Era stato primo al box office Sarò con te. Perché quando l’amore chiama Napoli risponde sempre, anche se in quel momento la squadra di calcio stava precipitando in una stagione grottesca, il richiamo di quella gioia fu più forte. Per chi non lo sapesse, Sarò con te è il film di Andrea Bosello, ovviamente targato Filmauro, sul terzo scudetto del Napoli, arrivato 33 anni dopo il secondo. Il primo senza Diego Armando Maradona: già, perché manca subito, in questo film, il dio che esulta. Il suo stadio, nel frattempo, è divenuto tempio - come d’altronde i tifosi già lo chiamano da sempre -, consacrato a lui, al suo sacrificio. Umano, politico, calcistico. Diego c’è. Una statua, inquadrata per pochi secondi nel centinaio di minuti di quest’opera, il cui tallone sinistro viene toccato, scaramanticamente, da Luciano Spalletti. Un’assenza voluta, evidentemente, anche se poi è commovente la canzone urlata, cantata, declamata nel prepartita del primo match-point contro la Salernitana. Una preghiera collettiva, un’invocazione, un uragano d’amore. Sarà interessante capire che vita avrà, ora, questo viaggio nella gioia, questo strano prodotto che arrivò nelle sale con gli eroi dell’epopea - sottovalutata, persino dal film - che erano fuggiti. Chi dal peggior nemico (Giuntoli), chi dichiarando amore e mentendo sull’anno sabbatico (Luciano Spalletti), chi al Bayern Monaco. Chi da se stessi, insicuri in campo quanto erano stati irridenti e dominanti pochi mesi prima. Quelli che erano rimasti, da Anguissa, il guerriero, a Di Lorenzo, il capitano, erano irriconoscibili. Si facevano fischiare. Il core ingrato per una volta era il pubblico, ma anche questi ragazzi entrati nella storia e che avevano scoperto quanto il successo possa trasformarsi in sabbie mobili. Sarò con te, cinematograficamente, è un prodotto mainstream. Gol, interviste brevi, bella confezione, una narrazione piana e prevedibile (se non in quell’inconscio indugiare, incomprensibile in un prodotto celebrativo, su una ben poco epica eliminazione dalla Champions), proprio un prodotto da Netflix, atto a pompare quel brand che, post Covid, con un doping finanziario legale, la società e il suo presidente Aurelio De Laurentiis hanno valutato 75 milioni di euro. Quanto Osimhen. Un film per chi non è (ancora) tifoso del Napoli. E di Napoli. Sarebbe stato più bello spiare, che so, il tutto con lo sguardo di Diego Demme, figlio di un immigrato pazzo di Maradona, che si ritrova riserva e spettatore privilegiato - ma anche silenzioso cemento dello spogliatoio - nell’impresa sportiva italiana più poetica e potente degli ultimi anni. Una squadra che arriva, per i bookmakers, ad essere la migliore d’Europa, dopo aver venduto i suoi campioni.
C’erano le storie fantastiche di chi veniva dalle periferie dell’impero e dell’imperialismo, dalla Georgia di Kvaratskhelia alla Nigeria di Osimhen, dalla Corea del Sud (periferia calcistica) di Kim al Kosovo di Rrhamani. E poi c’era l’unico argentino, Giovanni Simeone, bomber di scorta e poeta. “Contavamo ogni secondo come fosse l’ultimo secondo del capodanno più importante della nostra vita” è una frase che si tiene in equilibrio tra Borges e Ammaniti e che non ti aspetti da un calciatore. Come capisci invece quanto Victor, “il bomber che scassa la porta” (definizione di Silvio Orlando che con Maurizio De Giovanni e Robert Del Naja disegna meglio l’animo del tifoso in quei mesi), non sa neanche che il suo allenatore viva nel centro sportivo. E anche allora, che era la punta di diamante, c’entrava poco con i suoi compagni, viveva così poco la squadra da non sapere ciò che era noto a tutti - pure Elmas che si preoccupava di quanto fosse scomodo il divano letto del suo mister - a Napoli. Sarò con te è un film, da tifosi del Napoli, che vi farà piangere, anche se poteva essere migliore. Perché vi riporterà a quelle settimane, senza l’angoscia del possibile fallimento (“succede, ma se non succede che figura di merda” recitava uno striscione ai Quartieri), senza la distrazione dell’eliminazione dalla Champions a opera del Milan, degli arbitri e di Leao lasciato scorrazzare, senza l’amarezza dell’ultima stagione a far dimenticare troppo in fretta ciò che è Storia. “Fra un secolo tutti sapranno che è successo qui, nel 2023” dice Frank Zambo Anguissa. È vero, pure se il sindaco ha poi deciso di tirar via i festoni. Ma in alcuni angoli sono rimasti, perché sei il sindaco, mica D10S. Capisci in quel momento che è giusto farne una recensione calcistica e antropologica. Perché negli ultimi anni sono aumentati enormemente i prodotti audiovisivi sul calcio. Docuserie, film, documentari. Se prima li contavi sulle dita di una mano, da Il profeta del gol che raccontava Crujiff con la voce di Sandro Ciotti a Maradona by Kusturica, ora hai stagioni intere di grandi squadre. E pure piccole, vedi il Southampton. Vedendole, ciò che risulta più interessante non sono l’epica un tanto al chilo, l’enfasi artefatta, le curiosità e gli aneddoti. No, c’è altro. Prima entravi nel calcio con interviste, guardandolo da lontano, immaginando e ricostruendo. Ora no. Ora sei dentro gli spogliatoi, i calciatori sono coscienti del