Un popolo, un mito, un’icona. Stasera su Rai 3, dalle 21.20, Il Re di Napoli. Storia e Leggenda di Mario Merola, documentario diretto da Massimo Ferrari, racconta il più grande interprete della sceneggiata napoletana, l’uomo che ha esportato nel mondo la cultura di una città viscerale, tra passione, dramma e melodramma. Con testimonianze di Gigi D’Alessio, Nino D’Angelo e Marisa Laurito, il film non è solo un tributo, ma un’immersione nell’anima più autentica di Napoli. Ma perché Mario Merola non ha eredi?
Merola, l’ultimo di una stirpe
Mario Merola non ha eredi. Questo è il punto centrale del documentario. Non solo perché, con la sua morte nel 2006, si è chiusa una pagina irripetibile della musica popolare, ma perché il mondo che lui raccontava non esiste più. Lo dice chiaramente Massimo Ferrari, il regista: “Mario ha rappresentato un periodo storico e un popolo che così com’era non esiste più. Se parliamo di eredi artistici, con lui si chiude un’epoca”. E non è un caso che, fino a oggi, nessuno avesse pensato di realizzare un documentario su di lui. “Merola ha sempre viaggiato tra idolatria e snobismo”, spiega il regista. “O lo si idolatrava o lo si snobbava. E questi due estremi non permettono di capirlo fino in fondo”.
L’anima di Napoli e la sua trasformazione
Merola era il volto di un popolo che trovava nella sceneggiata il suo riscatto, il suo dramma, la sua redenzione. Ferrari lo sottolinea chiaramente: “Se riesci a portare a teatro una persona che lavora nei campi, allora sei riuscito a rappresentare quel popolo”. Ma oggi quel popolo è cambiato. Napoli stessa è cambiata. La città straordinaria e contraddittoria di cui Merola è stato ambasciatore rischia di diventare vittima del suo stesso fascino. “Oggi Napoli è ancora una delle poche città che sopravvive alla globalizzazione”, osserva Ferrari, “ma rischia di trasformarsi in un oggetto, come un presepe da comprare a San Gregorio Armeno”. E forse la cosa più triste è che, oggi, Napoli non è più rappresentata da artisti che raccontano il suo cuore pulsante con la stessa intensità di Merola. Adesso, nel bene e nel male, il volto della città nei social è quello di tiktoker come Rita De Crescenzo e Antony Sansone, personaggi che incarnano una Napoli diversa, più superficiale, più costruita per l’intrattenimento rapido che per la narrazione profonda di un’identità culturale.
Un documentario che arriva tardi?
Merola era un gigante, e il tempo non lo ha scalfito. E il documentario di Ferrari arriva forse in ritardo, ma arriva nel momento giusto per ricordarci che un’epoca è finita e che quella Napoli, autentica e passionale, non tornerà. Ma continuerà a vivere nelle sue canzoni e nei suoi film, tra lacrime e applausi.