Il suo immaginario è Marx al contrario, l’incubo dei moralisti e dei pedagoghi. Cosa è questa roba?
La voglia di rivalsa dei millennials nati nella bambagia e poi obbligati a un’omologazione senza picchi di buon umore. Vite in ufficio, carriere, conti correnti troppo bassi. Chi cazzo vuole this shit? Nessuno babe. Volevamo la pila, l’ebbrezza, le donne. Abbiamo: famiglia, incertezza e manco più Madonne.
Il fatto è questo. Quando vai al cinema per vedere un film di Tarantino o Scorsese non cerchi la sorpresa, cerchi esattamente un film di Tarantino o Scorsese. Che poi è la stessa storia per il rock and roll. Lennon e McCartney non volevano inventare niente di nuovo, solo imitare Elvis. Il rock and roll è una questione di stile, di attitudine. Conta solo quello. E l’arte forse è la stessa cosa. Caravaggio aveva quell’attitudine. Dalì era attitudine. Kubrick era attitudine.
E Gué Pequeno? Cosimo Fini un genio non lo è, ma uno con l’attitudine sì.
A volte è tamarro (Vendo barre come barella/ Se alla moda preferisco, sì, la passera alla passerella), a volte platealmente falso, a volte ancora con un ego grosso come l’Esselunga di Via Solari (Sono come un regista, lei vuole che la giri/ Parlo di più coi morti, li preferisco ai vivi/ Prendimi bene in testa se miri). Però se lo può permettere. Mr. Fini ne è la prova. Uscito alla mezzanotte del 26 giugno, questo non è il disco per gli addetti ai lavori, non è la menata intellettuale di un artista da classifica, è anzitutto un album pieno di belle atmosfere, di sound evocativi.
Dentro Mr. Fini troverete in abbondanza tutta l’epica cinematografica con cui siamo cresciuti. È come per i vestiti assurdi, non tutti possono permetterseli, così come le citazioni di Scarface che in bocca a lui non stanno male mai (ascoltate Chico e godete).
Cosa è questa roba?
La voglia di rivalsa dei millennials nati nella bambagia e poi obbligati a un’omologazione senza picchi di buon umore. Vite in ufficio, carriere, conti correnti troppo bassi. Chi cazzo vuole this shit? Nessuno babe. Volevamo la pila, l’ebbrezza, le donne. Abbiamo: famiglia, incertezza e manco più Madonne.
Abbiamo “noi”, perché Cosimo si è ritagliato una bella nuvola su cui vive.
Quarant'anni ed essere una leggenda. Amato da almeno due generazioni di ascoltatori. Uno che non se la mena a dire ciò che pensa: “Ghali è un fake. Appartiene all’universo fashion: non sarà mai un idolo del mondo di colore” (Corriere della Sera). Pilastro underground con la Dogo Gang e poi membro fisso dell'establishment negli ultimi anni in cui riempie il Forum di Milano, viene proiettato in Rai, vince dischi di platino, va in tv.
Quando lo guardi pensi: ecco uno dei pochi che ce l’ha fatta. Produttore, venditore di magliette, autore di dischi, scopatore seriale. Macho, omofobo (maddai su!), conquistatore, dente d’oro, tatuato. Affermato.
Per i comuni mortali un piccolo astro da seguire.
Fuori dal marketing del mito, dall'auto incoronazione, Cosimo è uno simpatico e intelligente. Mr. Fini lui lo definisce un disco che deve “restare”, una sorta di opera della maturità. Io non so cosa sia ma scorre bene in sottofondo e ci regala gemme tipo in Stanza 106: “Ho un cervello ed un cazzo in competizione/ Una parola sola riguardo a cose e persone (Sola una)/ Tutto ciò è riferito a fatti reali (Ah-ah)/ Ho due gambe, due palle, tre pali/ Sputtanati ai quattro venti in droghe, donne ed affari”.
Il suo immaginario è Marx al contrario, l’incubo dei moralisti e dei pedagoghi, il frutto di questi tempi in cui l’etica è il successo, la morale è qualcosa di cui parli al massimo con lo psicanalista: “Mi appello come sempre all’articolo quinto (Ah-ah?)/ Ovvero chi c’ha i soldi ha vinto (Ahahah)/ Ehi, me ne fotto delle nuove droghe, delle Instagram model (Ehi)/ Sì, diventa duro solo con le banconote (Ah)”.
Passate da sborone sempre tante, ma con stile: “Tu sei un attore, io un alligatore, Cayman Porsche/ Sputo su una generazione in posa/ Conosco i very Tony, conosco i very Sosa”. Per tutte quelle che lo accusano di essere sessista ecco un bel pezzo confessione su cosa prova per una donna, in Immortale c’è l’amore ai tempi dei social, qualcosa che racconta il 2020 meglio dell’Istat: “Sono messo male, mi spiace scriverti a quest’ora/ Ma sai ‘sta merda mi divora, spero che il tipo non ti scopra/ Mentre dorme affianco te e sente vibrare il cell/ Magari leggerai domani, vorrei mollare tutti i piani/ Vorrei prendere e incontrarti e farci degli origami/ Se leggessi le mie mani metteresti le tue mani/ Tra i capelli, disperata se vedessi i miei occhi spenti/ E la linea della vita frastagliata dagli eventi/ La morte mi ossessiona e che il mio corpo muoia/ E che l’anima viva, lo sai, non mi consola/ Pensavo di essere meglio, spero che domani mi sveglio/ Cosa c’è nell’aldilà? Vorrei fare un backup”.
Il pezzo più bello è in chiusura, con Mi Ricordo: “Realizzi che non ti sei realizzato e che sei grande/ È meglio farsi o a farsi delle domande?/ Mi hai chiesto se ti amavo, io ho glissato / Ho preso, speso, colpi, soldi più di quelli, frate’, che ho incassato (...). / Ai tempi in cui mio padre mi inseguiva in corridoio/ Alla fine mi beccava e mi mandava KO/ Chissà perché ho scelto un destino/ In equilibrio sopra un filo/ Mi sento come dalla psico’ sul lettino/ Io volevo un bottino, dirty come Bettino/ Mamma vorrei darti un bel finale alternativo/ Davvero, vorrei darti il mondo/ Per rubarti queste perle, sai, ho toccato il fondo/ Non dell’oceano, ma di un basso fondo/ Sì, è pur sempre un fondo/ E mi ricordo di ciascun tramonto”.
Questa roba non è il mio stile, questo rapper non è il mio genere, eppure è tutta la mattina che lo ascolto e penso che continuerò anche nel pomeriggio. Finalmente la voglia di sentire un disco per intero e non un cazzo di singolo.