Quando si parla di Cristiano Godano provo sempre una sorta di timore reverenziale. I suoi 30 anni di carriera e i suoi testi hanno ispirato e ispirano tuttora migliaia di persone, e hanno scritto pagine importanti della storia dell’alternative rock italiano. Ma Cristiano è artista a tutto tondo, e il ruolo di cantante dei Marlene Kuntz da tempo, forse da molto tempo, gli era diventato stretto. Prima libri, collaborazioni, reading, ed infine la rottura degli argini, il naturale sfociare della sua produzione in un album solista, un’opera tutta sua. Da qualche giorno è uscito “Mi ero perso il cuore”. Occorre quindi prendersi del tempo e ascoltarlo a fondo prima di scriverne, per dosare bene le parole, dato che le aspettative sono necessariamente altissime.
I Marlene Kuntz
E’ praticamente impossibile scindere la sua figura da quella dei Marlene Kuntz. Per chi non li conoscesse (malissimo: rimediate subito), sono una storica band noise (o alternative rock che dir si voglia) di Cuneo, nata all’inizio degli anni ‘90, e che Cristiano guida praticamente dagli inizi, insieme al chitarrista Riccardo Tesio e al batterista Luca Bergia.
Intorno a loro tre, menti pensanti della band, sono ruotati vari artisti, fra cui l’ “onnipresente” deus ex machina Gianni Maroccolo, noto musicista, produttore della band e membro temporaneo dei Marlene stessi (fu con loro al basso fra il 2004 e il 2007). Ma Cristiano della band è leader ed autore di tutti i testi: testi che sono visionari, sembrano scritti da un letterato, risultando completamente diversi da quelli a cui il rock, specie italico, ci aveva abituato prima. Non a caso Godano venne definito “poeta” sin da subito, e i testi raffinati dei Marlene Kuntz furono e sono tuttora osannati dai fan. L’ispirazione musicale iniziale della band derivava - neanche troppo velatamente - dal sound dei Sonic Youth. Un muro del suono che, abbinato alle liriche di Godano, travolgeva per potenza ed efficacia, tanto era dirompente. Per chi non l’avesse mai fatto, sono assolutamente da ascoltare almeno i primi due album, “Catartica” e “Il Vile”. Qualcuno li troverà forse ostici all’inizio, ma sono imperdibili per quello che hanno rappresentato nel panorama musicale italiano: non a caso contengono molti dei singoli più richiesti dai fan anche oggi ai concerti, e utilizzati sovente dalle produzioni cinematografiche. E’ quindi difficile valutare un lavoro solista come questo senza tenere conto di cosa rappresenti il personaggio Godano.
I romanzi e le attività letterarie
E’ dagli inizi degli anni 2000 che Cristiano ha iniziato ad esplorare territori che non fossero solo Marlene-centrici, musicali e non. Prima nel 2008 pubblicando la raccolta di racconti de “I Vivi” (2008), da cui ha realizzato, due anni dopo (2010) il reading “Terrore” performato live col chitarrista dei Marlene Riccardo Tesio. Mentre Cristiano leggeva il racconto, lento e claustrofobico, di un uomo chiuso in un ascensore in caduta libera, Tesio alla chitarra - accompagnato a volte dallo stesso Godano - creava atmosfere che si dilatavano o acceleravano velocemente per scandirne i momenti. Godano fa anche parte del corpo docenti del Master in Comunicazione Musicale dell’Università Cattolica di Milano, in cui racconta - dal 2008 - come è arrivato alla consapevolezza artistica e come coltivarla. Tiene lezioni e workshop in ambito musicale e poetico
Nel 2009 esordisce anche come attore nel film “Tutta colpa di Giuda”, di cui scrive, insieme ai Marlene Kuntz, anche la colonna sonora, candidata ai David di Donatello. Nel 2010 scrive ed esegue live “Parole e Musica”, un momento in cui chiacchierando racconta la sua carrirera, alternando brani dei Marlene Kuntz a divagazioni letterarie e musicali, con un moderatore che scandisce il ritmo. Nel 2019 pubblica anche l’autobiografia della band (scritta in prima persona) “Nuotando nell'aria. Dietro 35 canzoni dei Marlene Kuntz” in cui spiega le origini della band, i retroscena più sconosciuti, gli appunti, i
ricordi, il suo rapporto speciale con parole e musica, sue muse ispiratrici, e mille altri aneddoti su questi trent’anni di carriera e di successi.
