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Armageddon su Netflix:
Ricky Gervais non è più
la fine del mondo

  • di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

26 dicembre 2023

Armageddon su Netflix: Ricky Gervais non è più la fine del mondo
Nel giorno di Natale, Ricky Gervais è sbarcato su Netflix con il suo nuovo special, Armageddon. Dovrebbe parlare della fine del mondo, ma non lo fa. Dovrebbe scudisciare il pensiero woke e il terrore per le parole di cui soffre la nostra società per via del politicamente corretto. Lo fa, in parte, rimanendo troppo in superficie. Il resto dello show sono battute copia e incolla (per chi già conosce e ama lo stand up comedian britannico). Un compitino svolto di malavoglia, un'occasione quasi del tutto sprecata. Stavolta, ha toppato

di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

Si è stufato pure lui. Al termine di Armageddon, il nuovo special di Ricky Gervais approdato su Netflix il giorno di Natale, impossibile non ritrovarsi delusi assai. Invece di aggredire le storture della nostra società, questa volta il nostro ha preferito fare il solletico alle bizzarrie del folle mondo in cui ci tocca vivere. Noto per essere feroce e spietato, da tigre Gervais si è tramutato in gattino corrucciato. Da bestia a bestiolina che, dopotutto, al massimo può fare tenerezza. E questo è un vero peccato, considerato che il comico 62enne, data carriera e fama, è rimasto tra i pochissimi a poter dire tutto o quasi, in tempi in cui "non si può più dire niente". L'impressione è che abbia capito il gioco: non importa la qualità dello show, basta inserire nel testo qualche parola oggi "inaccettabile" (da "ritardati" in poi), per scatenare polemiche e e shitstorm online. Comunque, ottime per la promozione di uno special. Questa volta, per esempio, ancora prima che Armageddon venisse aggiunto al catalogo Netflix, è nata una petizione su Change.org con oltre 12mila firmatari per cancellare lo show. Il promo, con la parola "ritardati" e "pelatini" (quest'ultima riferita ai bambini malati di cancro) ha fatto incazzare molte persone, lasciando così deflagrare, insieme all'indignazione, il giusto tasso di hype. Peccato che poi lui, Gervais, non si sia curato di scrivere un monologo all'altezza delle aspettative. Né di chi lo odia, né di chi lo ama. 

Ricky Gervais con Armageddon su Netflix
Ricky Gervais con Armageddon su Netflix

Il primo problema di Armageddon è che tolto il termine "woke" e altre rari eccezioni attualizzanti, potrebbe essere un monologo del '95. E, probabilmente, lo è. Michael Jackson e la pedofila, i bambini africani che nascono con l'Aids, sua nonna con l'Alzheimer che muore "perché a un certo punto si è dimenticata di vivere". Avanguardia pura. Gervais gioca sul fatto che certe cose non si possano (più) dire e riciccia le battute che ha sempre fatto in uno special che, inevitabilmente, finisce per sapere di deja-vù. È bravo ma non si applica, verrebbe da dire. E non lo fa, non sul serio, perché tanto lo pagano lo stesso. Pigro? Molto. Altra sciagura che si abbatte su Armageddon è la smania di spiegare le (poche) battute, specie quelle che potrebbero risultare più "controverse" alle sempre sensibili orecchie del pubblico contemporaneo (e "woke", appunto). Non è una novità, lo ha fatto anche negli special Netflix precedenti. Stavolta, però, diventa una vera e propria tassa: più di un quarto dello show (che in tutto dura una sessantina di minuti)  se ne va con lui intento a inerpicarsi in ciò che un comedian non dovrebbe fare mai: argomentare come, quando e perché la punchline appena proferita sia divertente. Con un responso tendenzialmente assolutorio: "Nessuno può scegliere il proprio senso dell'umorismo, se una cosa, per quanto "cattiva", vi fa ridere, va bene". E andate in pace, nel nome di Ricky. 

Ricky Gervais con Armageddon su Netflix
Ricky Gervais

Se non avete mai visto nulla di Gervais, questo special riuscirà comunque a strapparvi qualche risata. Per la maggior parte del tempo, però, faticherete a distinguerlo da un vecchio zio che bofonchia sui tempi moderni al pranzo di Natale. Solo, non arriverà mai la tombola a placare le sue sfuriate. E qui interviene un altro elemento che impoverisce lo show: la "furia". Il comedian britannico passa così tanto tempo ad attaccare le persone "che hanno paura delle parole" da rendere chiarissimo un punto: gli dà fastidio, gli dà fastidio assai essere criticato da loro su Twitter (pardon, X!). Quando un comico, specie della sua caratura, lascia trapelare di essersi sentito colpito (e forse anche affondato) da qualunque boiata il signorino o la signorina nessuno di turno gli cinguetta contro, perde. Perde in credibilità, perde perché lui dovrebbe essere super partes, dovrebbe ricoprire il ruolo del tizio che guarda tutto dall'esterno, se non dall'alto, per spernacchiare ogni assurdità del presente in cui viviamo. Dimostrarsi coinvolto, anzi pure parecchio impermalosito, dalle reazioni di quegli stessi individui che sfotte, significa dargliela vinta. E nessuno, davvero nessuno, vuole vedere Ricky Gervais perdere contro i bigotti. Vecchi o nuovi che siano. 

Ricky Gervais con Armageddon su Netflix
Ricky Gervais

Il fatto che sia, in qualche modo, intimidito dalla mentalità ristretta del pubblico si evince anche dal bugiardino che ha postato su Instagram a corredo dell'annuncio della venuta di Armageddon: "In questo show, parlo di sesso, morte, pedofilia, razza, religione, libertà di parola, riscaldamento globale, olocausto ed Elton John. Se non accettate che ci si possano fare battute sopra questi temi, non guardatelo. Non vi divertireste e, anzi, vi arrabbiereste". Davvero Ricky Gervais ha bisogno di anticipare gli argomenti di cui tratterà in un suo special? Sono gli stessi da 30 anni. Se è vero che oggi c'è un pubblico "nuovo", dotato dell'apertura mentale di una porta blindata, non ha senso che Gervais se ne faccia carico con così tanto "maniavantismo". Dovrebbe fare il suo lavoro, senza tenere in così tanta considerazione chi, tanto, non lo capirà comunque. E, appunto, si incazzerà (per altro, facendogli gioco. Quindi che problema c'è?). Gervais si è imborghesito, impigrito, ha svolto un pavido compitino pensando solo e unicamente al cachet, non certo al pubblico. O meglio, di sicuro non a quella (comunque grande) fetta di pubblico che lo adora. Leggerete critiche (molto) positive nei confronti di Armageddon. E le leggerete perché per stroncare un comedian della sua caratura, ci vuole un certo coraggio: chi sei tu, scribacchino qualunque, per dire che "King" Ricky non abbia fatto ridere? Probabilmente, è solo che non lo hai capito. Non lo hai capito e ti permetti di scrivergli contro. Gli scriviamo contro, con somma amarezza, proprio perché lo conosciamo e non ci facciamo obnubilare dalle nebbie del gaslighting né da quelle della soggezione reverenziale: stavolta Gervais ha toppato, lavorando col pilota automatico a un testo che non graffia, al massimo fa le fusa. Da lui ci si aspetta ferocia, eccellenza, una capacità di lettura che si erga dal coro di quelli che provano a essere un'unghia di Gervais. Ecco, Gervais in Armageddon è stato esattamente un'unghia di Ricky Gervais. Non certo la fine del mondo. 

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