E così, Lenny Kravitz, in una intervista rilasciata al “Guardian”, ha detto di essere casto da nove anni e di aspettare la persona giusta. Apriti cielo! Tutti a dargli del “weird”, dello “strano”. No perché, secondo i commentatori, anche a sessant’anni devi essere lì pronto, a infilarlo (o infilarla, se sei siciliano) in qualunque buco capiti a tiro. Come se il sesso fosse, sempre, una cosa piacevole. Dietro questa maniera di pensare, che, bisogna dirlo, non è di nessuno, tranne che del Capitale che sul sesso fine a se stesso monetizza e anche parecchio, c’è l’idea – questa sì weird e strana – che il sesso è buono, mentre nessuno dice la verità: il sesso può essere noioso, spiacevole, veicolo di fraintendimenti, rottura di palle non solo esso stesso ma anche le conseguenze e, soprattutto, nessuno dice una cosa semplice, basilare, ovvia, banale persino: con il sesso sai sempre come va a finire, e invece una di una serie in streaming, di un film, di un libro, almeno il finale è a sorpresa; non è sempre la solita spremuta di liquame che somiglia allo scarico acque nere dei camper di chi è in giro per la vita. Questa semplice verità, detta chiaramente da Lenny Kravitz, che di certo non è uno sfigato e che, con “American Woman” ha fatto forse il video più rock ed erotico di tutti i tempi (muscle car e ragazze bikini e quell’allure da ‘68 country portato ad altezze filosofiche da Herbert Marcuse). Perché la verità è questa: se oggi fosse vivo Marcuse, lo direbbe, che il ‘68 e la rivoluzione sessuale sono state inglobate e fagocitate dal capitalismo. Io l’ho spiegato in quello che forse è il mio pezzo più letto di sempre, il reportage per Dagospia da Cap d'Agde, in cui stetti qualche giorno in questa mecca del libertinismo e del sesso libero e dello scambismo senza avere neanche la pallida ombra di una erezione: c’era persino una catena di negozi di “abbigliamento per nudisti”, un franchising dal nome “Libertines” che vendeva vestiti che lasciavano all’aria seni e parti intime, vestiti per nudisti che sono, a mio avviso, l’emblema di come la produzione capitalistica in franchising abbia inglobato persino la liberazione dal vestiario; dal “bruciamo i reggiseni” al “compriamo i reggiseni con i buchi sui capezzoli”.
“Demisessuale”, così viene definito oggi Lenny Kravitz, in maniera scientifica, tralasciando del tutto i voyeristi che commendano scandalizzati una razionale castità di un uomo di 60 anni portati da ultrafigo. Anche Wikipedia descrive la demisessualità come una zona “grigia” (sono tutti pazzi) in cui un individuo riuscirebbe a provare attrazione sessuale soltanto con persone con le quali ha instaurato un rapporto di empatia – quello che una volta si chiamava amore. No, bisogna avere rapporti sessuali anche con persone che ti stanno sulle balle, ci dice la società moderna, altrimenti sei in una “zona grigia”. Perché, sulla sessualità, il Capitale ci campa, anzi, sappiamo benissimo che il sesso è il motore economico per eccellenza, dopo la sopravvivenza alimentare: primum vivere deinde, macché filosofare, accoppiarsi come animali. C’è tutto il giro della moda, della pubblicità, del lifestyle, della seduzione, della riproduzione, del Mondo come Volontà e Rappresentazione di Arthur Schopenhauer, dei vecchiacci in supercar, dei padroni del petrolio, delle escort di Dubai, dei collier di diamanti, delle minigonne, del fetish delle scarpe, delle unghie, del rock adolescenziale e dell’indotto delle tettine di Victoria De Angelis dei Maneskin (viva Dj Ringo, anche noi ci abbiamo campato su queste tettine, ma lo abbiamo sempre fatto in maniera “camp”, consapevole, quindi bravo Ringo!).
Perché abbiamo sì un sesso adolescenziale e irriflesso, duro e turgido (in entrambi i casi, maschile e femminile, esiste solo un organo sessuale, il clitoride, e il suo corrispettivo più blando, il pene) al quale è stata affidata la prosecuzione della specie. Ma abbiamo anche un sesso maturo, riflesso, che anelerebbe all’amore e non al “poliamore” quest’ultimo trucco per infoiati capace di moltiplicare le spese alla voce “sesso”. Ma “demisessuali” a chi? A noi che vorremmo solo una corrispondenza d’amorosi sensi e non “budelli con i quali spassarcela” (cit. Manlio Sgalambro)? Mi sembra che Lenny Kravitz abbia detto una cosa buona e giusta e razionale e condivisibile. Che però non fa comodo al Capitalismo e alla pubblicità, che ci mantiene tutti. Per questo sono tutti scandalizzati e commentano ironicamente. Dire che ci si vuole innamorare per ficcarla toglie soldi al Capitalismo. Come disse Gianni Agnelli: “La patonza deve girare”, come il Capitale. E chi invece si ferma a godersi sentimento e bellezza viene perculato. Grazie Lenny, il rock fico è anche – e soprattutto – questo! E infatti già vanno a ruba i biglietti per l'Umbra Jazz e il Lucca Summer Festival dove Kravitz ci insegnerà come si diventa leggenda, non solo in musica.