Sulla genialità di Leo Ortolani credo che il dibattito sia chiusissimo. Cioè, davvero qualcuno avrebbe l’ardire di mettere in discussione la sua folle visione creatrice? Stiamo parlando della matita che ha prodotto Rat-Man e tutti i suoi derivati, i suoi folli contorni, i suoi deliranti spin-off. Ora tocca a “Matana” (Panini Comics), volume unico in cui sono raccolti, questa volta a colori, i sei albi della breve saga uscita due anni fa circa. Sinossi flash: siamo nel Vecchio West e Matana (Rat-Man sotto mentite spoglie) è un cacciatore di taglie sulle tracce del terrificante El Muerto. Insieme a lui un cavallo parlante che evoca gli animali canterini de “I tre amigos”, Cinzia in versione Djanga, lo schiavo Isaia e Speranza, pistolero dagli occhi di ghiaccio che sin dalla prima apparizione ci stampa in fronte l’essenza e l’estetica del Clint Eastwood di Sergio Leone. Spaghetti western dall’inizio alla fine. Ogni topos almeno sfiorato, più spesso affrontato di petto con le armi del tipico humour alla Ortolani. Attenzione, però: “Matana” non è solo un’avventura di Rat-Man con il cappello da cowboy in testa. Qui c’è più sangue. Più cattiveria, seppur come sempre declinata al demenziale. Un demenziale gelido, però, che ben si sposa con le atmosfere di sei albi splendidi, a partire dalle copertine-simil locandine, passando per i disegni e un gergo cento percento western che merita solo applausi (fra i titoli degli albi, a evocare i film dell’epoca: “Spara più forte… Matana non ti sente!”, “Quando parla Matana… i morti tacciono!”).
Al di là di analisi strettamente fumettistiche che faranno senza dubbio sbizzarrire i fan di Ortolani – in buona parte questo già accadde quando gli albi uscirono in edicola un paio di anni fa – alla ricerca di riferimenti, citazioni, ammiccamenti più o meno velati alle passate peripezie di Rat-Man, questa avventura stimola qualche riflessione su cosa significhi, oggi, pubblicare una storia terribilmente divertente che, come da tradizione ortolaniana, si fa beffe del politicamente corretto e, contemporaneamente, anche del politicamente scorretto. Perché se il politicamente corretto di chi, ad esempio, inserisce i disclaimer come intro alle proprie battute (non si contano i “vi giuro non è sessista affermare che…”) ha ormai frantumato la pazienza di ogni coscienza libera e onesta, ce n’è anche per l’altra parte. Diciamo che il finto politicamente scorretto (valanghe di parolacce – oh, così dure e minacciose – per poi chiudere il tutto con una retorica addirittura lacrimevole) e il politicamente scorretto facile e gratuito (Stewart Lee ingaggiò una battaglia epica con Frankie Boyle, fra i maestri del genere, ribattezzando la trasmissione in cui Boyle imperversava “Mock the weak”. “Weak”, deboli, al posto di “week”, come dire che il politicamente scorretto di Boyle, in realtà, era solo un modo per sbeffeggiare i più deboli, disabili compresi, senza mai turbare il sonno dei forti) non sono da meno in termini di ipocrisia e prevedibilità.
Sono tante le battute e le gag contenute in “Matana” che ci ricordano quanto sottile sia la corda su cui Ortolani cammina da anni. Con le sue fantastiche idiozie, le sue freddure, quella demenzialità che ci fa sentire tutti più leggeri e, al contempo, sottilmente raggirati. Ci porta dove vuole lui, Ortolani. E così Matana, che in certe tavole quasi ci convince di quanto spietato potrebbe essere, se “triggerato”. Del fatto che dobbiamo temerlo, caz*o, questo infernale pistolero che, prima o poi, riempirà qualcuno di piombo. “Matana” non è solo un fantastico omaggio all’epica western, una rielaborazione filologicamente rigorosa di tutto ciò che abbiamo amato del cinema western post-Ford (dal primissimo Sam Peckinpah in avanti, grosso modo), ma è anche una suprema dimostrazione di forza umoristica. Tra qualche testa che rotola e qualche busto diviso a metà, riderete molte volte, e forte, durante i monologhi di Speranza interrotti in modo quasi sacrilego da Matana, un sabotatore seriale più che un pistolero. Riderete, semplicemente. Senza chiedervi perché. Senza il dubbio che quella risata possa essere colpevole o, viceversa, rappresentare un eroico atto di resistenza.