Essere Pierino. Questo è stato Alvaro Vitali. Le lamentazioni degli ultimi tempi, quel “si sono dimenticati di me” significava “si sono dimenticati di Pierino”. Sì, citava i suoi inizi con Federico Fellini, ma Alvaro Vitali voleva (e ci è riuscito) appartenere alla grande tradizione delle “maschere”. Per lui il Destino aveva scelto una maschera povera, povera di linguaggio e di lignaggio, veniva fuori dalle barzellette anche quelle un po’ sconce, ma era una “maschera” e Alvaro Vitali era nato quando il cinema e la televisione e il teatro erano fondate sulle maschere. Il principe Antonio de Curtis aveva Totò, Erminio Macario “era” Macario, Tino Scotti aveva “il cavaliere”, anche Bruce Lee era “Chen”. In una delle sue ultime interviste raccontava di quando fu chiamato da Fellini. Rispose: “E chi è?”. Spiegava che lui al cinema vedeva Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, che erano “Franco” e “Ciccio”, altre due maschere. I protagonisti delle cosiddette commedie sexy all’italiana si sono via via riciclati un po’ tutti, hanno intuito che la “maschera” poteva rappresentare un problema. Lui no. Scaricava cassette della frutta al mercato, si potrebbe dire, non aveva il background per “uscire dal personaggio”. Ma siamo sicuri che volesse farlo?

Aveva trovato una compagna, Stefania Corona, poi diventata sua moglie, con la quale si portava in giro la “sua” maschera: Pierino. Certo, andava in giro un po’ nelle piazze, in locali scalcinati, in un tramonto malinconico e molto “felliniano”, ma ne era felice. Riusciva, in qualche maniera, a portare ancora in giro Pierino e così facendo a farlo sopravvivere. Pierino è una di quelle maschere che non sono sopravvissute al tempo, ai tempi in cui la cultura woke chissà cosa ci vedeva, chissà quale malizia. E invece i tempi maliziosi sono proprio i nostri, dove le scosciate e le sguainate vengono rese luccicanti dall’olio untuoso dell’impegno (direbbe Roberto D’Agostino: sempre “pipparoli” sono). Certo, non sto dicendo che la maschera di Pierino sia alla pari con, non so, Louis de Funès (che era una “maschera”), ma aveva senz’altro una sua dignità popolana. E con lui quelle commedie sexy che riempivano le sale. In una intervista a Peter Gomez, Alvaro Vitali ha detto che Lino Banfi ha “rinnegato” quella stagione del cinema, così come Edwige Fenech. E un video di Lino Banfi in memoria del suo collega è diventato virale, comprese le critiche a “Nonno Libero” (da “emigrato barese” a “nonno saggio”, altre due maschere) al quale molti rimproverano di non avere pensato al suo amico in vita.

In un mondo (il postmoderno) in cui le maschere sono intercambiabili e dove il concetto stesso di identità si sgretola e si scrolla di dosso come i reel su Instagram, Alvaro Vitali voleva soltanto fare sopravvivere Pierino, restargli fedele, e anche gli ultimi spettacoli, quelli fatti con la ex moglie, per sua ammissione lo rendevano felice. Credo che l’unico che abbia capito profondamente Alvaro Vitali e la sua maschera sia stato un grandissimo delle “maschere”: Carlo Verdone. In “Vita da Carlo” rivedremo infatti Pierino come un’apparizione felliniana. Credo il più grande omaggio che si sia potuto fare alla storia di Pierino e del suo attore, Alvaro Vitali.
P.S. Non possiamo lasciare andare via Pierino con la malinconia. Non lo avrebbe voluto. Nella tragedia, la sua morte è stata degna delle commedie sexy che Alvaro Vitali non ha mai rinnegato. L’ex moglie che lo lascia per l’autista. Lui che si fa dimettere dall’ospedale per tornare a casa a riconquistarla. Pierino che scrive una lettera d’amore all’ex moglie chiedendole di ricominciare. Caterina Balivo che in diretta chiede all’ex moglie cosa intenda fare. L’ex moglie che dice: “No, grazie”. E lui che schiatta. E qui Pierino, nel suo ultimo atto, fa un salto di qualità. Ci sarebbe voluto un Mario Monicelli per raccontare la sua morte in stile “Amici Miei”.
