I dolori del giovane Rocco. Supersex, la serie Netflix ispirata alla vita di Siffredi, pare una qualunque fiction-santino Rai ispirata a qualche santa santa santa anima pia vissuta tra noi decenni o secoli addietro. Il re del porno, interpretato da Alessandro Borghi purtroppo coinvolto in cotanto sciagurato progetto, viene mostrato prima di tutto come un bambino insicuro in quel di Ortona: "Contavo fino a dieci, ma mamma non si girava mai per guardarmi". Questa una delle prime battute del pargolo che suona già come sempliciotta "giustificazione" al futuro che si sceglierà da grande: un giorno vorrà farsele tutte per compensare quel mancato sguardo materno. E Freud muto. Il protagonista è descritto, fin da piccolo, come un Sartre in erba, schivo e intellettuale assai, capace di fare monologhi filosofici riguardo al proprio ombelico con la dialettica di Hegel e la profondità di Montale. Un intellettuale, un poeta, chissà, forse Gesù. Inutile girarci intorno: l'unico motivo per cui sottoporsi a siffatto ammontare di frottole, è l'idea che, prima o dopo, ammireremo il cazzo di Borghi. E infatti, in un paio di scene, esso si manifesta. In tutta la sua prepotente possenza. Prepotente possenza di cui, però, Il Fatto Quotidiano, nella penna di Davide Turrini, non si mostra certissimo. Il giornalista, infatti, verga: "Vediamo un coso, una specie di protesi". L'attore aveva assicurato di avere recitato au naturel financo le scene di nudo, prendendosi pure tanti complimenti da parte dell'originale. Dunque, il cazzo di Borghi in Supersex è un pacco oppure no?
"Non ho usato nessun tipo di protesi perché io sono a posto con il mio corpo. Ho imparato che a volte mi piaccio di meno, a volte di più. Magari ci sarà il rischio... di che cosa? Un confronto con Rocco? Ma noi non abbiamo fatto né un film porno né una serie porno, non è quello il fulcro del nostro racconto". Così Alessandro Borghi a Repubblica, l'attore che un giorno tiene la Tourette e quello dopo sta a posto con se stesso. A seconda di ciò che tiene da smarchettare, insomma. Ma questo è il marketing, bellezza, mica gliene possiamo fare una colpa. Il punto vero è: perché mentire? Come ben dice l'interprete, non esisteva tema di "confronto", non doveva girare un porno. Aggiungeremmo solo, purtroppo. Purtroppo perché le otto puntate di Supersex sono di una noia mortale. Gli anni Ottanta e Novanta vengono descritti, anzi, riscritti con lo sguardo, con ogni evidenza scemo, del 2024. Non mancano perfino istanze femministe che vanno a rimbrottare l'attore per la sua condotta sul set. Un personaggio, per esempio, l'eterna "bona del paesello" interpretata da Jasmine Trinca, va a tirargli le orecchie per minuti 15 dopo la famigerata scena di violentissimo sesso al cesso con tiro di sciacquone. Va bene "ispirarsi" ai fatti, ma escludiamo che, al tempo, ci possa essere stata mai una "sensibilità" del genere. O che Rocco Siffredi abbia potuto sviluppare brucianti sensi di colpa in proposito. Il nostro si divertiva. E invece, qui, nella serie, sta costantemente a un passo dal cilicio, dall'autoflagellazione per i propri peccati. Ma per cortesia.
Se vi aspettate, poi, di vedere Borghi-Siffredi protagonista assoluto della serie, rimarrete, un'altra volta delusi. In ogni puntata, tocca subire almeno 20 minuti di screentime di Adriano Giannini, nel ruolo di Tommaso, il fratellastro bello e scapestrato di Rocco. Ne derivano lunghissimi e totalmente inutili excursus ambientati a Parigi dove il personaggio è andato a vivere non sentendosi accettato dalla famiglia, come dalla stessa Ortona. E così la serie si tinge di crime, con picchi di surrealtà che avremmo preferito gustarci, magari, sui set o nella vita del Rocco nazionale. Invece niente, le prostitute a Pigalle, i debiti coi corsi, qualche rissa a coltello, pare tutta un'altra storia. Ma chissenefrega?
Rendere Siffredi noioso era impresa titanica, Supersex ci riesce perché mischia l'ottuso sguardo odierno del politicamente corretto con il solito bigottismo all'italiana. Partendo, come già abbiamo scritto in apertura, dal fatto che fosse necessario rintracciare una giustificazione intima, psicologica alla scelta del lavoro che il protagonista andrà a fare nella vita: mammà da bimbo non lo guardava abbastanza. Porello. Da lì, un'esistenza piena di sofferenze, amori non corrisposti, il terrore di non poter conciliare mestiere e famiglia, tutti che sognano di essere lui e lui che ambirebbe solo a essere un impiegato qualunque che rientra in casa alle 19 trovando cena pronta e bambini possibilmente a letto, già "mangiati". Rocco piangina proprio non lo meritavamo. Almeno, però, avremmo meritato di vedere il cazzo di Borghi. Ma, forse, pure quello è stata una sòla. Che mestizia.