Con una moltitudine di spunti e spinte come queste l’esordio da solista era quindi probabilmente solo questione di tempo. Cristiano annuncia il suo disco a luglio 2019: l’uscita, originariamente prevista per i primi mesi del 2020, è stata purtroppo ritardata dalla grave emergenza legata al Covid-19, fino al 26 giugno 2020.
Un album da solista
All’inizio la notizia del disco ha spiazzato un po’ i fan: talvolta, quando il cantante di una band annuncia un album solista è come quando uno dei fidanzati di una coppia dice all’altro che vuole prendersi una pausa di riflessione. Spesso questo porta a scoprire che si sta bene soli, e non si torna più insieme. Da qui la preoccupazione che i Marlene fossero arrivati al capolinea. Ma Cristiano ha voluto tranquillizzare (per ora) i fan. E’ molto legato agli altri membri della band, e ha parlato semplicemente di una sua esigenza di natura puramente artistica. Ha citato i momenti da solista (“Parole e musica”, “Terrore”) , le letture con domande e risposte inframmezzati da momenti musicali in cui sono nati gli spunti che 3-4 anni fa hanno fatto nascere il disco “nella sua testa”, traducendosi poi in canzoni scritte ad inizio 2019. Alcuni brani in realtà erano già stati eseguiti con i Marlene, e il sound non mente (“Ti voglio dire” e “Lamento del depresso”), ma poi riposti nel cassetto.
Nella band vigeva e vige un senso di grande democrazia: come ribadito da Cristiano, sono tre teste pensanti, ed ogni proposta deve convincere tutti per essere sviluppata; per questo motivo, scartati i brani dal gruppo, li ha conservati per un momento tutto suo. Si è così presentato da Gianni Maroccolo e Luca Alfonso Rossi (chitarrista degli Üstmamò, altra band alternative italiana degli anni ‘90) con queste canzoni, crude, chitarra e voce, spiegando come avrebbe voluto suonasse il disco e quali erano i riferimenti musicali (da Neil Young a Nick Cave a Bob Dylan, passando per Leonard Cohen). Insieme hanno scelto di mantenere l’intimità e la semplicità del songwriting iniziale, circondandosi di altri musicisti “amici” o ben noti a Cristiano: oltre a Rossi e Maroccolo, nel disco troviamo anche Simone Filippi (batteria e percussioni, anche lui degli Üstmamò), Vittorio Cosma (pianoforte), Enrico Gabrielli (flauto, clarinetto, melodica, saxofono ed anche violino), Valentina Santini e Alice Frigerio (voci e cori). Come dice lo stesso Godano “Se avessi avuto la sensazione di fare qualcosa in stile Marlene, avrei rimpianto di non averlo fatte con loro. Desideravo invece fare un disco che impedisse alla gente di dire: ‘Beh, poteva farlo con i Marlene, visto che questi pezzi sanno di Marlene’”. Su questo dissento: in almeno quattro brani (i già citati “Ti voglio dire”, “Lamento del depresso” oltre a “Panico” e alla bonus track “Per sempre mi avrai”) il riferimento è più che evidente. E la domanda infatti è subito scattata, anche perchè suonare cose “alla Marlene”, fra l’altro del periodo melodico “di mezzo” (i riferimenti sono a “Senza Peso” e “Bianco Sporco”), e con arrangiamenti volutamente più smorzati, senza nemmeno le liriche taglienti che ne hanno fatto la gloria un tempo, probabilmente è un boomerang.
Ritrovato o ancora perso?
La dichiarazione d’intenti comunque è assai lodevole: avere “il coraggio della paura”, parlare del proprio intimo, di inquietudini e vulnerabilità, dei rischi a cui sta andando incontro il mondo, con le sue tensioni sociali. Perchè spesso il leader di una band è messo su un piedistallo, e non è conveniente mettere in mostra il proprio essere vulnerabili, togliendo la componente “mitica” della rockstar. Allo stesso tempo “anche le debolezze di un artista hanno un proprio fascino”, dice Godano, e riuscire ad intercettarle, leggendone le sfumature, può creare nell’ascoltatore quell’empatia per comprendere ancora più a fondo l’artista stesso. E il titolo “Mi ero perso il cuore” riassume tutto questo: il cuore è in costante contrapposizione con la mente, ma quando la mente prevarica e diventa ossessiva, assilante, chi la subisce passa dei brutti momenti. Si consiglia in quei casi di andare a recuperare proprio il cuore, la parte primordiale della nostra dimensione emotiva, quella non filtrata dal nostro intelletto. E ritrovarlo è una buona medicina.
