Perché c’è l’Essere e non il Nulla? Inizio in maniera heideggeriana perché non so se parlare prima della leggenda che narra di come, nell’anno di nascita di Minimum Fax, trent’anni fa, nel 1994, al Salone del Libro di quell’anno, io e Minimum Fax dormissimo nella stessa casa, ospiti della stessa bionda, per poi scoprire, tempo dopo, che sia io che Minimum Fax, con quella bionda, dividevamo interessi in comune, o se invece iniziare parlando del complotto ai miei danni ordito da Basso Cannarsa, forse il più famoso (e bravo) dei fotografi degli scrittori (è una specializzazione a parte, tutta loro) e Mastru Brunu (che usa da sempre lo pseudonimo di Bruno Giurato) e di come abbiano potuto complottare contro di me anche se non si conoscono tra loro fatto sta che ci sono riusciti.
La divisione della bionda o forse meglio la moltiplicazione della bionda e il complotto contro di me si sono congiunti (spero per loro carnalmente) ieri sera al Minimum Party, il party per i trent’anni della casa editrice fondata da Cip e Ciop. Non ho capito infatti perché a Basso Cannarsa interessasse tanto darmi l’invito al party, non ho capito perché a Mastru Brunu interessasse tanto che io andassi al party e soprattutto non ho capito perché io abbia detto a Mastru Brunu (che è il mio pappone in questo Salone e mi dice quali strade battere) di avere l’invito quando potevo semplicemente farmi gli affari miei dato che ero sveglio dalle quattro del mattino, dopo una cena a Catania con Marco Müller che cito non in quanto Marco Müller bensì perché se vai a cena con Marco Müller devi in qualche maniera usare il cervello, poi ti metti a letto verso mezzanotte, quindi prendi sonno all’una e alle 3 ti suona la sveglia perché sei in un B&B a Catania e devi arrivare all’aeroporto per l’imbarco alle 5,30 del volo con scalo diretto a Torino e dopo una giornata a camminare tra i padiglioni non si capisce perché verso le 19, quando il letto era lì a portata di mano, io abbia detto a Mastru Brunu “ah sì, ho l’invito per la festa dei trent’anni di Minimum Fax” sapendo, perché lo sapevo, che Mastru mi avrebbe detto: “bé allora DEVI andare”.
E così mi sono trascinato zoppicando fino a piazza Vittorio, mi sono arrampicato su un taxy, sono andato ai Murazzi e mi sono reso conto che il mondo era allo specchio e sono abbastanza certo che fosse dal lato sbagliato del riflesso del Po perché eravamo sì ai Murazzi, ma dal lato fighetto della Gran Madre, mentre i Murazzi, quelli veri, abbandonati sprofondavano deserti e smemorati dei venerdì del Salone del Libro di oramai decenni fa, quando le feste si facevano dal lato giusto del fiume e Laura Susijn, destinata in seguito a diventare la mia agente di una vita, mi prese al volo mentre facevo pipì nel Po dal lato giusto ma con un equilibrio discutibile.
Per fortuna c’era Claudia (strano come i nomi si reincarnino) e i Patagas Culebra di tabacco Virginia fermentato perché tra quattro pacchetti di sigarette allineati perfettamente alla rinfusa sul pavimento del B&B, io, che oramai perdevo bavetta, prima di gattonare verso il taxy, ero riuscito ad afferrare, con una perfetta percentuale statistica del 25 %, l’unico pacchetto vuoto. Questo per dire come abbia tradito la missione “gonzo” di questa trasferta torinese e di come mi sia fatto mettere in mezzo da Basso Cannarsa e da Mastru Brunu perché se avessi dovuto gonzare come realmente si gonza me ne sarei dovuto rimanere al B&B a farmi la doccia col Lasonil e poi raccontare della mia serata in mutande mentre i componenti della chat “Il Salmone del Libro” (“l’apocalisse inizierà con un refuso”, Karl Kraus) erano convinti che io stessi andando davvero al Minimum Party, prima di leggere il pezzo che state leggendo e scoprire solo a cose fatte e party finiti che io – come da missione tra l’altro - me l’ero gonzata e al party non c’era andato. E invece c’ero e per fortuna c’era anche Claudia (adesso come trent’anni fa – quando dicono che i pezzi si scrivono da soli).
