Lo scorso giugno in Comune a Milano venne presentata una ricerca del dipartimento di Architettura e Studi urbani del Politecnico con un titolo drammatico: “Atlante dei morti e feriti gravi in bici”. Tra i dati resi noti, si spiegava come, dal 2014 a tutto il 2021, il 24,9% degli incidenti con ciclisti coinvolti in tutta Italia fosse avvenuto in Lombardia, con Milano a primeggiare. La morte di una ragazza di 28 anni, rimasta agganciata a un mezzo pesante lunedì, non ha fatto che confermare la tesi: è il quinto incidente mortale del 2023 a Milano con il coinvolgimento di un mezzo pesante e una persona in bicicletta come vittima. Moreno Moser, ex ciclista professionista, nazionale e bronzo europeo nel 2016 a cronometro, oggi commentatore per Eurosport, Milano da ciclista la conosce. E la teme.
Moser, com’è Milano vista dagli occhi di un ciclista?
Una follia. Ho girato più volte in bici per Milano e ho avuto perennemente la sensazione di essere in pericolo. Non sei mai al sicuro, anche se fai attenzione e guidi con mille occhi aperti. La verità è solo una: a Milano, da ciclista, alle macchine dai fastidio, a chi guida quasi non interessi. Nulla a che vedere con altre città, specie quelle nordeuropee.
Il motivo?
Semplicemente, Milano non è predisposta per chi usa la bicicletta. Non ha gli spazi di Amsterdam, per dirne una, né la sua struttura urbanistica che permette più ciclabili, che pure servirebbero: non si possono allargare le strade e buttare giù le case, quindi da questo punto di vista la soluzione è veramente difficile da trovare.
Servono leggi diverse?
So che da ottobre a Milano per alcune categorie di veicoli entrerà in vigore l’obbligo dei sensori per monitorare l’angolo cieco, ed è una cosa positiva. Ma di leggi a tutela dei ciclisti ne vedo poche: si parla di caschi, di assicurazioni, ma così passa l’idea che sia sempre colpa del ciclista, che sia sempre lui a sbagliare e sia sempre in mezzo. Il messaggio è che deve pensarci solo il ciclista alla sua sicurezza. Sa qual è la verità?.
Dica.
Che non c’è posto per noi ciclisti in Italia, sembra quasi che si vogliano combattere le biciclette. E c’è anche da chiarire alcuni aspetti, perché spesso se ne parla a sproposito: tra un ciclista che si allena e uno che circola per andare al lavoro c’è differenza. Sono aspetti che condividono il tasso di rischio, ma in modo diverso: cambiano necessità e pericoli.
Com’è la situazione di chi usa la bici come mezzo di trasporto?
Nei centri urbani è molto difficile. Torniamo al discorso di prima: non c’è rispetto per il ciclista, che è una persona, ed è folle. Nessuna tutela. E dire che se più persone utilizzassero bici e monopattini e circolassero meno auto una città come Milano sarebbe un paradiso.
E quella per chi si allena?
Non meno difficile, anche per i professionisti che fanno molta attenzione. Qualche settimana fa, a Trento, sono stato fermato dai vigili: volevano multarmi perché non ero sulla pista ciclabile. Ma mi stavo allenando, era evidente anche dal mio abbigliamento e dalla bicicletta che stavo usando, una bici da corsa: se io, in quei frangenti, vado su una ciclabile, soprattutto se mista ciclisti-pedoni, per ovvi motivi non posso che mettere in pericolo coloro che la frequentano. Manca la cultura della bicicletta e di questo tipo di mobilità.
Il codice della strada è autocentrico, il ciclista non piace...
A livello di narrazione, mi sembra che vada sempre peggio per chi usa la bici. Servirebbe che si parlasse di più del problema, e che se ne parlasse in altri termini: non possono essere sempre i ciclisti i colpevoli.