Come oramai tutti ben sappiamo, "i vecchi sono rincoglioniti che si ostinano a rimanere attaccati alla vita" e gli andrebbe tolto il diritto di voto. Queste, in estrema sintesi, le dichiarazioni, tramite storie Instagram, della regina degli armadi Rock and Fiocc, al secolo Giulia Torelli, l'influencer diventata più virale dell'hashtag #Fascismo in seguito al vittoria di Giorgia Meloni alle ultime elezioni. Bene, dopo alcuni giorni di silenzio, mentre l'indignazione nei suoi confronti infiammava il web, la nostra è tornata a parlare dall'alto del proprio profilo. Su sfondo libreria che fa molto call via Zoom in pandemia (o rapimento coatto da parte di un bibliotecario), appare mesta ma determinata nello scusarsi per le sue ultime uscite e anche per alcuni errori del passato rivangati dai follower più attenti nelle scorse ore. Capo cosparso di cenere e classica espressione da pianto a secco di Uomini e Donne sul volto, Torelli legge di malavoglia cinque punti per mettere una pezza a quanto occorso. Non ci limiteremo a dire come e quanto tale pezza sia peggiore del buco. Ma vi condurremo anche in un breve viaggio tra i miracolati di Instagram. Perché, se è vero che c'è chi chiede clemenza per lei, è anche cristallino che fin troppe volte abbiamo visto queste social-star delirare salvo poi essere riaccolte dai cuoricioni dei follower (e dai dobloni degli sponsor). Provare empatia per l'influencer "che sbaglia" è una cagata pazzesca, guida pratica per cercare di imparare - davvero - dagli errori. Dai nostri errori.
Who the fuck is Rock and Fiocc? Che voi - compresa lei stessa - ci crediate o meno, al di fuori delle nostre bolle social sono in molti a domandarsi chi sia costei, dopo averne sentito parlare per la prima volta in vita negli ultimi giorni per via del famigerato gerontofobico video. La prima buona notizia, se non altro, è che a un'infinità di persone non freghi un cazzo di questa influentissima sconosciuta. Per tutti gli altri, veniamo alle sue scuse che partono con un capolavoro di maniavantismo che suona più o meno così: "sicuramente verrò criticata ancora per il modo in cui le sto facendo, i toni, l'espressione del viso, ma vi garantisco che le mie parole sono sincere". Bene, allora concentriamoci proprio su di loro, le parole.
Torelli dopo una novena di "mi dispiace", dice: "Dovrei aver imparato come si usano i social nel corso degli anni, ma troppo spesso sono impulsiva, ho toccato temi in maniere molto ignoranti. Ha ragione chi ha detto che non so usare questo mezzo in modo intelligente e proporzionato". Bene dai, fortuna che comunicare via Instagram non sia il suo lavoro. Terra a terra, è come se chiamaste un idraulico e lui vi si presentasse in casa dicendo che, nonostante la sua lunga esperienza nel campo, purtroppo non ha ancora capito bene come si sturino i lavandini. Oh, lui ci prova, comunque. E al termine dell'intervento, vada come vada, dovrà essere pagato. Perché è proprio questo il punto: gli influencer non sono solo faccette carine circondate da fiorellini che spandono sul web amore per il prossimo, tisane detox e grandi ideali in cui riconoscersi. Essi campano di quel che dicono. E convertono i nostri follow in dobloni d'oro.
Sorvolando sul resto dell'excusatio in cui Torelli fa scendere in campo anche la proria pora manager, appena diventata mamma, che pare sia rimasta malissimo dalla shitstorm contro la sua cliente (mentre mille violini suonano nel vento), non perdiamo di vista il cuore della faccenda: non la visibilità, i soldi. Chi lavora nel campo dell'influencer marketing lo sa bene: esiste un tariffario per ogni azione (in gergo tecnico, "attivazione") di chi è più seguito su Instagram. Per quindici secondi di storia (con marchetta prodotto), il più "sfigato" da magari 100K si vede recapitare dai cinquemila euro in su. Sostanzialmente cinque mesi di lavoro di un comune mortale. Comune mortale che, però, quando sbaglia (a volte non è nemmeno necessario che lo faccia, basta un'improvvisa esigenza di tagli al personale dall'alto) paga le conseguenze per il proprio errore. Viene crocifisso in sala mensa, subisce mobbing, gli arriva una lettera di licenziamento. Ebbene, perché, invece, gli influencer, oltre a godere del privilegio di campar ciarlando, non subiscono mai il rovescio della medaglia?
