Caro maestro Riccardo Muti, le scrivo in modo semplice e umile dal cuore, dalla mente, insomma dall'anima. Io e lei abbiamo due amici in comune (uno è Vittorio Sgarbi, ndr). Entrambi ci hanno presentati, uno vent'anni fa e non è più qui, Carmelo Bene, uomo di grande importanza culturale, capace di vera arte, sia creatore che pensatore, uomo irripetibile, così prezioso e diverso, e coraggioso, eppure anche così vilipeso, frainteso, che fa male rendersi conto di quanto ingrato sia stato il suo tempo di non averne colto il peso, non aver saputo ascoltare quell'universo di idee, non averlo trasmesso al pubblico, quando il suo genio avrebbe non solo potuto creare spettacoli intensi ed emozionare il pubblico, ma istruire il paese, investendolo di una capacità pratica dell'esercizio dell'apertura mentale, un allenamento all'elasticità della mente. Cosa che non è avvenuta perché di Carmelo Bene non si è saputo fare l'uso, escludendolo dai palchi e dai canali quando lui era pieno della sua vitalità inventiva, pieno dell'energia performativa. Lo si è emarginato, costretto a lottare contro il sistema da fuori, e lo si è invitato troppo tardi quando ormai era una cattedrale costruita su lava pietrificata in cui scavando si potevano trovare in forma di fossile le forme di vita della sua arte che ormai erano estinte. Quanto bene oggi più che mai avrebbe fatto al mondo la sua presenza, agli altri, alla gente, il pubblico, a noi ragazzi. Noi ci nutrivamo con i frutti del suo lavoro, noi che non volevamo essere tanto i suoi eredi, ma i figli naturali perché, vivendo nel suo tempo, e figli morali, perché assorbendo il suo spirito per restituirlo a nostra volta. Ma una volta esalato lo spirito, evaporato, lo spirito non torna più corpo. Non ci dà due chance il tempo quando ci passa attraverso. Come nella musica. Se non si suona la nota al momento giusto, che è uno soltanto, una volta perso l'appuntamento, perché se le note non suonano dove devono suonare significa che quella musica lì non sta accadendo, quindi non esiste. Questo è stato fatto a Carmelo Bene, ma a tutti, perché oscurare un artista è oscurare l'arte. Quindi privare il pubblico, ma anche più brutalmente oggi che i tempi sono altri ed è ancora più difficile e doloroso riuscire a restare vivi, ma non per sopravvivere, per riuscire a mantenere alto lo spirito, e che non è solo respirare, è a funzionare, dimostrare perché si onora lo spirito artistico e non la vanità, la superficiale smania di profitto, la volgare prevalenza mercantile, non perdere di vista l'ideale virtuoso del senso puro della musica come arte e della vita come occasione virtuosa.
Non è forse questo la Nona Sinfonia di Beethoven? E non è forse questo tutto ciò che ha scritto e detto Beethoven? E lo dice anche Verdi! Lo scriveva anche Chopin! E non è la stessa cosa che dice Puccini? Non è forse questo il senso dello spirito dell'arte? Non è la musica uno strumento della vita? Non serve per accrescere la vitalità? Non è forse a favore dell'umanità? Sì, lo è. Perché allora si compie l'uccisione di questa vitalità? Si getta la gente nella profonda negazione di questo benevolo elemento di cui hanno diritto e disporre. Perché si permette continuamente l'abominevole trascuratezza della qualità culturale? Io intendo la televisione di Stato deve poter essere restituita al pubblico e alla collettività. Quando è squallido lo spettacolo è schiavo il popolo. Il punto è che la musica è forse il più evoluto sistema che l'essere umano abbia escogitato per restare vivo, perché fa aumentare le capacità difensive dell'essere umano. Sviluppa sia la razionalità che l'emotività. La cosa che aggiunge a tutta questa vitalità altra vita è la potenza che la musica attiva sul circuito del piacere, usando proprio quell'attività per costruire la relazione interpersonale. Ecco perché la musica è un fatto collettivo. Per questo l'essere umano organizzato nella civiltà evolve se stesso attraverso una cosa che si somministra e che non ha nessuna controindicazione. Il discorso è molto lungo per questo le anticipo il senso della mia lettera lei è indubbiamente il più autorevole musicista italiano nel mondo le sto chiedendo di prendere in mano assieme a me la direzione artistica del Festival di Sanremo. Non si spaventi, non si stranisca la prego. Se invece ha avuto una reazione piacevole ed è aperto a queste ipotesi può anche smettere di leggere, fare una telefonata al nostro amico in comune (Vittorio Sgarbi, ndr), del quale poche righe qui sotto parlo dicendole che anche lui sarebbe della partita. Carmelo Bene non ritorna più tra noi. Lo spirito non ritorna a essere corpo. I miei anni di gioventù non torneranno più indietro. Per continuare a vivere con fierezza non a sopravvivere nell'inerzia di una monotona ripetitiva e passiva esistenza biologica, no no no, io parlo di un'impegnativa e appagante fecondità che è la vita nella dimensione dell'arte in modi diversi, ma in fondo identicamente, perché viviamo con la gioia infinita che è il privilegio di essere vivi al mondo nella libertà di poter scrivere, parlare, cantare, suonare, stare in scena, insegnare e ascoltare, trasferire, riconoscere, nella connessione virtuosa che la musica sa costruire per eccellenza. Nessuna altra dimensione nel presente, nella storia, nella realtà ha più potere edificante e purificante della musica.
