Donato Bilancia è morto a 69 anni, al carcere Due Palazzi di Padova. 17 omicidi, 13 ergastoli e 28 anni da scontare in cella fanno di lui il serial killer più letale che il nostro paese ricordi, tanto da essere tristemente noto anche all’estero. La sua è una storia di abusi, di vergogna e frustrazione, ma anche di scelte sbagliate e gioco d’azzardo.
Bilancia si faceva chiamare Walter perché non sopportava il suo nome di battesimo, Donato, scelto da quei genitori che spesso si divertivano a metterlo in ridicolo. Bagnava il letto e la madre metteva il materasso in bella vista sul davanzale, per farlo sapere ai vicini. Andava in vacanza con la famiglia e il padre lo spogliava davanti alle cugine per far vedere loro il suo pene sottosviluppato.
Negli anni Ottanta, dopo aver divorziato, il fratello Michele si suicida portando con sé il figlio di 4 anni lanciandosi sui binari al passaggio di un treno. Quel giorno Bilancia è già un piccolo criminale che entra ed esce di prigione, arrivando a scontare due anni di reclusione in un penitenziario francese.
A detonare la follia che lo condusse a 17 omicidi fu un compagno di gioco d’azzardo. Donato Bilancia giocava forte e i soldi delle rapine erano molti, ma finisce per essere imbrogliato da quello che considerò a lungo il suo unico amico, Giorgio Centenario. Bilancia, che in seguito verrà battezzato il Mostro della Liguria, entra quindi in casa di Centenario con la scusa di una partita a carte, lo fa spogliare e lo soffoca a mani nude. Poi passa a quello che la stampa battezzerà Il delitto degli sposini, uccidendo il socio di Centenario, Maurizio Parenti, assieme alla moglie Carla Scotto. Questa volta spara, colpendo due volte l’uomo e una la donna. È l’ottobre del 1997. Così vendetta è fatta. Mentre le indagini si concentrano sull'ipotesi di un furto finito male, gravitando attorno alle bische clandestine di cui vivevano le vittime, Bilancia ha già ucciso a sufficienza da provare assuefazione per l’omicidio.
Tra il 1997 ed il 1998 ucciderà altre 14 persone: prostitute, metronotte, due donne nel bagno del treno ed un benzinaio. Il modus operandi scomposto ed apparentemente privo di logica complica le indagini, ma a portare gli investigatori sulle tracce del killer è la Mercedes Benz 190 usata da Bilancia che, in realtà, non fu mai davvero sua.
Per gli appassionati: l’automobile è una piccola rivoluzione per Mercedes, che entra così in un segmento - assieme ad Audi 80 e BMW Serie 3 - dal quale era sempre rimasta fuori. Viene presentata alla stampa nel 1982, con linee tese frutto della matita di Bruno Sacco (il quale poi disegnerà anche SLK ed ML) per dare un nuovo corso al marchio di Stoccarda. Fu la Mercedes W201 a portare al debutto le sospensioni posteriori di tipo Multilink che vediamo spesso impiegate sulle vetture di oggi. Un successo coomerciale che rimase in produzione, seppur con diversi aggiornamenti, fino al 1993.
L’esemplare protagonista di questa vicenda era una Mercedes 190 di seconda mano, elegante e scura. Bilancia la comprò per 5 milioni di lire invece dei 7 richiesti, motivo per cui non vi fu mai un passaggio di proprietà. Il killer aveva l’abitudine di accodarsi alle altre vetture ai caselli autostradali per non pagare il pedaggio e le multe arrivavano al legittimo proprietario, Pino Monello, che in breve ne fu ossessionato. Nel frattempo Lorena, una transessuale scampata alla strage della Barbellotta - in cui furono uccisi due guardie notturne - fornisce un primo identikit e menziona l’auto. Fanno lo stesso anche le amiche di Tessy Adodo, prostituta nigeriana adescata e uccisa da Bilancia nel marzo dell’88 a Cogoledo. Quando Monello comincia a sospettare di Bilancia confronta le multe ricevute con gli spostamenti del killer, che nel frattempo uccide a sangue freddo un benzinaio nell’area di servizio di Arma di Taggia. I testimoni, anche questa volta, parlano di una Mercedes nera.
Monello confessa agli inquirenti, Bilancia viene seguito ed il suo codice genetico confrontato con quando trovato sulle diverse scene del crimine. Il 12 aprile del 2000 c’è la sentenza, senza appello. In seguito, Pino Monello richiederà il dissequestro della Mercedes, che ormai aveva percorso oltre 120.000 chilometri, per tentare di venderla a qualche appassionato del genere.
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