La giustizia, a volte, sembra un meccanismo inceppato, una vecchia bilancia che oscilla senza mai fermarsi, senza mai restituire una verità definitiva. Tre anni sono trascorsi dalla morte di Liliana Resinovich, eppure il suo caso è ancora un enigma avvolto nel silenzio. Il fratello della vittima, Sergio Resinovich, parla con “Giallo” e le sue parole sono impregnate di amarezza: «Certe volte penso che il caso di mia sorella sia stato abbandonato. Se ne parla tanto, ma non abbiamo ancora nessuna risposta, non sappiamo nulla delle indagini». La speranza, fragile e testarda, si aggrappa al filo sottile della nuova autopsia eseguita dalla dottoressa Cristina Cattaneo, ma il tempo scivola via come sabbia tra le dita, mentre l’assassino di Liliana, chiunque esso sia, resta libero.
Liliana scomparve il 14 dicembre 2021. Il suo corpo fu ritrovato tre settimane dopo, il 5 gennaio 2022, in un boschetto alla periferia di Trieste, avvolto in sacchi neri, con un cordino stretto attorno al collo. La prima conclusione fu sbrigativa: suicidio. Ma il giudice delle indagini preliminari respinse questa ipotesi, disponendo nuovi accertamenti. Venticinque punti di indagine, un elenco di cose da fare che avrebbe dovuto far luce sulla vicenda. Oggi, secondo quanto riferito da "Giallo", ben poco di quell’elenco è stato eseguito. «Sono stati fatti passi avanti? Cosa è stato fatto dei 25 punti elencati dal giudice un anno e mezzo fa?», si domanda Sergio. La risposta, purtroppo, è un inquietante punto di domanda.
![Sergio Resinovich](https://crm-img.stcrm.it/images/42464370/2000x/20250214-123729412-6841.jpg)
Eppure, di ombre e contraddizioni il caso è pieno. A partire dalle testimonianze. C’è quella di Jasmine Zivkovic, titolare di un albergo in cui Liliana e suo marito, Sebastiano Visintin, soggiornavano spesso. La donna, intervistata da "Giallo", raccontò episodi di tensione e violenza: «Una volta Liliana mi prese da parte e mi disse: “La prossima volta che Sebastiano prenota una stanza, tu dagli sempre quella con due letti singoli”». E ancora: «Una notte sentii Sebastiano urlare tantissimo. E un’altra volta lo vidi lanciare uno zaino ai piedi di sua moglie. Lei aveva le lacrime agli occhi, ma mi disse di non intervenire». (Fonte: Giallo)
Dopo la scomparsa di Liliana, la stessa Jasmine provò a parlare con Visintin: «Cercai di chiedergli qualcosa, ma lui mi disse di stare attenta a quello che dicevo». Perché questa donna, testimone di comportamenti aggressivi, non è mai stata ascoltata ufficialmente dagli inquirenti? Perché, nonostante la richiesta degli avvocati della famiglia, nessuno l’ha convocata?
Poi c’è la questione del cordino attorno al collo di Liliana e degli slip che indossava. Su entrambi sono state individuate tracce di Dna, ma i risultati degli esami non sono stati resi pubblici. Si sa solo che il confronto con i profili genetici del marito, dell’amante Claudio Sterpin e del vicino di casa Salvatore Nasti ha dato esito negativo. E il Dna del figlio di Visintin? E quello di Fulvio Covalero, amico della vittima? C'è stata un’analisi comparativa? Mistero.
L’ultimo giorno in cui Liliana fu vista viva è registrato dalle telecamere di videosorveglianza di Trieste. Le immagini la mostrano mentre butta via alcuni sacchi di spazzatura in via Damiano Chiesa e poi si dirige verso piazzale Gioberti, in direzione del boschetto dove sarebbe stata ritrovata. Ma quei filmati non sono chiari. La figura è sfocata, i dettagli indistinguibili. Era davvero Liliana? O qualcuno si è finto lei per sviare le indagini? Perché non è stata approfondita questa anomalia?
E poi ci sono i conti che non tornano, quelli materiali. La fede nuziale di Liliana fu ritrovata in casa, ma le versioni fornite dal marito sono state discordanti. Inoltre, è emerso che Visintin aveva una notevole disponibilità di contanti, di origine mai chiarita. E le registrazioni della GoPro installata sulla sua bici, quel 14 dicembre, sono state realmente analizzate in dettaglio?
![Sebastiano Visintin e Liliana Resinovich](https://crm-img.stcrm.it/images/42464382/2000x/20250214-124008031-4281.jpg)
Infine, resta il nodo del cellulare. I dati estratti dallo smartphone di Liliana e di coloro che le erano più vicini avrebbero potuto raccontare molto. Ma l’analisi, secondo quanto riferisce “Giallo”, non ha portato a nulla di significativo. Possibile che un telefono non lasci tracce di vita di una donna scomparsa nel nulla?
Sergio Resinovich non si dà pace: «Speriamo ancora nella giustizia», dice, tra rabbia e frustrazione. Perché, dopo tre anni, la verità è ancora sepolta sotto uno strato di indifferenza e burocrazia. E chi ha ucciso Liliana – perché di questo si è trattato, di un omicidio mascherato da suicidio – è ancora libero. In una Trieste che sembra aver dimenticato in fretta la donna dagli occhi tristi e dallo sguardo velato di paura.
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