"The longer, The better". Ehi, che ti aspettavi? È solo il volpino claim di un mascara che promette di regalare ciglia XXL. Trentun secondi di spot (anche) tv sono bastati al brand di cosmetici Layla per scatenare il putiferio social della settimana. Motivo? Prima di tutto vediamo un po' di che si tratta: nel bollente filmato si possono ammirare sei nerboruti maschioni di colore intenti a sgambettare una coreografia a ritmo, appunto, di “Più lungo è, meglio è” intorno alla CEO del marchio Babila Spagnolo che, in trono-poltrona, si applica il miracoloso prodotto “Extra Black” senza fare un plissè nonostante il fatto che i suddetti maschioni che le si agitano attorno siano completamente nudi (e pixellati dove non batte il sole). Perché questo video ha fatto incazzare tutti? Andiamo volentieri a rispondere a quella che si candida a essere una delle polemiche più pretestuose dell’anno.
Le accuse stilettate dai social sono gravi quando non gravissime: si parla di “razzismo” e c’è chi chiede la censura dello spot, oltre a scuse ufficiali da parte del brand. Brand che al momento tentenna, annuncia dirette che immaginiamo colme di giustificazioni, non sa che pesci pigliare per uscire da questa shitstorm del belino, letteralmente, in cui si è ficcato. Ora, ci pare arrivato il momento di fare ordine e mettere in evidenza, prima di tutto, l’ovvio: non è successo un cazzo.
Ok, letteralmente ne sono “successi” sei in uno spot pubblicitario che gioca sul doppio senso (avanguardia pura, nevvero?) e che se avesse avuto per protagonista in trono-poltrona una drag queen, tutti avrebbero elogiato come la next big thing, il 3022. Invece in mezzo ai maschioni c’è una donna bio e questo, si vede, rende l’atmosfera ad alto rischio eterosessualità. Ancora oggi, nel 2022, dobbiamo vedere un gruppo di uomini che si agita per farsi notare da una femmina con la sola possenza della propria fisica prestanza? Ma volesse il cielo fosse così almeno a Natale, verrebbe da rispondere e rispondiamo. Qui Milano, possiamo garantirverlo personalmente, non accade dal ‘93.
Ai tantissimi che considerano lo spot Layla “razzista” perché gioca sul cliché uomo nero-superdotato, chiederemmo gentilmente da quando lasciar intedere che un maschio ce l’abbia “The longer, the better” sarebbe “offensivo”. Vediamo già aule di tribunali zeppe di plichi querelanti perché “Quella lì è andata in giro a dire che ce l’ho grosso”. E via, non fateci essere triviali. Anche se è molto divertente.
Lo è soprattutto in un periodo storico in cui non si può fare a meno di parlare della sacra vulva. Oltre agli spot tv in cui vagine animate cantano per pubblicizzare assorbenti (e per cui, almeno via social, non si è indignato il buongusto di anima viva), ogni volta che si apre Instagram è un tripudio di vulve problematiche e come gestirle, perdite vaginali, mestruazioni, succhiaclitoridi e tutto ma proprio tutto quello che si potrebbe usare per rimpiazzare lui: il pene. Pene che oramai è out: se della vulva “si deve” parlare, il belino, problematico o prorompente che sia, ha zero visibilità sui social. Anzi, è tossico. Come l’eterosessualità tutta.
Esempio concreto? Esempio concreto: se oggi, anno del Signore 2022, un omosessuale si apre OnlyFans o, in ogni caso, posta foto ammiccanti del proprio fisico forgiato dalla palestra, è “pazzesca, amo!”. Se lo fa un etero, a parità di prestanza fisica se non perfino di posa, è solo il frutto marcio di una società patriarcale che spinge il maschio contemporaneo a doversi mostrare perennemente “alfa”. Questo abbiamo perso, sia verso il genere femminile che verso quello maschile: il gusto del bello, il sesso, l’attrazione per ciò che è oggettivamente di design ineccepibile. A meno che il maschio etero in questione, non abbia lo smalto sulle unghie e qualche quintalata di kajal a imbrattargli gli occhi rendendolo, per luogo comune, più “fluido” e quindi meno “tossico” perché "inclusivo".
Perché così tante persone, soprattutto tra i più giovani, si sono indignate per lo spot Layla coi maschioni desnudi? Perché vivono nell’epoca dell’hashtag, del trend e pensano che con queste blande armette qui cambieranno “la società”, intesa come aprioristicamente brutta e cattiva, marcia e sbagliata. Questo anche quando la suddetta “società” non fa nulla di che, semplicemente cova un doppio senso volpino per smarchettare un prodotto di bellezza. Un’idea che in passato avrebbe fatto indiavolare il Moige, Mario Adinolfi o Matteo Salvini, oggi viene accolta dalle proteste progressiste e rivoluzionarie di un esercito di ventenni che invoca addirittura la censura.
Di rivoluzione in rivoluzione, questi nuovi maître à penser coi loro due cent social stanno avendo le stesse reazioni che un tempo avrebbe avuto la Democrazia Cristiana, anzi Musulmana: l’uomo nudo no, la donna nuda manco a parlarne, un po’ di decoro, per la carità di Dio. O di Instagram. Invertendo l’ordine delle motivazioni, il risultato non cambia. Ed è molto divertente, ne converrete, veder scoppiare questo cortocircuito di massa. #Disruptive
In nome della normalizzazione - “normalizzare”, che parola orrenda -, le adv sono piene di persone esteticamente brutte, quando non proprio di freak esageratissimi (e che sarebbero di ispirazione solo per un team medico di competenza). Da qui, posto che questa è l’immagine “giusta” e - pur a fin di bene - imperante, sei boni nudi, anno del Signore 2022, creano scandalo, dibattito, dagli all’untore. A furia di "normalizzare", questi nuovi inquisitori da tastiera si sono dimenticati di ciò che è, nei fatti, normale, oggettivo e pure bello. Come l’esistenza stessa del sole, della volta celeste, delle domeniche in relax e, sì, del pene, seppur coinvolto in turpe e "tossico" amplesso eterosessuale. Volete voi, dunque, normalizzare? Bene: è ora di normalizzare stocazzo.