L’album inizia con La mia vincita, prima di numerose ballad del disco (“oggi mi ritrovo e la mia mente non è più con me / Ho faticato tanto a liberarmene”), sonnolenta, quasi in un clima di dormiveglia. E non si accende nemmeno in Sei sempre qui con me (“lo specchio mi rimanda un po' di te / dal vuoto in cui stanno gli occhi miei / e in quell'alone di perplessità / s'intuisce la vulnerabilità”), in cui il tema della vulnerabilità viene esposto ma resta sospeso, senza il confilitto interiore a cui sarebbe normale associarlo. In Ti voglio dire finalmente le cose funzionano: i testi iniziano a girare decisamente meglio (sarà un caso fosse un pezzo proposto ai Marlene?), e nonostante le spazzole nella ritmica e i cori che addolciscono il tutto, si inizia a sentire a sprazzi il Godano che tutti conoscono. Arriva quel pathos che ci si aspettava dall’inizio, anche se è dolce, e triste contemporaneamente.
Ma il crescendo si completa in Com’è Possibile: una sorprendente svolta country, l’immagine di praterie lontane, e dei riferimenti citati da Godano, Dylan su tutti. Cantando sottovoce, con dei cori di appoggio, Godano affronta un tema molto importante, citando lo stesso Bob Dylan di Blowin’ in the Wind (“la risposta è lassù / e soffia nell’aria”), che divenne il simbolo della generazione pacifista in America, con le sue ansie e le sue paure ma rivisita anche Kant ("il cielo stellato sopra di noi, la legge morale dentro di noi"). Il riferimento è alle problematiche che stanno sconvolgendo il nostro tempo, tra pessime derive politiche, ribellioni sociali e deturpazioni irreparabili della natura e del clima Eppure l’inquietudine dei testi e le atmosfere in chiave country funzionano benissimo, tanto che forse, di tante sfaccettature del disco, questa è l’unica anima realmente convincente.
In Lamento del depresso e Panico si torna alle reminiscenze marleniane, poco comprensibili onestamente se suonate così. Perchè se tutto ciò che ricorda quel sound tende a funzionare meglio, allo stesso tempo svilisce un po’ il tentativo di cercare nuove direzioni intrapreso in altre canzoni.
Con Ciò che sarò io invece si tocca il momento di massima delicatezza intrisa di malinconia di tutto il disco (“Là oltre i tetti il giorno è livido / e il cielo è un cencio squallido e ruvido: si tinge di grigiore il mio spirito / e di malinconia”): sussurata, con vaghe reminiscenze alla Damien Rice, e un leggero assolo finale, quasi un peccato sia affiancata da molte altre ballad meno riuscite. La cosa piacevole è che in qualche modo Godano si racconti, o tenti di farlo, parlando nuovamente e in ben due canzoni del non semplice rapporto padre-figlio (Padre e figlio e Figlio e Padre). Aveva già trattato il tema in “Canzone per un figlio” che i Marlene portarono Sanremo, e nel loro quasi omonimo album “Canzoni per un figlio”.
Spiazzante Nella Natura: un’intro e un giro di accordi in stile Afterhours vengono arricchiti da harmonium e clarinetti, e se il testo parla della volontà di ritrovare la propria salute mentale coltivando il rapporto intenso con la natura, le melodie e gli arrangiamenti restituiscono un pezzo “bislacco”, come lo definisce lo stesso Godano. Si chiude (eccezion fatta per la bonus track presente sul vinile) col secondo miglior momento del disco: Ma il cuore batte, ballad (nuovamente) country, raccontata in una sorta di dormiveglia che racconta luoghi lontani (“L'aria fruscia fra le fronde / e raggrinza il fondo blu del cielo“) quando il cuore sembra essersi ritrovato, e tutto ritorna a pulsare, per tornare a vivere, volenti o nolenti.
Ma ascoltandolo e riascoltandolo il disco non decolla, nonostante le buone intenzioni, nonostante i raffinati arrangiamenti, nonostante il volersi mettere a nudo. Il disco non è omogeneo, tende ad alternare cose marleniane a cose nuove e convincenti a cose decisamente meno, è come se fossero tanti racconti sparsi, senza un unico cappello. Parafrasando le parole di “Nella Natura”, Cristiano, devi ritrovare te stesso. Il tuo cuore. Quello che, penna alla mano, e con la mente lontana, ha prodotto i capolavori che sappiamo. Perchè al momento questo disco - purtroppo - raggiunge solo una risicata sufficienza.