Manifesto dalla prossima bara, scandito dalla morte dei tuoi fari generazionali. La sua foto sdentata gira sui social. Rip Shane MacGowan, pure gli italianiioti come me colonizzati dalla cultura oltre la Manica hanno diritto a scriverlo. Attimo di lutto digitale, scrollarsi di dosso i detriti di chi inventa la spensieratezza e ne fa prodotti, nuova gioia dalle periferie al cuore del mondo che sembra battere a ritmi così regolari che ti addormenti senza benzodiazepine. Cosa ci porta a desiderare quel qualcosa che ci cambierebbe l’esistenza, anche solo per mezz’ora? Ci pensi tutti i giorni anche adesso, occhi aperti sullo schermo bianco, nel divenire nero delle mie parole. Conto alla rovescia, fino all’ultima casella che sancirà il nostro the end, nella consapevolezza che pochi avranno diritto a un finale hollywoodiano. Secondi scanditi dalla morte organica dei tuoi fari generazionali. Ci porteremo sottoterra la nostra memoria: gli archeologi del futuro troveranno le nostre playlist e cronologie. Sì, additateci come boomer e cringe, ma abbiamo fatto in tempo ad avere dei riferimenti autodistruttivi e alquanto infantili e per questo eroici nell’età che conta, quando cerchi ruoli e antagonismi, perché io e i miei coetanei ce lo ricordiamo Shane MacGowan che ancora stava in piedi, che tutto è saltato in aria per la furia di undici strumenti acustici. Sì, fate scroll, passate ad altro, rigettate l’istanza di un alieno: vi scrivo da un’epoca che il vostro Maestro che inizia per meme e finisce per Factor non vi ha insegnato.
“This was punk”, anche se sarebbe meglio scrivere panc, altro concetto a effetto, vilipeso e stra-abusato per incastonare merda a forma di ciliegine nelle torte preconfezionate a uso dei millenial, sorrisi coi filtri che tutto si prendono, consumano, giudicano e sbeffeggiano, per sguazzare gloriosi in un istantaneo presente che ha sostituito le retorica del nostro “no future”. La spocchia con cui oggi si dice cosa sia bello, cosa sia brutto, dei Pol Pot coi tatuaggi sanciscono l’Anno Zero del tutto ignari dell’angst analogico dei nostri passati, ancora così presenti nel silenzio dei nostri istanti percettivi. Tenetevi Elodie, Madame, Guè Pequeno, Lazza e tutto quel flow dall’io narrante che si bea di avercela fatta, che nemmeno su LinkedIn trovi personaggi del genere. Ma adesso la smetto che c’è una nuova stand up gag da condividere. Gloria alla mia generazione dimenticata, incastrata tra le spranghe e l’eroina dei ’70 e la plastica del decennio successivo. Titoli di coda dedicati ai tanti eroi dimenticati, ormai humus, sotto qualche lapide impaginata male, da Johnny Thunders a Jeffrey Lee Pierce e Pietro Ciampi. La macchina da presa inquadra ora dei fiori appassiti, mentre vengono buttati nella spazzatura, intanto i violini del Titanic continuano a suonare e ogni nuovo venuto al mondo cerca di afferrare la propria fetta di gloria e fortuna.