Giorni fa, verso le 23, steso sul mio divano preferito (in sala i divani sono due), ho visto con mia moglie un episodio di The Resident, serie tv medical ambientata a Atlanta. Io e mia moglie siamo appassionati di serie tv medical, questo nonostante lei sia ipocondriaca, quindi si sottoponga seguendo questo tipo di programmi a tutta una serie di stress, e nonostante io per mia natura stia il più lontano possibile dalla medicina, o almeno dai farmaci. In questa puntata, non sto certo qui a raccontarvi del nostro quotidiano divanesco né delle mie abitudini sanitarie, in questa puntata si raccontava la storia di un tipo, condannato per stupro, che si ritrova ricoverato al Chastain Park, ospedale intorno al quale ruotano le varie trame, per una malattia ovviamente sulle prime difficile da scoprire. La faccio breve, a un certo punto, mentre versa lì tra la vita e la morte, viene fuori che il tipo, sottopostosi a un trapianto di midollo in gioventù, ha in corpo due DNA differenti, il proprio e quello di un suo amico di infanzia, il donatore. Viene ovviamente salvato e, nel venir salvato, si scopre anche che non è in effetti lui a aver commesso lo stupro per il quale da oltre dieci anni è in carcere, ma il suo donatore,. Questo fenomeno, avere due DNA differenti, si chiama chimerismo, coabitazione nello stesso corpo di popolazioni cellulari derivate di differenti individui. Il nome chimerismo, non è difficile da intuire, prende il nome dalla chimera, figura mitologica arrivata a noi dall’antica Grecia più che altro a livello metaforico. Quando infatti si parla di chimera, sempre che se ne parli, si intende qualcuno che difficilmente riusciremo a vedere, tanto più a toccare, più appartenente al mondo dei sogni o della fantasia che alla realtà. suo il DNA trovato sul luogo del delitto
La chimera, anzi Chimera, perché è un nome proprio, figlia di Tifone e Echidna, sorella a sua volta di Cerbero, Idra e Ortro, appunto, era rappresentata iconograficamente come un leone con una testa di capra sul dorso, la coda di drago o serpente e, in differenti versioni, ce n’è una anche nella tradizione etrusca, altre parti di animale sparse qua e là, a caso. Del resto anche i suoi fratelli e sorelle sono a loro volta mix di vari animali, tutti piuttosto mostruosi. Tra le caratteristiche peculiari della Chimera, fa ridere perché sto parlando di un mito, non certo di qualcosa di reale, il poter respirare e gettare fuori dalla bocca fuoco, l’avere denti avvelenati come i serpenti, il tutto filtrato da una intelligenza umana, tanto per umanizzare una figura altrimenti totalmente animalesca. Nel mito, così, tanto per completezza dell’informazione, almeno nella versione greca, a uccidere Chimera sarà Bellerofonte, per compito dei Iobate, re di Licia. Quest’ultimo era stanco per le scorrerie e omicidi di Chimera nella sua terra e incaricò Bellerofonte di uccidere il mostro. Per poterlo fare, noi umani siamo fatti così, Bellerofonte dovette aguzzare l’ingegno, fino a inventarsi una lancia con una punta di piombo, metallo sensibile al fuoco e facile a sciogliersi. Scagliata la lancia tra le fauci leonine di Chimera, infatti, il piombo incontrerà il fuoco, sciogliendosi e soffocando l’animale. Fine della Chimera. Sul perché Chimera sia passata dall’essere uno scherzo di natura, un mostro da uccidere in quel modo, all’essere qualcosa cui guardare non solo con curiosità ma anche con desiderio, proprio per il suo essere irreale e quindi impossibile da realizzare o trovare, beh, non è difficile farsi una idea. Noi uomini tendiamo per natura a desiderare ciò che non abbiamo, sognare a occhi aperti, concentrare più l’attenzione e anche lo sguardo sull’irreale che su quello che ci ritroviamo costantemente di fronte. La stessa mitologia greca, del resto, è piena di uomini che hanno osato, gli Dei greci erano particolarmente incazzosi, provato a fare proprio qualcosa che non gli apparteneva, dal fuoco a Elena, mi si scusi per il patriarcato indotto, dall’idea di poter volare a quella di poter fornicare con la qualunque, Icaro che vede sciogliere le sua ali di cera con l’avvicinarsi al Sole come Prometeo che si vede mangiare il fegato da un’aquila, lui reo di aver rubato il fuoco a Zeus per farne dono agli uomini, sono solo un paio di immagini che mashuppano mondo degli uomini e mondo animale a beneficio di un culto non esattamente orientato all’integrazione e l’inclusività tra abitanti del pianeta Terra (Zeus non era un abitante qualunque, e neanche il titano Prometeo, ma ci siamo capiti). Nei fatti se dicevi Chimera ai tempi in cui si pensava che Zeus in effetti esistesse pensavi a un mostro che avrebbe potuti sbranarti, ustionarti o avvelenarti con un suo morso, se lo pensi oggi vagheggi su qualcosa di fantastico che, nella realtà, mai potrà esistere. Vedi tu a volte come il tempo cambia le prospettive (una volta si diceva si limitasse a aggiustare le cose, pensa te).
