C’è chi sta provando ad accendere il ventilatore mediatico-politico per amplificare un’anonima brezza, nel tentativo di abbattere il fortino costituito da Report. Una trasmissione, quella di Rai 3, polarizzante, o osannata (ammesso che non parli di vaccini) o aspramente criticata, anche per i metodi usati nel fare inchieste. E tra i detrattori del programma condotto da Sigfrido Ranucci c’è chi ha divulgato e sta cercando di pompare un presunto caso che conterrebbe accuse pesanti: “servizi confezionati ad arte, mobbing tra le scrivanie, relazioni sessuali con colleghe. Un caso di #metoo e di scarsa deontologia nel sedicente tempio del giornalismo d'inchiesta? Sarebbe un paradosso”, scrive il Giornale.
“A far scoppiare la bomba in commissione di vigilanza Rai – prosegue il pezzo firmato da Felice Manti – è stato Davide Faraone di Italia Viva. […] Nella missiva – che circolerebbe da mesi – si farebbe riferimento ad alcune colleghe che sarebbero state pesantemente dileggiate sul posto di lavoro. Il dossier sarebbe datato fine 2017 e poi sarebbe stato «allargato» ad altre vicende. Una prima versione sarebbe stata mandata via mail attraverso il servizio protonmail, che serve a proteggere l'identità del mittente. Le tre colleghe coinvolte, contattate dal Giornale, non commentano. Una serie di copie dattiloscritte a mano sarebbero state inviate per lettera sia ai vertici Rai sia al capo del personale. Circostanza confermata dalla denuncia ai carabinieri presentata da Sigfrido Ranucci il 5 agosto scorso, nella quale però si chiamerebbe in causa l'allora direttore di rete Franco Di Mare, che avrebbe convocato Ranucci per discuterne”.
Uscendo dalle tifoserie pro e contro Report (da queste parti non ci sono simpatie né antipatie nei confronti del programma un tempo condotto da Milena Gabanelli), quel che è evidente è che – nonostante possa venir naturale voler cercare le pecche in chi di mestiere sottolinea e a volte amplifica le pecche degli altri – non si può dare credito ad accuse di provenienza sconosciuta, peraltro a quanto pare fatte circolare con metodi non particolarmente ortodossi. Gli eccessi tragicomici e i contrappassi del MeToo dovrebbero aver insegnato che non basta dichiararsi vittime per esserlo e per far condannare la presunta controparte. Figuriamoci se può bastare una lettera anonima (come se poi chi denuncia in maniera non anonima non fosse tutelato, se non eletto direttamente a giudice di ultima istanza/ultimo grado).
“È la prima volta – il commento dell’ad della Rai, Carlo Fuortes – che sento una cosa del genere. Evidentemente alla responsabile dell'Audit non è arrivato nulla perché lei sa che mi deve avvertire quando ci sono cose importanti. Cercheremo di capire di cosa si parla. Io agli atti non ho nessun tipo di denuncia formale o informale”
“A differenza di Report – le parole al Giornale di Andrea Ruggieri, deputato di Forza Italia e membro della commissione di vigilanza – non amo né do credito a comunicazioni o interviste anonime, ma delle due l'una: se Ranucci è vittima di calunnia è doveroso tutelare un protagonista del servizio pubblico; diversamente, la Rai non potrebbe tollerare atteggiamenti di bullismo professionale o sentimentale in seno a una redazione”. Michele Anzaldi del Pd dice di aver ricevuto la lettera da tempo ma che il contenuto non lo ha mai convinto. Ranucci si difende e fa sapere che denuncerà chiunque darà credito a quel dossier.
Il problema è che c’è un’altra cosa che il MeToo ci ha insegnato: che, anche qualora (come quasi sempre) le accuse si dimostrino infondate o non dimostrabili, a chi calunnia non succede niente (anzi, spesso comunque ci guadagna, perlomeno in fama), mentre la reputazione e la carriera del calunniato vengono rovinate per sempre. Irrimediabilmente. Nel caso in cui Ranucci fosse calunniato, sarebbe nell’interesse di tutti, anche dei suoi “nemici”, difenderlo. Perché è la cosa giusta. O anche solo perché il ventilatore gira. E quella che ti arriva addosso rischia di non essere solo aria.