”. I wrestler oggi vantano capacità recitative acquisite sul campo ma, se serve, la capacità di cambiare registro. Edge al momento sta girando la serie “Percy Jackson”, per dire. Consideriamo le donne, poi: forti del loro background atletico, diventano attrici speciali. Che ci sia un interesse verso Becky Lynch, Alexa Bliss, Charlotte Flair medesima, è del tutto naturale”.
Il ritorno di Vince McMahon può fare ancora bene alla WWE o la sua, ormai, è una figura scomoda?
“McMahon è rientrato come azionista di maggioranza (detiene il potere di voto più alto: non ha la maggioranza delle azioni, ma ha le azioni più “pesanti”) per fare una verifica connessa alla vendita dei diritti televisivi americani, che scadono nel 2024. Dovrà sovrintendere a questa trattativa o capire se non sia addirittura più profittevole vendere l’intera federazione. Sta parlando con i grandi colossi finanziari, i fondi d’investimento: vi può interessare comprare la WWE?”.
Perché negli anni nessuno, nonostante i noti esperimenti, è mai riuscito a gettare le fondamenta per una federazione che potesse sempre – non solo per un determinato lasso di tempo – rivaleggiare con la WWE?
“Perché la WWE, sebbene negli anni ’90 abbia rischiato di finire fuori mercato, ha sempre giocato egregiamente su due fronti: il predominio geografico e quello culturale. Quello geografico altro non è che la diffusione capillare del brand (diritti televisivi, ma anche tour internazionali, provini fatti in tutto il mondo, dal Cile alla Nigeria), mentre la penetrazione della WWE nella cultura pop è qualcosa di emblematico: un ragazzino colleziona le action figures dei lottatori, ma anche le trading cards della WWE, gli zaini dedicati. La gente nei film trova uno come John Cena. Oggi la WWE vale l’84% dell’intero mondo del wrestling. Ne devono arrivare di unni e visigoti per far crollare un simile impero”.
Quindi quando si dice che il 2023 sarà un anno di svolta per il wrestling le ragioni risiedono soprattutto nelle sorti della WWE?
“Direi di sì. Il business più radicato al mondo potrebbe cambiare proprietari e le domande si moltiplicano: Vince McMahon rimarrà fuori dai nuovi quadri dirigenziali? I nuovi acquirenti che tipo di show proporranno? E Triple H come organizzerà la prossima edizione di Wrestlemania? Sarà la prima edizione che porterà la sua firma, dovrà mostrare coraggio, audacia. Triple H porterà Sami Zayn, acclamatissimo dal pubblico, sul ring di Wrestlemania, o tornerà al passato con un The Rock o uno “Stone Cold” Steve Austin? O addirittura sceglierà il mediatico Cody Rhodes? E poi, al momento, ci sono anche altre sigle che stanno lavorando bene, ciò significa che più gente si appassionerà al wrestling. DAZN ha annunciato l’altro giorno di aver chiuso un accordo con la AEW (All Elite Wrestling) su 40 Paesi nel mondo”.