Morto un Troisi non se ne fa un altro. Era il 4 giugno 1994, quando a soli 41 anni, con un cuore troppo debole per sostenere il peso del suo straordinario talento, l'attore e regista di San Giorgio a Cremano moriva a Ostia, nella casa di sua sorella Annamaria, poche ore dopo la fine delle riprese de Il Postino (destinato a diventare un cult e a ricevere candidature agli Oscar). Il Paese si aggrappò al suo non ci resta che piangere e pianse, come feci anche mio padre, mia nonna, mio zio. Le lacrime copiose, miste a incredulità e dolore profondo, sembrava fosse morto un parente stretto, non solo perché ne condividiamo con orgoglio il cognome. In quel contesto, in quel lutto sentito da tutti, le parole e i titoli dei giornali riflettevano il dispiacere condiviso, ma anche la difficoltà nel trovare conforto. Indro Montanelli su La Voce scrisse “Scusate l'addio”, con una foto in bianco e nero a fianco a Pulcinella. Il Mattino s'espresse con un semplice ma eloquente “ci mancherai”. E l'Unità l'omaggiò con “Morto Troisi, Viva Troisi”, riprendendo il gioco di parole del film realizzato dallo stesso Massimo nel 1982. Trent'anni dopo, viva Troisi, ancora.
“Quando c'è l'amore c'è tutto...no ti sbagli chella è a salute!”, puntualizzava Massimo-Gaetano in Ricomincio da tre. Ora sappiamo da dove veniva fuori quella vena malinconica che gli si disegnava sul volto quando pronunciava battute così. Una cicatrice emotiva, lunga e profonda all'altezza del cuore, simile a una spada di Damocle costantemente sospesa sul capo, un controsenso che contrastava con quel corpo quasi da atleta. Perché era anche un bel ragazzo, Massimo. Uno che piaceva alle donne. Peter Pan disincantato sullo schermo e nella vita, di compagne ne ha avute tante, ma senza mai cadere nell'atipico cliché del playboy incallito. Pulcinella senza maschera, l'hanno definito, ma ciò che lo perseguitava era solo un'insaziabile fame d'amore. E quasi tutta la sua filmografia può essere riletta al ritmo di quel cuore “matto”. Già il cuore, non un muscolo qualsiasi, no proprio quello dei sentimenti, di cui Massimo è stato il più sublime interprete.
Ci manca Massimo. Ci manca la sua dolcezza e ironia, la capacità squisitamente napoletana di saper ridere delle proprie debolezze. Ci manca la sua umiltà, che gli ha permesso di migliorare giorno dopo giorno, e soprattutto quello sguardo malinconico sulla realtà, quella sua innata capacità di raccontare i punti deboli degli esseri umani, con una tale profondità da riuscire a redimerli. E noi ridevamo con lui, ridevamo grazie a lui, ridevamo di cuore. Perché Massimo aveva questo dono incredibile di saperci far ridere. E chi ci riesce più. Un comico, una marionetta, che danzava sul palcoscenico della vita parlando di paure e debolezze. E oggi tutti lo rimpiangono, anche quelli che non l'hanno mai capito. Ignoranti, presuntuosi.
Quelli che lo hanno maltrattato da Scusate il ritardo in poi. Qui angoscia i familiari per qualche goccia di sangue al naso, ma quando la fidanzata - Giuliana De Sio - va a trovarlo, virilmente minimizza: “Sai come sono le mamma, un capillare che si rompe, e subito pensano all'emorragia”. E nell' “antifascista” Le vie del signore sono finite. “Da quando c'è lui - si sente dire - i treni in orario”. Se è per questo, secondo Massimo, per far arrivare i treni in orario mica c'era bisogno di fare Mussolini capo del governo: bastava farlo capostazione. Quando scelse di fare Non ci resta che piangere, solo per condividere del tempo con l'amico Roberto Benigni, creando un'alchimia incredibile che ricordava gli inarrivabili Totò e Peppino. E Pensavo fosse amore, invece era un calesse, l'ultimo film da regista, un'opera interamente dedicata al sentimento, qui esplorato attraverso uno sguardo ancora più personale. Amore per amore, quasi un'ossessione. La sua necessità di circoscriverlo con le parole. Amore per amore, trent'anni dopo. Viva Troisi, ancora.
“Non so cosa teneva dint’a capa; intelligente, generoso, scaltro, per lui non vale il detto che è del Papa, morto un Troisi non se ne fa un altro. Morto Troisi muore la segreta arte di quella dolce tarantella, ciò che Moravia disse del Poeta, io lo ridico per un Pulcinella” (dalla poesia dedicata a Massimo scritta da Roberto Benigni).