Le situazioni si evolvono e i tempi cambiano, ma non sempre in meglio. Per tutti gli anni Ottanta e Novanta, il maranza non ha dato fastidio a nessuno; ma chi era e in cosa si è trasformato? Il vocabolo è nato a Milano già negli anni Ottanta con un certo significato, ma oggigiorno è stato rispolverato, diffondendosi a livello nazionale, anche grazie ai social network. In realtà, è possibile far risalire il termine maranza all’unione di due parole: marocchino e zanza. Se in tempi passati era un fenomeno ultra-pop da guardare con interesse, soprattutto nel milanese, in tempi recenti la storia ci racconta qualcosa di poco felice. Televisione e social, per spettacolarizzare il fenomeno e avere più contatti, non analizzano mai la prima parte del racconto ma sempre la seconda. Paolo Del Debbio su Rete4 docet. La parola maranza esiste da sempre, in quanto slang giovanile milanese: viene attribuito ai classici ragazzi di strada che vanno in giro in comitive numerose e provengono dalle periferie cittadine. Fin qui nulla di male perché questa fotografia rappresenta una storia che purtroppo si è evoluta in maniera sbagliata. I maranza di oggi rappresentano una versione aggiornata capace di tornare di moda grazie a un look più definito rispetto al passato. Sono ben identificabili per il loro stile grezzo e tamarro: capelli arruffati, tuta in acetato di marca (solitamente contraffatta), borsello a tracolla e t-shirt delle squadre di calcio; look completato da collane e vistosi orologi. Questo loro stile opinabile porta i maranza a essere presi in giro sui social media. La loro presenza in massa nelle vie del centro meneghino è riuscita a dare a questo movimento spontaneo una caratterizzazione fortemente identitaria, tanto da essere entrata nel linguaggio di tutti i giorni. L'ultima loro "impresa", poi, è consistita nell'assalto, durante un corteo per il 25 aprile, della Brigata ebraica al grido di "Palestina libera".
Di recente, le azioni vandaliche dei maranza hanno avuto lo scopo di creare confusione in modo caotico e volgare. Molti giornali fanno spesso riferimento a risse avvenute tra persone identificabili come maranza, inquadrati proprio come stranieri o italiani di seconda generazione. È bene ricordare però che spesso sono proprio i maranza stessi a pubblicare video dei resoconti del loro dominio su un certo territorio, piuttosto che su un altro, e a far emergere un botta e risposta di minacce e insulti. Social e televisione ci mettono del loro ma anche i maranza fanno poco per aver un’immagine più pulita, permettendo ai mezzi di comunicazione di calvalcare l’onda della cronaca. Tuttavia, come accade con tutte le piccole comunità o mode, non è giusto prendere il peggio per lasciare il meglio a latere, anche se i diktat mediatici degli anni 2020 vogliono questo; nella puntata del 14 settembre di Dritto e Rovescio su Rete4, condotta da Paolo Del Debbio, abbiamo assistito a un siparietto a tratti divertente e in altri casi poco elegante tra lo stesso giornalista, cinque maranza e gli ospiti. Inutile scrivere che i maranza ne sono usciti con le ossa rotte, un po’ perché essendo giovani non sapevano come controbattere, un po’ perché erano stranieri, un po’ per i servizi andati in onda; i cinque, dal punto di vista dell’atteggiamento e dell’abbigliamento, erano dei perfetti maranza in stile anni Ottanta, con l’aggravante di essere stranieri e spavaldi. Ma oltre tutto questo restano le loro storie personali di disagio.
Uno di questi ha detto di usare i social per “raccontare con rabbia” il fatto che la sua sorellina down è costretta a vivere in un mondo che l’accoglie in maniera inadeguata. Queste parole hanno toccato il cuore, anche se anche in questo caso il finto buonismo era dietro l’angolo: si può raccontare la rabbia senza essere volgari, bestemmiare, prendersela con il prossimo ma soprattutto senza atti vandalici che disturbino la comunità. Oggettivamente i media tendono a raccontare il “fenomeno maranza” in maniera cialtrona e superficiale, come se si trattasse di persone con uno stile di vita solamente cattivo. Gli stupidi ci sono in ogni comunità ma la tv esagera nel trattarli come fenomeno da baraccone, non comprendendo fino in fondo che il maranza fa parte della cultura milanese e del suo hinterland. Tra l’altro, questo fenomeno, chiamato in maniera diversa, è presente in tutta Italia. Essere truzzi, oppure vestire in un certo modo, non lede la libertà di nessuno e certi media dovrebbero stare attenti a etichettarli come teppisti poiché, anche se spesso i maranza si riuniscono in gruppi, possono anche non fare del male a nessuno, dando solo colore e rappresentando una sfumatura pop del nostro tempo. La televisione, il mezzo di comunicazione più diffuso e ascoltato, ha veicolato sbagliando certi stereotipi, ma è bene ricordare che non è un vestito o un genere musicale ascoltato che determinano la bontà o la cattiveria di una persona. Non fare di tutta l’erba un fascio è dunque l’arma migliore che possiamo usare quando parliamo di argomenti delicati e lontani, in termini generazionali, dalla nostra sensibilità. Alla fine, loro si sono evoluti, la tv non molto. L’essenza di essere maranza, forse, è stata un po’ dimenticata.