«Vivo in macchina. Se avete bisogno di fare la spesa io ve la faccio e ve la porto a casa per uno o due euro (quello che potete). Sono anche un amante dei cani e se vi può far piacere porto il vostro amico a quattro zampe a fare i bisogni. E un bel giretto. Naturalmente col sacchetto per raccogliere la cacca. Spero di conoscervi e di esservi utile. Grazie. Giuliano». È il biglietto di un uomo che vive vicino piazza Navona, a Roma. Non ha più nulla e chiede pochi spicci. Si vergogna di fare semplice elemosina, così come si vergogna di andare alla Caritas per mangiare. Guarda film al telefono dentro la sua Lancia grigia, che sembra troppo piccola per racchiudere l’intera vita di un uomo. Ma è il prezzo del rischio, almeno nella nostra società. Giuliano è stato un manager di un’azienda che forniva acqua ed energia. «Avevo una famiglia e con mia moglie abbiamo due bambini. Poi il terremoto. Sono finito tra gli accusati di un giro di tangenti di cui non ho mai saputo nulla, ho provato a difendermi ma non c'è stato verso. Sono stato licenziato. Anche mia moglie non ci poteva credere. Poi sono scivolato in una spirale depressiva e ho perso anche mia moglie. Ora vivo qui, questa macchina è tutto quello che ho. Grazie del suo interessamento, ma non voglio niente». La storia di tanti che sprofondano nella spirale della disoccupazione, della depressione, e infine della solitudine.
Vive stipato in un auto e non chiede niente. Quando il giornalista di «Repubblica» che lo ha intervistato, ha provato a bussargli al finestrino e lui ha risposto: «Guardi che non voglio niente. Se le do fastidio mi sposto, ma non attacchi con la carità che a me non serve la compassione di nessuno». Un senso del pudore – e forse una scorza dura per provare a digerire quella condizione – che lo tiene incollato al film, nell’auto insieme a una vita passata ad arrivare in cima e, proprio per questo, ora in caduta libera. Cosa gli resta? La sua auto, nulla di più. La sua auto e un senso radicale dell’intraprendenza che lo ha portato a diventare manager un tempo e, oggi, a non accettare soldi se non in cambio di qualche lavoretto occasionale. Anche per tenersi occupati. Si tratta di un cinquantenne della classe media, altamente istruito. «Ho due lauree». Ma non è bastato. I ritmi di lavoro lo hanno costretto a trascurare la famiglia, che ora lo ha abbandonato: «Pure mia moglie prima di lasciarmi mi ha accusato di essere stato un padre assente e aveva ragione, ma lavoravo dodici ore al giorno e avevo poco tempo per i bambini». Oltre il danno, la beffa. Non solo è costretto a vivere in macchina, ma non ha un attimo di pace. «In auto mi devo spostare sennò i vigili mi fanno la multa». La multa. A un senzatetto. E nonostante questo continua a vivere con dignità stoica, quella rara virtù che ti porti dentro qualunque sia il destino che ti attende. Lo fa parlando con gli altri in difficoltà come lui e cercando sempre quel poco necessario a mangiare. «Io chiedo poco, perché mi basta poco per vivere. Per sopravvivere». È lui a dirlo, poco prima di risalire in auto, forse per riprendere il filo di un altro film.