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A tutte le Pamele di questo 2025 dedico queste poche righe: Leonardo Caffo scrive sull'ennesimo femminicidio. E parla di educazione (che non è quella sessuo-affettiva)

  • di Leonardo Caffo Leonardo Caffo

17 ottobre 2025

A tutte le Pamele di questo 2025 dedico queste poche righe: Leonardo Caffo scrive sull'ennesimo femminicidio. E parla di educazione (che non è quella sessuo-affettiva)
Pamela è morta, è l’ennesimo femminicidio quindi tutti, giornali, influencer e femministe da Instagram, si buttano sul cadavere e su questa storia per fare like, engagement e, spesso, anche propaganda di odio. Perché dietro la morte delle tante Pamele c’è anche una mostrificazione da social che porta a considerare tutti gli uomini un problema. Ma il maschilismo è diverso dal maschile, come spiega il filosofo Leonardo Caffo, che ha vissuto direttamente quello che definisce uno stato di confusione, ignoranza e censura sistematica, basata sull’ideologia (e poco studio)

di Leonardo Caffo Leonardo Caffo

“Dove ci sono caos e ignoranza”, chissà quanti ricordano questa storica frase con cui Vittorio Sgarbi diede la fiducia al governo Conte, “io prospero”. La notizia dell’omicidio di Pamela Genini è come sempre atroce, la sua vita spezzata dall’ennesimo imbecille è una ferita che brucia a qualsiasi persona ragionevole. La violenza, quella di genere come quella degenere in generale, fa inorridire chiunque non abbia il cemento al posto del cervello. Il problema politico, sociologico per così dire, sorge tuttavia altrove: ciò nel come vengono riportate le notizie, nell’uso che si fa di queste stesse notizie per “ordine del discorso”, dei fenomeni para-intellettuali che generano che permettono a persone come Carlotta Vagnoli di tirare a campare mentendo sui dati presi chissà come e da dove, facendo di tutta l’erba un fascio, rilasciando fantasiose interviste d’odio verso gli uomini su Sky, e via dicendo. Ora, posto che nessuno dotato di intelligenza minima di solito coincide con chi commenta i post di Instagram (io, che intelligente lo sono, di solito ho di meglio da fare), già sappiamo che c’è il rischio del tu quoque. Certo, proprio io quoque: di questa degenerazione – notiziaria (mi si passi il neologismo) ho sperimentato ogni forma e forza possibile: come da una tragedia concreta, la morte di una donna per mano di chi avrebbe dovuto amarla, si possa passare a considerare para-omicida chiunque abbia avuto un conflitto familiare, a generare condanne “per patriarcato” (la follia del diritto che passa da essere deontologia e diventa demagogia), oppure a osservare con candore come ogni quotidiano “spari a minchia” dati sui femminicidi italiani che sono 50 per questo, 70 per quell’altro, più di 100 per quell’altro ancora (c’è chi prende davvero i dati da “non una di meno” che somma a caso ogni morte femminile o non binaria)… in tutto ciò, paradossalmente, l’unica cosa che passa sotto sfondo e traccia è la forma di vita specifica da cui parte questo raggio di notizie, odio, stronzate, che è la forma di vita spezzata che in questo caso si chiamava “Pamela”.

L’Italia è da sempre un condominio di violenza: morti sul lavoro, madri che seppelliscono neonati vivi, uomini che uccidono donne (e viceversa), bombe che fanno esplodere auto di giornalisti, ma per ragioni complesse legate a un misto di bene e di male per qualche anno gli omicidi di donne hanno generato conseguenze più vaste e profonde su vari piani. Un piano ovvio, giornalistico, un piano meno ovvio, legislativo, e quello più decisamente giudiziario. Ognuno affronta i propri drammi, io i miei li devo affrontare in pubblico (perché chi dice che voleva tutelare la fragilità ha scelto di aprire porte che andrebbero chiuse ai cronisti), ma siccome sono un filosofo l’unica cosa che posso cercare di fare e di trarre luce concettuale nel buio del caos in cui sono precipitato: la morte di Pamela è una tragedia, ma altrettanto tragico è l’uso strumentale dei quotidiani di presunte emergenze inesistenti, la follia di codici rossi (Legge 69/2019 e le sue successive modifiche) che destituiscono di fondamento garantista il diritto italiano (le dichiarazioni diventano prove! Una follia di leggi non a caso volute a sinistre ma approvate da destra), l’incapacità di poter fare un dibattito disteso e sereno sul tema, la massa di cretine e cretini che campano su queste tragedie diffondendo paura e odio verso il genere maschile. E qui, forse, c’è il punto più sottile: aver smesso di distinguere il maschile dal maschilismo. 

