A domanda risponde e stavolta, inevitabilmente, la domanda riguarda Sanremo. Così Aldo Cazzullo fa il punto per chi gli chiede conto non solo della qualità di questa edizione ma anche di alcuni degli artisti in gara, per esempio l’outsider Lucio Corsi. Così l’editorialista del Corriere: “È ormai qualche anno che non abbiamo grandi Sanremo. Non è certo colpa di Amadeus e di Carlo Conti, che sono quanto di meglio ha espresso l’intrattenimento tv degli ultimi anni (in attesa di De Martino). C’è sempre nella storia un momento in cui le muse tacciono, la sacra fonte Castalia si inaridisce, gli elfi abbandonano la Terra di Mezzo, gli dei non parlano più. E poi i giudizi sono sempre relativi. Nella tradizione ebraica, Dio dice a re Davide, fiero dei suoi salmi, che al suono della sua cetra preferisce il gracidio delle rane (una storia deliziosa su cui hanno scritto David Maria Turoldo e Gianfranco Ravasi)”. Cosa vuole dire con questo? Che lui, certa musica, non può farsela piacere a forza, perché c’è un ostacolo generazionale di mezzo: “È difficile oggi, almeno per uno della mia generazione, appassionarsi a questi trapper tatuati, a questi rapper delinquenti, a queste canzoni un po’ tutte uguali, anche perché sono scritte dalle stesse persone”. Il giudizio si allarga però anche a cantanti canonizzate come Giorgia, “lei meglio della canzone che porta”, e Gabbani, “come sempre orecchiabile, ma in passato ha fatto di meglio”. Mentre Corsi risulta forse un po’ la quota indipendente che fa sempre bene ma sta diventando fisiologica: “Con Volevo essere un duro ha l’effetto che ebbero Lodo Guenzi e Dargen D’Amico: la salutare increspatura nel vetro”.
![Lucio Corsi](https://crm-img.stcrm.it/images/42463037/2000x/20250214-104024773-3052.jpg)
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Sono due testi si salvano: “Quello di Brunori Sas, dedicato allo straniamento dei padri che non riconoscono più i figli: un’esperienza che abbiamo fatto tutti, l’adolescenza dei nostri ragazzi dura un centesimo di secondo, il tempo di distrarci dietro al lavoro e alla vita e loro sono già altrove, irriconoscibili”. E poi lui, ovviamente: “Il testo di Simone Cristicchi è di un altro pianeta. Non conosco una persona che l’abbia ascoltato senza commuoversi. Anche chi non ha avuto una mamma malata di Alzheimer non può restare insensibile di fronte a parole così dolci, così definitive, così dirette”. Elogio, quello per il cantautore, che non si ferma a questa unica prova di talento: “Cristicchi è un artista meraviglioso. I suoi spettacoli su san Francesco, sulla spedizione in Russia, sugli esuli istriani, giuliani e dalmati, sul trentatreesimo canto del Paradiso di Dante sono straordinari. ‘Per la società dei sani siamo sempre stati spazzatura/ questa è malattia mentale e non esiste cura’ è il verso più forte scritto da un italiano dai tempi di Povera patria di Franco Battiato e Com’è profondo il mare di Lucio Dalla”. È a questo punto che Cazzullo fa un pronostico per la serata cover: “Stasera nella serata delle cover canterà appunto una canzone di Battiato, La cura. Ci commuoverà ancora. E il festival, si sa, lo si vince nella serata delle cover. È sempre difficile pronosticare il vincitore finale. Ma se non vince Cristicchi, il festival, la Rai, la tv, la musica e tutti noi perdiamo qualcosa”.
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