Ci si interroga spesso, tra noi che non abbiamo una fava da fare, su cosa mai resterà di questi anni mesti e tristi. Parlo di musica, niente di troppo impegnativo, e già pensando alla musica è difficile trovare risposte a una tale domanda, figuriamoci al resto. Quello su cui ruotano i nostri discorsi, di noi che non abbiamo appunto una fava da fare se non parlare di musica, è la possibilità della musica d’oggi di superare l’incedere del tempo, di diventare quel catalogo che, per decenni, ha sostenuto la discografia, e a ben vedere la sostiene tuttora. Che canzoni, in buona sostanza, ascolteremo tra qualche decennio, ma anche solo tra qualche anno, qualche mese, tra quelle che escono oggi? C’è un qualche artista che non sia derivativo, e quindi non spinga chi è dotato di buon senso a ascoltare l’originale?
C’è un qualche artista che stia scrivendo qualcosa di notevole, di originale, di fondamentale, addirittura? O continueremo in eterno a ascoltare Lucio Battisti, Lucio Dalla, De André, volendo anche Modugno, per poi slittare sui Baglioni, De Gregori, sui Vasco Rossi e tutti gli altri che hanno a ragione scritto la storia della musica leggera italiana? Domande fatte tanto per certo, ma del resto è tanto per che si ragiona dell’effimero, salvo poi ricorrerci, all’effimero, ogni qual volta che abbiamo un vuoto da colmare, o una gioia da sottolineare, oltre che per tutta una serie di varie e eventuali che non sto qui a elencare.
Il fatto è che mi capita di ascoltare un numero importante di musica, tutti i giorni, musica nuova, intendo, uscita o in procinto di uscire. E la stragrande maggioranza di questa musica mi scivola addosso senza lasciare la benché minima traccia, come quando mi capita di tenere una qualche serie minore di Netflix lì, sul talbet, come compagnia, e se uno mi dovesse chiedere di cosa parla, beh, io non saprei affatto rispondere, niente trama, niente personaggi, a volte neanche saprei dire se è un crime, un medical, un fantasy. Per questo, temo, ricorro spesso all’aiuto amorevole di musica vecchia, passando ovviamente per boomer, per uno che non sta al passo coi tempi, quasi un mormone che se ne gira in calesse in tangenziale, ma tant’è, meglio mormone sul calesse che coglione con nelle orecchie musica discutibile, deprecabile, nociva, credo.
Poi succede, ma succede di rado e quindi quando succede uno ha come un moto di euforia irrefrenabile, di quelli che ti fanno alzare, se sei seduto, e girare in tondo come certi animali selvaggi quando si trovano a passare la vita dentro una gabbia, solo con molto più entusiasmo, lasciamo da parte le metafore venute male, quando succede, comunque, ecco che uno non può tenersi la cosa tutta per sé, seppur la tentazione di coccolarsi un tesoro in solitudine sarebbe forte, e in musica c’è tutta una gamma di persone, quelli che seguono la musica che spesso viene catalogata con un generico “di nicchia”, che difende il proprio tesoro come neanche lo sgorbio de Il Signore degli anelli, Gollum o come diavolo si chiamava, sono nato nel 1969, fatico a pensare che quella non sia roba fascista, al punto che se il suo tessoro non è più solo il suo tessoro è capace di dire che in fondo è una merda, tradito nell’orgoglio e anche in un certo senso nella propria ottusa idea di fedeltà, la tentazione di coccolarsi un tesoro è in solitudine sarebbe sì forte ma non abbastanza, e allora ti viene di dirlo prima alle persone cui vuoi bene, gli affetti, le conoscenze strette, oh, guarda, ho trovato un fenomeno, e poi a quelli cui in genere pensi quando ascolti musica, quelli che in genere leggono quello che scrivi, quindi gente che, supponi, conosce i tuoi gusti e magari in parte li condivide, non dico che li condivida perché ti legge, ma magari qualcuno anche sì, ma proprio per una questione di scelte, ti legge perché condivide il tuo pensiero, e siccome ti viene di dirlo lo dici: credo che Giovanni Truppi sia uno dei pochi, pochissimi, autori contemporanei, lui è del 1981, ha quarantuno anni, destinato a rimanere nel tempo, a diventare un classico, a fare catalogo.
