E niente oramai la Buchmesse è un trombodromo e fa strano che in un’epoca come questa, in cui i libri dovrebbero fare e dire ancora di più di quello che hanno fatto o detto finora (ma non ho l’impressione che abbiano fatto tanto, e mi sembra che abbiano funzionato soltanto i libri fanatico-religiosi) la Buchmesse che è e resta il più importante momento di incontro tra gli intellettuali (che brutta parola) di tutto il mondo si concentri soltanto sul commercio che tra le altre cose non si fa neanche più in Fiera perché dal Covid in poi i manoscritti si leggono via email per cui ci sarebbe davvero spazio per fare della Buchmesse un momento di autocoscienza mondiale del pensiero pensante (che brutta parola) e invece no. Si tromba.
Voglio dire, se neanche il premio Nobel della Letteratura di quest’anno si è fatto vedere – e pensare che era un appuntamento fisso, la proclamazione del Nobel per la Letteratura durante proprio la Buchmesse, ma invece oramai neanche questo – non vedo perché dovrei esserci io che infatti forse ci sono e forse no. Sono fatti miei. E quindi si tromba, si tromba negli alberghi, nelle case prese in affitto dove si stipano le stagiste (perché le case editrice dei cciofani per i cciofani sono piene di stagiste e non di stagiste, eh, che è questo sessismo, volete lasciare a bocca asciutta i froci?), si tromba dopo i party sempre più tristi perché si va solo per trombare e non hai nemmeno quella parentesi di una conversazione sull’Apocalisse in corso (che è quella vera e non una metafora) per la quale, poi, varrebbe la pena di sopportare quell’atto dovuto che è la trombata (il vero scrittore vuole parlare, trombare è una tassa che deve pagare, al contrario degli umani, ma questa edizione della buchmesse è piena di umani che non si vogliono togliere dai coglioni). E si tromba parecchio anche nei libri: mi mettono in mano schede e grafici e minne che parlano solo di “romantasy”, segnatevela questa parola, perché è la parola di questa edizione della fiera del libro di Francoforte: romantasy, ossia fantasy dove si ficca.

Oramai si ficca dovunque, persino nella mia amata distopia, che continuo a ritenere sia il vero neorealismo e invece no, anche lì devono rovinare la realtà con le ficcate. E l’horror? Vogliamo parlare dell’horror che è la vera cifra della nostra epoca? Si parla di “horrorance”, di horror romance, anche se non sono certo se questa parola l’ho sentita io o se me la sono inventata al terzo fin tonic al Frankfurther Hof per togliermi qualcuno o qualcosa che voleva fare sesso o una roba del genere e comunque alla mia domanda, urlata più che detta, “Perché La Materia E Non Il Nulla” ha sorriso come se fosse una battuta. Persino al The Palace, il bordello FKK dove si passeggia nudi con le troie che ti ronzano intorno nude è aria di Gaza, non ci sono più gli agenti e gli scrittori ebrei, perché nudi, gli ebrei, li riconoscevi subito e facevano capannello con le loro cappelle sguainate, trattando dei diritti dei migliori scrittori sulla piazza che per il novanta per cento continuano a essere ebrei anche se non si sono fatti sentire molto, ultimamente, esclusi i soliti. Vogliono romantasi e horrorance e uno ci prova a parlare di letteratura ebraica o palestinese ma quelli svoltano subito sui manuali di self help, che vanno fortissimo quando la gente non ci capisce più un cazzo e ha bisogno dei guru per insprare ed espirare e raggiungere nuovi stadi della consapevolezza e credo di avere detto a una troia, cioè a una sex worker, “fai bene a cercare nuovi stadi della consapevolezza visto che con la tua vecchia consapevolezza quello che sei riuscita a fare è cercare di succhiarmelo per 80 euro” e credo che si sia offesa, e invece secondo me era una frase molto romantica e letteraria e non capisco perché non si sia innamorata di me anche se non avrei saputo cosa farmene, ma sono una persona curiosa, di natura, proprio.

Per il resto è tutto booktok e bookstagram che non si capisce che siete venunti a fare qui non ce li avete i soldi per uno smartphone cinese e cercano di tirare fuori nuove categorie per cercare di giustificare le spese sulle carte di credito delle case editrici per cui si fa finta di parlare di epic fantasy (coglioni, tutti i fantasy sono epici) e stavo venendo alle mani con una inglese alta, lunga, cavallina, che mi sarebbe anche piaciuta se non avesse detto “escapist” e io le ho fatto “eh?” e lei, con quegli occhiali grandi anni settanta e la longuette di tweed e gli stivali e i capelli lisci biondi che credo sarebbe stata l’unica che avrei ribaltato a dovere mi spiega che “escapist” vuol dire letteratura d’evasione “tipo distopia, cose lontane dalla realtà di ogni giorno” così mi è venuto veramente, dal cuore e dalla minchia, dirle: “Sai cosa mi piacerebbe farti? Mi piacerebbe portarti in albergo, con la tua longuette di tweed, con i tuoi occhiali da cavalla, con i tuoi capelli da traino e poi farti roteare nella stanza mentre ti spiego che la distopia non escapa per un cazzo perché la distopia è neorealismo, è verismo, è Giovanni Verga (lei non sapeva manco chi minchia fosse) e poi ti lascerei così, buttata sul letto come una confezione di Happy Meals sbranata portandomi via la sorpresa e lasciandoti riflettere sui tuoi peccati”. Non vi dico come è andata a finire. Perché non vi meritate un cazzo, non vi meritate. Escapisti!