Null'altro è paragonabile. Questo anche lo sapeva il grande Genio, molto più che un attore, che quella sera di venti estati fa a Milano ci ha presentati. Prima che lei gli consegnasse una simbolica onorificenza che la investiva solennemente del titolo di “poeta della voce”. Che spettacolo fu quella sera! Che ricordo indelebile io ne ho! Quella voce potente che ribatteva in eco da sotto quel porticato di marmo. Ancora risuona in me il senso proprio della parola “ricordo”, cioè il rispondere infinito delle corde dell'anima. Io sono un uomo di 50 anni. Sono un musicista affermato in Italia, che la gente apprezza per la semplicità con cui riesco a far capire molto nitidamente le canzoni e i sentimenti annessi. E con la purezza che fa parte della mia ambizione mi rivolgo adesso a lei per quello che è la cultura italiana, la musica italiana. Ma l'effetto che ha fatto su tutta la musica, dalla canzone alla musica da film, dai semplici appassionati di musica agli insegnanti di musica, tutta la cultura di questo paese, la deriva della canzone nella musica leggera, la volgarizzazione del commercio da parte della televisione e in particolar modo del Festival di Sanremo. Unitamente alla globale paura generata dalla cultura della cancellazione, la cancel culture, che gli organi di informazione, i social network hanno somministrato irresponsabilmente negli ultimi anni. È stato un effetto paralisi, un effetto soporifero, che ha anestetizzato gli italiani, compresi gli artisti.
Il fatto che siano esclusi i compositori e i letterati che si sono laureati nei Conservatori e nelle università di questo paese, sono disoccupati perché si fanno lavorare soltanto quattro pseudo-autori, centinaia di migliaia, esclusi da qualunque possibilità di competere, loro che potrebbero scrivere capolavori di canzoni e di testi, artisti colti che hanno studiato e si sono impegnati. Tutti chiusi fuori dal diritto di poter scrivere delle canzoni che vengono invece scritte sempre dagli stessi soliti confezionatori di canzonette, fatte con lo stampino, su modelli tra l'altro già discutibili nemmeno imitando i capolavori. Dove sta il diritto al lavoro che la Costituzione sancisce, ad esempio? Le sembra accettabile che un paese moderno ed evoluto culturalmente, come dovrebbe essere, debba essere costretto ad assistere in silenzio a questo sterminio? A questa strage di generazioni intere di intellettuali? A questo crimine culturale che è uccidere il concetto di merito? Esiste addirittura un Ministero chiamato dell'Istruzione e del merito. Roba da matti. Ma lasciamo stare, non è ora il tempo di fare polemiche e accusare. Qui bisogna semplicemente agire e proporre. Non togliere, offrire una via alternativa a quello che conduce al nulla, al vuoto. Ciò che ora va fatto è riconnettere i valori che sono stati totalmente distrutti e riportarli in scena. Ciò significa affidarsi a chi è competente in materia ed è necessaria la sua voce. Nessuno più di lei ora è autorizzato a intervenire, perché consegnino la direzione della canzone italiana a chi ha competenza nel campo musicale. Cessare di farsi beffa del musicista e della musica perseverando nella sciatteria della volgarizzazione, dello sperpero del denaro pubblico e dello stravaccamento carnacialesco sul palcoscenico e di farsi beffa della buona predisposizione delle famiglie, dei cittadini, di tutte le semplici persone chiamate “pubblico” che si mettono là davanti al teleschermo in attesa delle canzoni e invece vengono confusi, infastiditi, storditi, straniti. Pagano tra l'altro pure il canone per essere umiliati anziché educati. Lei che è un educatore, lei è un direttore, lei è un didatta, lei che insegna, conduce le persone alla nobiltà e all'accrescimento dello spirito attraverso la musica, la prego intervenga. Si tratta solo di dare la sua disponibilità per non più di 3-4 mesi e restituire ad una nazione la dignità che merita, facendo uno spettacolo pubblico che abbia l'obiettivo di riportare dignità a mostrare come la chiave del vero successo individuale dell'essere umano è l'impegno artistico. Serio. Perché di questo oggi il Paese è privato. Con la banalizzazione, la svendita della musica leggera, l'effetto catastrofico è la scomparsa di rispetto della musica come arte, come professione, come sensibilità, come creatività, come spiritualità, come farmaco e come campo terapeutico, come sistema linguistico, come propulsore finanziario, detonatore energetico, come alimento e regolatore dell'equilibrio psico-biologico, come connettore sociale, come mezzo di comunicazione, come campo di ricerca, come algoritmo e modello logico, come metodo, come modello di estetica, come dimensione metafisica, come forma di preghiera, perché no, come lingua planetaria, come animazione, ricreazione, toccasana, beneficio, come sistema didattico, come tracciato storico della civiltà umana, come titolo di studio, come sfogo emotivo, come linguaggio istintuale che differenzia l'essere umano dall'animale, come il più efficace agente dell'evoluzione della specie umana, la musica è tutte queste cose insieme e quindi, perché, nel momento in cui un'intera nazione per ragioni di tradizione popolare, come sono il Natale, la Pasqua, il Ferragosto, il Primo maggio, si siede in famiglia sul divano, si mette stranamente ad ascoltare della musica in televisione, cosa che non fa mai, perché quella cosa non è ideata, costruita, presentata, raccontata, gestita da chi si intende di musica, da chi è competente? Per quale ragione quel momento di ascolto collettivo della musica, quella predisposizione del popolo, a priori, non è affidata alla competenza musicale? Ma perché? Oltretutto in un luogo che appartiene allo Stato, quindi al popolo, come è la televisione pubblica. Qualcuno mi può rispondere senza parlare di numeri, perché allora significa che non ha capito una sola parola di quello che ho detto?