Una mezzoretta prima il tassista mi aveva buttato in corsa sul selciato della parte sbagliata del Po davanti all’ingresso di un circolo canottieri che se una cosa del genere – canottieri – l’avessero detta trent’anni fa, autori ed editori sarebbero scappati urlando con le mani ai capelli prendendo a calci le pantegane per sfogare la rabbia. Il party – secondo invito – iniziava alle 22,30, erano le 23 e io ero certo che mezzora di ritardo fosse arrivare in larghissimo anticipo ma non potevo restare un secondo di più al B&B senza addormentarmi per cui pazienza. E infatti era vuoto e c’erano persone che si erano vestite come per andare a un party dei trent’anni della casa editrice Minimum Fax e io invece mi ero dimenticato che qualsiasi cosa, passati trent’anni, diventa adulta – me compreso – ed ero con i jeans, una maglietta, la spilletta di MOW, una camicia a scacchi, una felpa e i capelli che, non so perché, avevano preso la forma della pettinatura di Farrah Fawcett (subito dopo lo stupro).
Ed è così che, a sala e terrazza ancora vuota, mi metto a guardare gli adulti presenti dicendomi “sono troppo piccolo per queste stronzate”. Per fortuna ho incontrato un altro bambino e ci siamo messi a parlare di fantascienza: si chiama come me, Ottavio, Di Brizzi, lo conobbi quando era il direttore editoriale di Rizzoli, poi passò a Marsilio (“Come ti sei trovato a giocare con Chiara Valerio?”) e adesso è il direttore editoriale di tutto quello che si stampa nel Touring Club e io ho subito pensato: “Minchia, se al Touring Club leggono i reportage come li scrivo io – con preferenza per le spiagge nudiste ed eventi che interessano solo a me – iniziano tutti a drogarsi”, così abbiamo deciso di rinviare la mia collaborazione alle testate e ai libri del Touring Club fino a quando al Touring Club non diventano post-punk o quantomeno pre-punk o almeno adolescenti anni ‘80 in stile Strangers Thing.
Giusto il tempo di parlare di un suo sottoposto che tempo fa mi trattò in maniera poco educata (io sono un Autore-per-i-cazzi-suoi ma all’etichetta ci tengo e in alcuni casi l’Autore-per-cazzi-suoi fa spazio al Barone che mi frigge nelle palle) e che adesso dirige una casa editrice il cui direttore dell’epoca mi trattò in maniera poco educata (per mia fortuna, altrimenti non sarei approdato sulle rive di Antonio Riccardi – l’anno prossimo facciamo venti anni che è il mio editor e faremo un party e lo chiameremo Magnum Party e ci sarà un immenso buffet con le minestrine, i semolini e i passatini di verdure in formato finger food) e dopo avere sparlato di chi adesso dirige cosa e soprattutto “ma perché mai?” ci siamo messi a parlare di Fantascienza da Ballard al Cyberpunk e Ottavio Di Brizzi (ODB come Oreste del Buono) vedendo che mi guardavo in giro sbavando alla ricerca di qualcuno/a/* a cui scroccare una sigaretta mi ha detto: “Vado a prendere una cosa da bere e ti offro un sigaro, aspettami qui”, lui intendeva qui, io intendevo lì e dopo un quarto d’ora che eravamo entrambi nel posto sbagliato, dal lato sbagliato del fiume, ho finalmente incontrato Roberto Venturini, forse il più grande scrittore delle nuove generazioni, che, venendo come me dal lutto per la Sem (tutta una storia di compagni comunisti della Feltrinelli che si sono inglobati in maniera alquanto capitalista la casa editrice per la quale entrambi stavamo pubblicando – beffa su beffa – mettendoci a capo proprio l’ex sottoposto di Ottavio Di Brizzi, quello che con si comportò in maniera maleducata, quasi in maniera cafone, quasi che stavo andando a prenderlo a pedate in culo – e adesso non sopporto che abbiano ri-pubblicato in economica Feltrinelli/Sem il mio “La Sicilia spiegata agli Eschimesi” e che il mio libro e il mio nome possano in qualche maniera avere a che fare con Michele Rossi – mi