Pamela Genini
Pamela Genini, uccisa da Gianluca Soncin

Leggevo una pessima intervista allo “scrittore” Francesco Pacifico sul fatto che ha paura del successo della moglie (cazzi tuoi Francesco, mi verrebbe da dire, io vorrei essere mantenuto), che i maschi sono da buttare nel cesso, che nutre erotismo solo per le femministe (lo ha detto e scritto davvero) e mi sono reso conto che oggi i maschi possono avere successo solo se rifiutano di esserlo, come di fatto succedeva alle donne fino agli anni ’70 del 1900. Il “maschile” è una polarità fondamentale del pensiero, nulla ha a che fare con la degenerazione patriarcale: i maschi non uccidono o maltrattano per statuto ontologico, come spesso ci fanno credere Vagnoli e colleghe, che sanno solo fare storie di Instagram denigranti, ma che in un dibattito serio durerebbero otto secondi di orologio; ma i maschi devono difendersi da quella che è diventata una degenerazione bella e buona del loro ruolo e percezione del mondo. Un maschio deve essere contro ciò che è successo a Pamela, allo schifo e e alla miseria di colui che si è permesso di ucciderla e che deve pagare per ciò che ha fatto, ma deve essere anche contro a chi descrive ogni appartenente al genere maschile come parte del problema. Quando sono stato investito dalla montagna di merda che mi ha riguardato ho trovato giornali, compreso quello in cui scrivo ora (ma che almeno ha il lusso della pluralità di pensiero), che hanno riportato insulti o cose peggiori da me mai dette, o che non riescono a spiegare alla loro popolazione di lettori analfabeti la differenza tra reati contro la famiglia e quelli contro la persona, le follie dei codici rossi su cui esiste già enorme letteratura giuridica, la presunzione di innocenza, il diritto di parola, i padri che faticano per affido dei figli, la non correlazione dei conflitti familiari con la necessità degli omicidi efferati, avvocate che strumentalizzano in penale questioni civili, cretine che usano a caso il termine “abuuuseeeer” per chiunque abbia fatto un rutto in cucina, ecc ecc.

Leonardo Caffo
Leonardo Caffo Ansa

E qui sta il problema: Instagram, e le sue deformazioni cognitive, sono costruire per semplificare e sono arrivate a condizionare anche le redazioni dei quotidiani: trovare colpevoli, e spesso il diritto si deforma su di esse, idem le persone che sparano a raffica su tutto e tutte vogliono solo dire: cattivi, violenti, schifo, mostro, puzzone, ecc. perché pensare non porta a soluzioni semplici. Pamela muore proprio perché abbiamo smesso di pensare, mi verrebbe da dire, e i dati restano stabili nonostante tutto perché poi scopriamo che Faneto fa schifo con la fidanzata ma invece che essere censurato come il sottoscritto diventa un meme virale di TikTok (e sale al milione su Spotify). E qui, ma questo porterebbe lontano, c’è anche lo scontro generazionale tra Millenial moralisti e Gen-z in preda a una de-generazione morale uguale e contraria: in mezzo, nel paradosso, quel pensiero maschile e non maschilista (erano quasi tutti omosessuali) che da Platone a Wittgenstein mi ha insegnato a vedere la luce nel buio del caos. Se facessi l’elenco di tutti coloro che mi hanno censurato, non pubblicato, non perché - cito - “fosse un problema pubblicare uno tecnicamente innocente, colto, preparato, intelligente” - ma per paura di “quattro imbecilli su Instagram” non basterebbero cento cartelle. Ma anche di ognuno di loro, a breve risolte questioni importanti, farò nomi, cognomi, e richiesta danni. E qui, secondo problema, se chi pensa viene censurato in favore di chi giudica moriranno centinaia di Pamele. Questa è la vera separazione delle carriere, quella tra chi pensa e chi scorreggia sui social. Io, mi so difendere, mi difenderò ancora, difenderò i miei diritti di intellettuale e di padre, davanti a quattro scemi che urlano di cose mai viste o che invitati in un podcast comune danno forfait perché sanno che verrebbero intellettualmente sbranati. Lo farò, e dovremmo farlo tutti, dicendo che chi uccide le donne deve pagare, ma che la prevenzione non è nello spiegare a scuola come si scopa o nel censurare chi pensa e viene accusato delle più fantasiose cose grazie a un codice che ci ha trasformati nel Venezuela, ma lasciando spiegare a me e a chi ha studiato per farlo come si pensa. E siccome, dove c’è ignoranza e caos tuttavia alla fine il pensiero prospera, c’è ancora speranza sia per evitare che la gente possa uccidere per possesso, sia che tanta gentaglia possa esserne felice per le proprie sterili battaglie di possesso like. Chi pensa non possiede nulla, a stento si possiede, e dunque non ha mai nulla da perdere (a tutte le Pamele di questo 2025 dedico queste poche righe).


*Il suo caso ha fatto molto discutere, soprattutto dopo un invito al festival letterario Più Libri più liberi, nel calendario curato da Chiara Valerio e di cui ci eravamo occupati per primi. Il filosofo è stato condannato per il reato 572 c.p (maltrattamenti in famiglia) in primo grado, ma attualmente sotto attesa di giudizio d’appello, dunque tecnicamente ancora estraneo al reato contestatogli. Nel frattempo, però, ha perso collaborazioni, contatti e inviti che lo hanno completamente isolato.

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