Poche cose sono capaci di rappresentare così bene l'essenza della nostra italianità, quanto l'universo Ferrari. Puro genio, gusto sopraffino, estro, creatività, ma anche inutile complessità, individualismi, dietrologie, gattopardismi, irrazionalità al potere. È così che, nelle ultime ore, alla serie di scelte apparentemente contro ogni logica prese dalla Casa di Maranello nel corso della sua storia, si aggiunge un nuovo tassello: il mancato arrivo in Ferrari di un Valentino Rossi fresco di ritiro non sarebbe da imputare a una scelta di quest'ultimo, quanto piuttosto a un diniego della dirigenza in rosso.
D'altra parte, perché dare forma alla più sensazionale accoppiata in termini di immagine globale percepita, quando è possibile farne a meno? Perché avviare un percorso che avrebbe potuto trasformarsi in una nuova pagina di leggendaria storia da perpetrare per anni e anni a venire, quando ci si può sforzare di mandare tutto a quel paese, con buona pace di tifosi e appassionati di tutto il mondo?
Stando a quanto riportato da Giorgio Terruzzi, sul Corriere della Sera, infatti, i contatti tra Antonello Coletta, responsabile dei programmi a ruote coperte della Ferrari, e Valentino Rossi, non avrebbero prodotto il feeling desiderato, arenando le trattative tra "distinguo e complicanze semi burocratiche". Il tutto con l'avvallo di un John Elkann deciso a "presidiare in prima persona sia la nuova era in F1 che il ritorno a Le Mans nella classe Hypercar".
Quella del Dottore non sarebbe, dunque, come suggerito da qualcuno, una scelta dettata dalla volontà di dare forma a un nuovo rapporto di lungo periodo con il gruppo Audi (Ducati compresa), né da una precisa strategia volta a garantirsi una presenza a Le Mans, nelle stagioni a venire. A quanto pare, quella di Rossi sarebbe stata una decisione in qualche modo obbiligata da un atteggiamento interlocutorio della Ferrari, rea di aver fatto saltare il banco con la più classica delle armi segrete che ogni azienda italiana è in grado di sfoggiare alla bisogna: creare problemi.
Stiamo d'altro canto parlando di quella stessa azienda che nel suo DNA porta ancora i segni di drammi intestini come le contese dell'epoca Fiorio (periodo in cui, all'interno del team di Formula 1 si affrontavano due correnti, come una Democrazia Cristiana qualunque), del siluramento di Montezemolo o dei più recenti rimodellamenti di un organigramma in cui, spesso, seri lavoratori sono chiamati a ricoprire la funzione di "parafulmine" di fantozziana memoria.
Sembra di sentirlo, insomma, Valentino mentre si confronta con Uccio e di Ferrari dice: "pare un Ministero", come un lavoratore qualunque alle prese con l'ennesima azienda italiana incapace di fornire risposte, di essere chiara, di dare seguito a impegni apparentemente già assunti. Atteggiamenti che solitamente sono tuttaltro che casuali, dettati dalla volontà di non sbilanciarsi, di non preculedersi la possibilità di cambiare idea all'ultimo momento, di consentire ai singoli che guidano queste realtà di fare il bello e il cattivo tempo, per questioni squisitamente personali.
E sapete come va a finire quando si ha a che fare con aziende di questo tipo? Ci si mette l'animo in pace e si alza il telefono per parlare con chi i problemi li risolve, invece di crearli. I tedeschi di solito sono sono bravi in queste genere di cose.