"Tutti sbagliamo", twittano orde di ruffiani, "non è giusto giudicare una persona solo per una brutta uscita". Perché questi cortigiani si agitano tanto per difendere 'sta Rock and Fiocc? Perché sanno come funziona: dopo una settimana (o forse due) di "Shame! Shame! Shame!", la nostra tornerà a essere l'amatissima dea del decluttering, seguita da centinaia di migliaia di persone e contattata dalle più prestigiose riviste patinate avide di conoscere la sua storia di successo. E allo stesso modo, anche i brand torneranno ad aprire i loro portafogli in suo favore. Non conviene, nemmeno se non soprattutto, in questo momento scrivere contro di lei. Altrimenti te lo sogni l'invito al prossimo evento super exclusive con photo opportunity al party milanese del mese prossimo venturo. Save the date, non la faccia. Com'è possibile che cotanta indignazione non porti a conseguenze effettive, se non per un brevissimo periodo di tempo? Due sono gli ingredienti principali: memoria corta e stupidità estrema. Da parte nostra, s'intende. Non loro.
Ed eccolo qui, allora, l'irresistibile @Iconize (al secolo Marco Ferrero) vivere al massimo alle Maldive, dall'alto dei suoi quasi 500K, nonostante quel fattaccio del 2020 quando aveva finto un'aggressione omofoba ai propri danni. Il giovane influencer aveva postato il proprio volto tumefatto su Instagram, denunciando l'accaduto. Accaduto che, poco tempo dopo, si era rivelato molto diverso da quanto strombazzato in pubblica piazza (e anche in tv da Barbara d'Urso): il nostro eroe si era picchiato da solo, colpensodi in faccia con un surgelato per poi mettere in scena il piagnisteo e surfare l'onda rainbow che è tanto trend. Conseguenze: una settimana di detox da Instagram per "riflettere sul suo rapporto con i social", un video di scuse e abracadabra oggi è ancora tra gli influencer più pagati e adorati. Inoltre, non ha sostanzialmente smesso, salve qualche mal di pancia iniziale, di essere convocato a panel e conferenze su temi LGBTQIA+. Siamo forse deficienti? Sì.
Ma non è il solo. Come non citare l'enfant prodige Imen Jane, l'esperta di economia diventata influencer proprio grazie alla sua ostentata laurea in Bocconi. Fu il sito Dagospia a lanciare lo scoop. La ragazza stava sì studiando presso quell'Ateneo, ma non era ancora arrivata all'alloro. Una balla bella e buona, seguita dal solito video di scuse. Se al tempo dello scandalo, anno del Signore 2020, la nostra era venerata, tanto da essere invitata perfino alla Casa Bianca, per il proprio sapere in fatto di numeri, oggi lo è ancora. Ed è rimasta, nonostante a merdone scoppiato avesse detto di volersi ritirare, fondatrice e CEO di @Will_ita, pagina d'informazione che ha il nobile scopo di rimettere le fondamenta per un giornalismo più credibile. Siamo forse deficienti? Sì.
Se questo gigantesco errore del Matrix è successo e continua a ripetersi, un problema c'è. E siamo noi. Un tempo, si decretava il trionfo o il fallimento di un programma tv attraverso l'uso di uno strano fossile chiamato "telecomando". Oggi, possiamo fare lo stesso con gli influencer tramite i nostri modernissimi smartphone. La questione non è se esercitare o meno clemenza nei confronti della singola Rock and Fiocc, con tutto il bene, chissenefottetuttoattaccatodiRockandFiocc. La questione è vedere il meccanismo, averne coscienza e decidere, pillola rossa-pillola blu, se ci sta bene oppure no. A noi la scelta, anche perché come Wanna Marchi insegna: "I coglioni vanno inculati, casso!". Chapeau.