Lo dico con cognizione di causa, perché me lo sono studiato nel tempo, ascoltato con calma, gustandolo come si fa con le cose buone che sappiamo ci piacciono e in quanto buone e ci piacciono non vogliamo sciupare, o finire troppo presto, anche se le canzoni non finiscono, non si consumano, almeno quelle buone davvero, anzi, diventano più forti, sedimentano e vengono metabolizzate, volendo ci cambiano anche il metabolismo e quindi il DNA, ci fanno sparire la coda o le branchie, ci fanno slittare il pollice a lato, di colpo divenuto opponibile.
Giovanni Truppi è destinato a rimanere perché ha talento, molto, perché è originale, molto, perché ha cose da dire e le dice sempre in un modo suo, che si tratti di costruire canzoni in cui il parlato la fa da padrona a quei rockettoni sghembi e in odor di punk, penso a Stai andando bene Giovanni, a Superman, come quando invece si muove su canoni più lineari, dove è il testo a giocarsi la parte portante, Borghesia ne è un chiaro esempio, come anche L’unica oltre l’amore, ma non starò certo qui a far l’elenco delle sue canzoni, troppe meriterebbero e non è mica detto che sia sempre io a dover fare tutto il lavoro, stanno lì, andatevele a cercare.
Giovanni Truppi è, se proprio vogliamo fare un elenco di altri simili, intendo gente che resterà, insieme a Caparezza, Margherita Vicario, Rancore, La Rappresentante di Lista, al suo concerto c’erano anche Diodato e Brunori Sas, immagino qualcosa voglia pur dire, il suo essere meno contemporaneo nei suoni forse un po’ penalizzante, almeno fin qui, ma a dirla tutta anche una fondamenta decisamente profonda e solida, guardando al futuro e alla possibilità di resistere alle intemperie e ai fattori esterni (i calessi ancora esistono, i treni a vapore no).
Insomma, Truppi è un genio. Lo dico.
E lo dico tanto più dopo averlo visto suonare dal vivo, all’Auditorium di Milano, accompagnato da una band, ma a tratti solo sul palco. Un genio che ha scritto almeno una ventina di canzoni che, ci metto la firma, la faccia, volendo anche il culo, continuerò a ascoltare negli anni, del resto lo faccio già da anni, e che continueranno ogni volta a colpirmi, sorprendermi, come succede con tutto quel che ci affascina, ci appassiona, qualcosa di paragonabile all’amore, immagino, non è che uno si stanca di guardare la propria compagna o il proprio compagno solo perché lo fa da settimane, mesi, anni, decenni, fate voi, ogni giorno è una nuova meraviglia, anche se la frase sullo stringere i denti, lo ammetto, è di quelle che meritano di finire scritte sulle t-shirt. Anche se la mia preferita è l’incipit di quel capolavoro di La domenica, “Perché io più capisco e più non capisco. E tu mi dici che se ci penso troppo poi divento ricchione”, fanculo il politicamente corretto e Dio abbia cura di un talento del genere, imparagonabile a chicchessia perché unico, appunto. Se vi capitasse di incappare nel cartellone di un concerto del suo tour non esitate neanche un secondo, dal vivo, se possibile, è anche meglio che su disco (non è vero, è meglio anche su disco, nel senso che come lo prendi lo prendi bene). Un concerto che alterna tutte le sue sfumature e ti fa sorridere come emozionare, sempre e comunque ti tiene in quel costante stato di allerta di quando ti chiedi se alla fine farà anche la tua canzone preferita e sì, la fa, perché di canzoni ne fa tante, e sono tutte belle, e profonde, e ironiche, e piene di quelle zampate che ti fanno appuntare frasi sulle note dello smartphone, poco importa se non sai neanche bene perché.
Truppi è un genio, e grazie a Sanremo, spiace quasi dirlo, potrebbe arrivare anche a quel pubblico distratto che si lascia scegliere dalle canzoni che passano nei media tradizionali, senza praticare il minimo sforzo di cercare il bello anche nelle zone poco soleggiate. Per una volta faremo un’eccezione e saremo lieti di stare dalla parte di chi vince, noi che in genere, “da sempre e per sempre, siamo dalla parte di chi perde”.