Negli ultimi tempi, l’universo Marvel è diventato ostico quanto quello fumettistico: per capirci qualcosa, dovreste recuperare circa 34 film e 11 serie. Ma quanti di questi possiamo dire che sono davvero “belli”? Escludendo la trilogia dei Guardiani della Galassia, il primo Avengers e i due Doctor Strange, il resto è mediocrità o peggio ancora. Almeno fino a Endgame c’era un filo conduttore preciso, un piano narrativo che, per quanto discutibile, portava a una conclusione chiara. Anche se Endgame resta un film abbastanza pessimo, quantomeno chiudeva un ciclo. Dopo di quello, il caos: attori mandati via per scandali, flop a ripetizione e un evidente calo qualitativo anche sul piano tecnico. Le “fasi” successive sembrano navigate a vista, senza direzione. In mezzo a questo marasma, Thunderbolts* sembra quasi una boccata d’aria fresca, ma solo per confronto. È un film che non ha grandi pretese, scorre abbastanza bene e si regge su un cast ottimo. Non è perfetto e non farà certo gridare al capolavoro, ma almeno non cerca di risollevare da solo l’intero universo Marvel (ciao Fantastici 4). La trama è semplice e già vista: un gruppo di “non buoni”, non sono nemmeno veri villain, si unisce e diventa una squadra per fronteggiare un antagonista che, a sua volta, non è davvero un cattivo. Un po’ Suicide Squad, un po’ Guardiani della Galassia. Ma, a differenza di tanti altri titoli recenti, qui vediamo finalmente i supereroi fare... i supereroi. Salvano civili, proteggono vite. Una cosa banalissima, ma che nell’Mcu mancava da tempo. Ed è già qualcosa. Il film ha anche il pregio di non prendersi mai troppo sul serio, seguendo (in tono minore) la via tracciata dai Guardiani. E per chi amava i fumetti Marvel dei primi anni Duemila, c’è un nome che colpisce: Sentry. Personaggio editorialmente interessantissimo, introdotto nei 2000 con una trovata geniale — la Marvel pubblicò albi in stile anni Sessanta facendo credere fosse un eroe creato da Stan Lee e poi “dimenticato”. Era la sublimazione del motto “supereroi con superproblemi”, cuore dell’identità Marvel.

Nel film, Sentry non è malissimo. Esteticamente lontano dalla versione fumettistica, ma l’interpretazione di Lewis Pullman (figlio di Bill Pullman) regge bene, soprattutto nel rendere la dicotomia interiore del personaggio. È chiaro che Thunderbolts* serve soprattutto a introdurre lui nel Mcu, probabilmente per affidargli in futuro un ruolo centrale — forse proprio quello che fu di Captain Marvel in Endgame. Thunderbolts* ha i soliti problemi di ritmo (prima parte lenta, seconda che corre troppo), ma non è nulla di nuovo per i film Marvel. La verità è che la Marvel ha finito le idee ma continua a mungere la sua mucca d’oro. Speriamo davvero nei Fantastici 4, anche se, alla fine, potremo sempre consolarci guardando Pedro Pascal per due ore. E sì, diciamolo, non è poi così male.