loro posto nell’immaginario, gli allenatori se mettono la tuta è per mandare un messaggio, che a volte fanno scrivere sui fratini. Quel “sarò con te e tu non devi mollare” scuro su stoffa fosforescente che fu la prima idea di Spalletti. Ecco, calcisticamente ci sono tanti indizi sul futuro in quel film. Che motivano l’impresa, ma anche il fallimento successivo. Aurelio De Laurentiis padre padrone? Non sembra proprio: tre o quattro inquadrature, poche parole, il palco lasciato ai calciatori, alla città. E a Luciano Spalletti. Perché Sarò con te ha un protagonista indiscusso. Il mister. E in un’opera Filmauro non è una scelta casuale, ADL (come lo chiamano a Napoli) è uno che interviene sui suoi lavori, li condiziona, li indirizza. Non si fa un’elegia di un suo dipendente, in una sua opera, senza che lui lo sappia e, soprattutto, lo voglia. E quel modo un po’ pretesco e retorico di caricare i giocatori (più Don Camillo che Al Pacino), la fa da padrone nel lungometraggio. Anche troppo. Il presidente vuole dargli il merito, quella luce che il toscano persino il 4 maggio 2023 sembra voler rifiutare, già consapevole, forse, della successiva fuga. Lo stesso per Giuntoli: ha spazio e spessore nella narrazione. Anche se l’unica vanità di Aurelio, va detto, è rivendicare la scelta di Spalletti, che voleva dai tempi di Reza: ma è noto, come dimostra la trattativa Antonio Conte, che i mister li scelga lui, così come i registi, su attori e calciatori magari qualche consiglio in più lo accetta. Così da pochi minuti capisci che il decimo posto e l’incomprensibile calciomercato dell’anno dopo non è frutto di presunzione o delirio di onnipotenza, ma dell’abbandono, del dolore, della rabbia per essere stato tradito. Che fa tenere Osimhen, che bastava guardare i giornalieri (il negativo originale di ripresa, quotidiano, scena per scena), per capire che era sì una potenza della natura, un bomber che tremare il mondo ha fatto per un anno (e ora tutti sembrano averlo dimenticato) ma lontano, separato dalla squadra. E che andava venduto. Persino i problemi in difesa erano evidenti, giocatore per giocatore, anche solo dagli highlights, così come quello di leadership di ragazzi bravissimi e dolcissimi, ma carismatici quanto un ministro dell’attuale governo. Tanto che quando Anguissa dice “grazie Raspa, grazie Dio” per il gol allo Stadium contro la Juventus, fa lo stesso effetto di un gesso strusciato dalla parte sbagliata sulla lavagna.
Altro che i droni di Sarri, per vincere e soprattutto continuare a farlo, serve una troupe cinematografica. E anche per l’ambiente. Perché se società, ds e allenatore nuovi si fossero accorti dall’enfasi con cui i giocatori si autocelebravano che avevano istantaneamente perso, con quella vittoria clamorosa, ogni motivazione (e quindi la squadra, esattamente come l’estate prima andava rifondata), i tifosi rivendendolo capiranno che incredibile cavalcata sia stata. E lì pensi che quell’impresa è stata sottovalutata. Perché si è vinto troppo presto ma, probabilmente, anche perché, come dice il vate Maurizio De Giovanni, Napoli città è diventata una metropoli, è maturata, non è messa in ginocchio da terremoti, mafie e politica infame, ma ha saputo rialzarsi. Ha scoperto che la bellezza se la merita, come disse alla festa scudetto Paolo Sorrentino (che belle le sue espressioni a Napoli-Salernitana) alla festa scudetto “Diego ci ha insegnato a vincere e noi lo abbiamo messo in pratica”. Partire dalle contestazioni a Dimaro - lunghe, lunghissime fino, incomprensibilmente a Napoli - Milan di campionato - e finire umiliando tutti gli avversari (tutte le squadre della serie A sono state sconfitte, almeno una volta, da quel Napoli in quel campionato, l’arcirivale bianconera 5-1 al Maradona e sottomessa anche nel suo stadio), quella festa lunga mesi, è commovente, incredibile, unica. I tifosi l’hanno dimenticata in fretta, si sono disamorati perché quel dominio a febbraio aveva tolto ogni motivazione soprattutto a loro. La vittoria era data per scontata, si voleva di più. La Champions, divenuta un fallimento (e poi vedi i cartellini all’andata e un rigore clamoroso non fischiato al ritorno e persino il documentario non gli dà l’enfasi dovuta all’ingiustizia subita) immalinconisce il trionfo. Perché a imborghesirsi ci vuole nulla. Sarò con te non è un gran film. Ma ti dice che ogni squadra dovrebbe fare un film delle proprie stagioni. Perché a livello di marketing sarebbe molto meglio delle noiosissime tivù tematiche dedicate alle squadre e perché nel regno dell’improvvisazione, della cialtronaggine porterebbe un po’ di analisi, emotiva e professionale, che farebbe bene a tutti. E mantenendo la bellezza e la passione di questo sport, lo normalizzerebbe nelle sue fragilità più pericolose (dalla violenza alle scelte industriali quasi sempre demenziali) e ne celebrerebbe le parti più iconiche, entusiasmanti, scenografiche. Ogni partita, ogni campionato, ogni squadra scrive una sceneggiatura da settembre a giugno. Ce l’ha insegnato Nick Hornby. Ora Aurelio, che non fa più cinepanettoni, faccia quindi cinepalloni. Gli auguriamo il sequel, anzi lo ha già. Sarò (Antonio) Conte.