La nostra discografia ha a suo modo una Chimera, o guarda come fosse Chimera a una artista in carne e ossa (e soprattutto voce). Parlo di Giorgia, recentemente tornata di scena con un nuovo lavoro di inediti, Blu 1, primo disco pubblicato a sette anni dal precedente lavori di inediti, e sempre recentemente vista in quel dell’Ariston, in gara con Parole dette male. Dire che Giorgia è vista come Chimera è ovviamente una forzatura retorica, figuriamoci se parlando di miti mi faccio sfuggire occasione di forzare la mano alla narrazione, ma è pur vero che sono anni e anni e anni che si dice di lei che non ha repertorio, che con la voce che ha potrebbe cantare qualsiasi cosa, salvo evidentemente quello che di volta in volta decide di cantare, che per il talento che ha dovrebbe essere una delle artiste più famose al mondo, invece se ne sta troppo spesso in disparte. Anche questa partecipazione al Festival della Canzone Italiana è stata un po’ travagliata, entrata papessa, designata con Marco Mengoni e Ultimo alla vittoria finale, almeno da bookmaker e gente della strada, non si è neanche giocata uno dei cinque posti nella finalissima, quel sesto posto una specie di schiaffo che qualcuno, immagino dalle parti della Sala Stampa, le ha chissà perché voluto tirare, la quinta posizione nella serata dei duetti, quella che l’ha vista confrontarsi con Elisa nel mix Luce/Di sole e d’azzurro, grida ancora vendetta. In molti hanno lamentato che il brano presentato non fosse all’altezza delle aspettative, troppo poco come la Giorgia del passato, poi vai a capire di quale Giorgia si parla, quella di E poi o quella di Di sole e d’azzurro, appunto, quella di Marzo o quella di Oronero? Con quella voce lì potrebbe cantare qualsiasi cosa, il non detto, tranne quello che canta.
Chi scrive, che poi sarei io, non ha mai sposato questa tesi, carta canta, a Sanremo ho strenuamente difeso a scelta di Giorgia di portare un brano che, a mio avviso, ci raccontasse la Giorgia di oggi, non vedo perché una artista dovrebbe stare staticamente ferma al passato, specie a un passato che, certo, ci ha regalato grandi soddisfazioni, ma non era certo orientato così tanto verso il futuro da risultare credibile oggi, se non come proposta appunto di un passato passato. Blu 1, evidentemente prima parte di un Blu 2, nove canzoni per mezzora poco più di musica, suppongo, avrà mandato i tanti che sono stati lì a immaginarsi una Giorgia tornata ventenne a cantare come una nostrana Whitney Houston, Whitney Houston da giovane, ovviamente, saranno rimasti piuttosto male, il dodicesimo posto in classifica la prima settimana lì a provarlo. Questo perché Blu 1 non ha nulla a che fare con altro che con la voglia che Giorgia ha ritrovato di fare musica, evviva, qualcosa che si trovi a metà strada tra l’urban di questi giorni e un amore verso il new soul che la nostra ha sempre palesato, anche quando il new soul non era poi così new e l’urban lo chiamavamo al limite RnB. Un amore ritrovato al punto che, a sentirla cantare, a volte declamare, in queste nove tracce, decisamente Parole dette male la più sanremese tra tutte, non possiamo non aver notato che, proprio come un mito greco, la sua voce è improvvisamente ringiovanita, come se in effetti Giorgia avesse venti anni, nella limpidezza e piglio, tutti i suoi cinquanta, lo dico io che sono un paio d’anni più vecchio di lei, nella profondità interpretativa, la medesima curiosità verso il mondo di chi ancora il mondo non lo conosce, con la consapevolezza di cosa è il mondo di chi invece il mondo lo ha già frequentato. Un lavoro ambizioso, quello messo su con Big Fish, produttore storico di area hip-hop, un passato al fianco di Tormento (lui pure da sempre in bilico tra urban e new soul) e di tanti nomi quali Fabri Fibra o J-Ax, un incontro che ha ridato a Giorgia la voglia di sperimentare, di tornare a giocare con quella voce che appunto tutto può cantare, fregandosene, è il caso di dirlo, delle mode del momento, in quanto tali destinate a passare velocemente, e anche di quella che è la sua stessa eredità, una non è che può passare la vita a pensare di replicare se stessa, se no sai che palle. Un disco, Blu 1, che non cerca scorciatoie, e nel non cercare scorciatoie non può che portarci a spasso per un percorso panoramico fatto di curve, di strapiombi, di roseti come di radure, panorami vari invece che strade asfaltate ma prive di forme di vita. Giorgia è tornata, e già solo per questo si dovrebbero sacrificare capretti (metaforici) e fare libagioni, perché è tornata davvero, con un progetto che è suo fino al midollo, di facile ascolto, se si è distratti, leggero come il pop sa essere, ma che al tempo stesso richiede un ascolto attento, di quelli che ti permettono di cogliere sfumature, le tante voci che si affastellano sulle singole tracce, un modo diverso di usarla, la voce, quando si è musicisti e non semplici cantanti succede, una sorta di sfida per chi la musica prova a indossarsela, non solo a appoggiarsela addosso come si fa con la copertina in autunno, quando arrivano i primi freschi. Ecco, a vederla così Giorgia è davvero una Chimera, ma non nel senso che è impossibile vederla, quanto piuttosto che si ha la sensazione di avere a che fare con una artista di un altro pianeta, o quantomeno frutto della fantasia di una divinità, mostruosa nel senso più alto del termine. Una a cui interessa la musica, l’arte, e che quindi prova a confrontarcisi senza farsi sconti, solo e soltanto quando ha qualcosa da dirci, qualcosa detto bene, benedetta Giorgia.