è scappato il nome? Fate finta di non averlo sentito - anche se il libro continua a vendere e mi piacciono i bonifichini anche piccolini picciò) e dicevo di Roberto Venturini che dal lutto ancora non si è ripreso – come Teresa Martini del resto – e si è messo a fare il direttore editoriale della “Tetra” una casa editrice che pubblica racconti lunghi, quasi novelle, anche se le novelle sono sulle centomila parole, diciamo meno, una novella corta forse un racconto lungo dipende da quale lo guardi e soprattutto da dove inizi a misurarlo e io gli ho chiesto: “Hai visto Ottavio?” e lui mi ha guardato come se mi fossi drogato ma io ho detto “l’altro, il Di Brizzi” e lui mia ha detto “non lo conosco” e io gli fatto “hai sigarette” ma lui adesso svapa liquido alla pesca senza nicotina e stavo quasi per mettermi a piangere per lui e per me e per lui che non scrive più e per Di Brizzi che non si occupa più di narrativa anche se il touring, come tutto del resto, è narrativa e forse anche meglio della narrativa e della letteratura che spacciano per narrativa e letteratura e anzi mi devo segnare da qualche parte di proporre a Di Brizzi uno special LGBTQ+ del Touring Club tipo “Dove andare a mangiare per non essere vittima di femminicidio anche se sei un uomo” con la prefazione di Chiara Valerio, e insomma stavo per mettermi a piangere anche per i Murazzi dal lato sbagliato, per l’adultità che se li sta mangiando vivi, per me che sono un bambino con la protesi all’anca e mi è passata la voglia di scopare (se mi è mai venuta a dire il vero, penso di avere scopato spesso controvoglia), per gli invitati del Minimum Party della Minimum Fax e penso che io, il Di Brizzi e persino il Venturini, se continua così, finiremo a somigliare anche noi a dei fax e inizieremo a parlare facendo discorsi tipo “trintrintrinbibibifrschrhrh”, insomma dicevo: quando Roberto Venturini ha detto: “Ma forse Claudia può farti una sigaretta col tabacco”.
E ho visto la luce non so se perché la ghiandola pineale si è svegliata dicendo “nicotina?” o se perché Claudia svettava, per altezza e grazia e gioventù e sicuramente aveva nello sguardo quel pizzico di follia di decenni fa, quando eravamo dall’altra parte del Po e in quel momento, in quella sala che si andava riempiendo di adulti, mi è sembrato che quello sguardo lo avesse solo lei, questa giraffa gazzellosa se le giraffe fossero grafiche geneticamente modificate con dna di gazzelle e somigliassero a giraffelle francesi un po’ belle epoque e no, non ci sto provando, ma Claudia mi ha detto: “Se permetti te la chiudo io” ed è stato un atto di gentilezza inaspettato in questo mondo editoriale che ha perso la follia dei bambini e dove i bambini sono diventati adulti e non sanno più neanche quale parte dei Murazzi è quella giusta e ci stiamo disfacendo e intristendo e industrializzando e ho bisogno di un dicloreum, di un Medrol, di un prazolo qualsiasi e penso questo quando Claudia mi dà la sigaretta e spero per lei che in futuro possa vedere quel mondo editoriale che ho visto io dove si giocava con le parole e non con le persone e si raccontavano storie strampalate e bellissime e si svettava tutti come giraffelle che si alzavano per la prima volta sulle loro gambette lunghe del pensiero cercando di guardare al di sopra, al di là, dove una volta c’era l’orizzonte…
P.s. Poi l’altro Ottavio l’ho incontrato e mi ha dato un Partagas Culebras e mi ha detto: “Non aspirarlo”. E invece io l’ho aspirato, andandomene, mandando affanculo il Lasonil e il Dicloreum e tornandomene a piedi, zoppicando e aspirando, passando dai murazzi deserti e pensando a tutti noi, che stiamo invecchiando giovani e che una volta pisciavamo nel Po di questo Salmone del Libro che cerca ancora di nuotare controcorrente ma è sempre più stanco, sempre più stanco...