Uscite dalle città, abbandonate i macchinoni scintillanti delle pubblicità, dimenticatevi il trasporto pubblico. Ecco, siete in provincia.
Troverete: stradoni di cemento sotto un sole nucleare attraversati da anziani claudicanti con la bocca spalancata e i loro carrellini; uomini e donne contromano nei piccoli borghi medievali e voi che schivate il frontale, se suonate il clacson vi mandano pure a farvi benedire; Centri commerciali spianati di luce accecante e cespugli di erba che crescono nei crateri di asfalto spaccato. L’unico modo per uscire salvi da questo dedalo di tranelli è un mezzo di trasporto, ovvero un’auto. In provincia senza una macchina sei finito.
E se non te la puoi permettere una macchina nuova? Se il finanziamento non te lo danno? Se non capisci di motori e non sai effettuare piccole riparazioni o smascherare sole? Compri una macchina pacco. Oppure fai come me e ti prendi una Panda del 1999.
La mia vecchia macchina si chiamava Ground Zero (battezzata sarcasticamente così perché era del 2001, l’anno funesto per l’occidente e onomatopeicamente richiamava il crollo velocissimo delle torri) e mi ha lasciato a piedi di punto in bianco. Non avevo ne’ tempo ne’ soldi per comprarne una nuova e il mio meccanico mi ha detto: ho quello che fa per te.
Ecco la Panda di una signora di novant’anni piena di Ovunque Proteggi, Padre Pio e madonnine. C’è anche un rosario sul retrovisore, ce l’ho lasciato tipo amuleto.
Per il resto: verde pisello allucinogeno, 1000 di cilindrata, mille e duecento euro in nero chiavi in mano con revisione, tagliando, gomme nuove, batteria, trasmissione etc. Non so cosa sia la trasmissione ma ok. Ha più di vent’anni quindi la posso rendere macchina d’epoca. Pago metà bollo, ma per l’assicurazione lo Stato si è fatto furbo e ha alzato l’età per classificarla d’epoca a trent’anni invece che venti. Altrimenti avrei pagato una sciocchezza.
Avevo già avuto una Panda 750 a vent’anni e appena sono montato nella mia nuova macchina ho sentito lo stesso odore. È odore di ingegno italiano dei tempi andati, di tappezzerie che durano nel tempo, di materiali plastici affidabili, di Termini Imerese e avvocato Agnelli che se le faceva costruire su misura. L’abitacolo è fantastico. Somiglia più a un modulo lunare russo degli anni settanta che a un mezzo moderno e questo mi da un senso di sicurezza e protezione. Visuale perfetta su ogni fronte! Le macchine di oggi con le loro plance, le telecamere retrovisori e i sedili alti, sono cieche se non per fare i rettilinei. Ferro e vetro, poca plastica, poi ancora ferro. In una Smart non mi sento protetto, nel Pandino si.
Non ha il servosterzo, così come gli alzacristalli elettrici, quando spegni il motore senti l’odore di benzina e il cruscotto è pieno di pulsanti che devi davvero premere per mettere in funzione qualcosa. Tipo il pannello di controllo di un elicottero.
Sulle strade di paese i vecchi al bar mi guardano incuriositi, come a dire: e questo come si permette di far finta di essere uno di noi? Questa è una macchina per cacciatori, contadini, gente che fa lavori manuali. Ormai qui spopolano quelle maledette macchine tonde giocattolo che vendono a tutti. Oppure quelle culone giganti come la Dacia Duster che ostruiscono la visuale e permettono al guidatore di andare a trenta all’ora e spippolare al cellulare. Tanto sta guidando un divano, ha il culo sul divano, è dentro un bombolone tondo, che gli frega?
Col Pandino invece senti ogni marcia, ogni scossa, ogni buca. Quando i trentadue cavalli sono al massimo e sei in autostrada ti senti come Michael J. Fox che fa il dirizzone di Ritorno al Futuro e si prepara al salto temporale. In salita hai un trattorino che non si arrende mai, in discesa diventi aerodinamico e voli. Se picchi in un muretto sei protetto su ogni lato da paraurti in plastica. L’ha disegnata Giugiaro. Non Mr. Bombolone re delle macchine Tonde. Il pandino è forgiato nel concetto del quadrato, della spigolatura anni 80, eppure è aerodinamico, infallibile, corazzato.
Guidarla, con tutti i suoi limiti, è un esercizio spirituale. Ti ricorda perché la chiamiamo “macchina”. È davvero uno strumento al tuo servizio, fa solo quello che tu gli dici di fare. No Cruise Control, no airbag di serie, no bluetooth, no comandi vocali, no macchina di Google che si guida da sola.
Più che una macchina il Pandino è un esercizio spirituale. Funziona come nei percorsi di iniziazione, come essere da Pai Mei in Kill Bill per imparare il kung fu: ti viene tolto tutto. Parti dalle basi, in un mondo in cui tutto è comodo e superaccessoriato e alla portata di tutti. Solo per sottrazione impari a sentire il motore, prendi il controllo del mezzo, sai quello che fai. Quando ci sono quaranta gradi e vuoi aprire il finestrino del passeggero, devi sporgerti e sdraiarti. Ah dimenticavo, se ribalti i sedili il pandino può diventare una piccola amaca per bambini, oppure un letto a una piazza e mezzo. Merito di un epoca in cui si facevano le macchine per degli scopi pratici, non per simulare un videogame e creare pubblicità in cui ti dicono: sei un figo solo se compri quest’auto.
Con il Pandino sei un figo vero.
I giovani ti guardano basiti, le donne ci salgono come se fosse una piccola avventura e i vecchi ti considerano un bro. E tu, guardi i bomboloni tondi che infestano le strade e ti senti che stai guidando una vera fuoriclasse.