In definitiva, si tratta di un invito all’evirazione culturale, rivolto al maschio, segnatamente, nel caso specifico, all’altrove assai stimato scrittore Emanuele Trevi, Premio Strega 2021. Gli si imputa l’assenza di acume linguistico, l’incapacità di fare caso alle differenze, allo specifico femminile. Mancata comprensione dello schwa, cioè questo segno: ə. L’occasione? Un incontro, faccia-a-faccia, su un canale Rai - “Il dilemma della desinenza” - condotto dallo scrittore Gianrico Carofiglio, tra la linguista Vera Gheno e lo scrittore (maschio) Emanuele Trevi. Il tema investe, riporto testualmente: “L'opportunità o meno di cambiare di punto in bianco le convenzioni linguistiche di genere per indicare le professioni al femminile; comprendere se l'uso del genere maschile per le professioni sia ancora una soluzione pragmatica che facilita la comprensione reciproca o se viceversa sia il precipitato di una discriminazione di genere”.
Dopo la visione, la storica Vanessa Roghi, sul proprio Facebook, così riassume la propria percezione morale delle rispettive voci in causa, Gheno Vs. Trevi. Appare opportuno riportarla integralmente: “Vera Gheno che esercita la pazienza di Giobbe in un dibattito surreale dove però si mostra in modo direi perfetto il senso della parola cringe e si ripetono in modo ossessivo alcune eccezionali frasi fatte che stanno rincoglionendo i migliori scrittori di questo paese. Peccato. Grazie Vera. che hai sopportato il sentirti dare del voi tutta la sera e la parola seguaci, seguaci, riferita a chi la pensa come te. Davvero una lezione di stile encomiabile”.
Tra i molti commenti, subito, lì a spiccare, le parole di Paola De Angelis, conduttrice di Radio Rai: “Che supponenza, Trevi. E che povertà di argomentazioni”. A seguire la sentenza della giornalista Giulia Cavaliere: “Nell’ultimo romanzo di Trevi c’è molto patriarcato dentro la bella penna (lo dico da sua lettrice di lungo corso). Non sono stupita”. Poi Francesca Mancini: “Trevi, come molti, ancora non capisce il privilegio da cui viene. Di genere, sociale, economico. Si sente ogni volta che parla”. Non assolutoria, ma compassionevole circa i limiti maschili della controparte, la scrittrice Lorenza Pieri: “Spiace per Trevi”.
Un partecipante (maschio) sotto il medesimo post, Cuco Mastroberti, prova a soccorrere la buona fede di Emanuele Trevi: “Supponente. Senza dignità. Imbarazzante? Ma la santa pazienza di Trevi, piuttosto. È possibile criticare l'uso di strampalate desinenze e di altre amenità lessicali pseudo inclusive, oppure bisogna pensarla tutti allo stesso modo?” Mastroberti trova tuttavia, da parte di un interlocutore maschio, Flavio Gamboni, un’immediata replica che sa di rimbrotto: “Lui ha offeso tutto il tempo”. Le parole della menzionata Paola De Angelis si pretendono definitive verso ogni assunto di Vera Gheno: “Vera e Edoardo sono usciti” non esclude il femminile?”.
Tra i molti che hanno appoggiato Vera Gheno ci sono Christian Raimo, Loredana Lipperini, e Il Gruccione Locanda del Tempo Ritrovato
Tra i molti che si mostrano affatto dubbiosi sull’attendibilità assiomatica delle convinzioni della linguista Gheno sulla presunta “povertà” argomentativa dello scrittore (maschio) Emanuele Trevi, spiccano i like dello scrittore Christian Raimo e della collega Loredana Lipperini, ma anche da parte di Il Gruccione Locanda del Tempo Ritrovato, così a conferma dell’ampiezza del consenso e del disdoro dell’inadeguatezza dell’interlocutore maschio.
Gianna Brezzi, condividendo il post su Facebook, nota invece “Un’ossessione paranoica debordata ormai al punto di dare addosso a un nome potente come Trevi (non a caso fino a ieri nome di spicco nel loro pantheon, ndr), mi domando: dove cazzo è lo stile di queste suffragette avvizzite quando sobillano i loro seguaci che accorrono al richiamo macchina del fango? La meschinità del loro dargli del ‘poverino’ perché comunque ‘era bravo’. Penso che queste signore si erigano ormai a tribunale supremo nell’imporre alla vita di tutti le loro infondate e fantasiose manie ossessive tramite l’ausilio di orde di discepoli. Siamo anche andati oltre lo stile Lucarelli, mi sembra chiaro siamo già in pieno stile Khamenei”.
Le verrà apoditticamente spiegato che Trevi avrebbe pronunciato solo “cazzate”.
Ammettendo subito inadeguatezza colpevole rispetto allo specifico presuntamente rigoroso della linguistica, le uniche libere riflessioni che ritengo possibili sull’intera discussione mi saranno suggerite appunto da suggestioni, diciamo pure “poetiche”, ciò lo sguardo e la memoria propongono davanti all’intero catasto neo-femminista, evidenziato nello stigma appena consegnato a Trevi da Vera Gheno e “consorelle”.
In apertura la scena del “processo” al maschio Marcello Mastroianni- Snàporaz nel film “La città delle donne” di Federico Fellini (altro maschio). L’atmosfera inquisitoria e catacombale: a Marcello Snàporaz vengono enunciati i capi d’imputazione, gli intimano di pronunciare la prima parola che gli viene in mente. La parola è “Pippo”. Lo sguardo furente delle “inquisitrici” femministe sul maschio alla sbarra.
Segue l’immagine dello scrittore giapponese Yukio Mishima (maschio) che compie "seppuku”, ossia fa harakiri, il 25 novembre del 1970 dopo avere occupato l'ufficio del generale Mashita dell'esercito di autodifesa. Mishima affacciato al balcone dell'ufficio, di fronte a un migliaio di uomini del reggimento di fanteria, inviati dei giornali e delle televisioni, pronuncia il suo ultimo discorso esaltando lo spirito del Giapponese e il suo Imperatore.
Più pertinentemente, l’harakiri del maschio Emanuele Trevi va invece immaginato nella terrazza di Casa Bellonci, via Fratelli Ruspoli, Roma, quartiere Parioli, dove annualmente ha luogo il Premio Strega, solitamente adibita a buffet in occasione della proclamazione della “cinquina” del premio stesso.
Segue ancora la scena di un film, in quest’altro caso “Ciao maschio” di Marco Ferreri: la carcassa di King Kong lungo la spiaggia del fiume Hudson. Lì a monito d’ogni patriarcato maschilista. Se la metafora dovesse apparire blanda, restando a Ferreri, c’è il finale de “L’ultima donna”, dove il protagonista Gérard Depardieu, (chi meglio di lui per corroborare lo stigma?) accusato di fallocrazia dalle donne si evira con un coltello elettrico. Così a conferma del “peccato originale” maschile. Esteso s’intende a Emanuele Trevi, scrittore comunque apprezzato in ogni contesto “comme il faut”: nelle abitazioni romane di certo rango, si sappia, così come c’è modo di trovare alle pareti opere dei pittori Pizzi Cannella e Pietro Ruffo, altrettanto non può mancare sul tavolo posto davanti al divano, l’ultimo romanzo di Trevi. Dettaglio per nulla marginale, tempo addietro uno scrittore ricevette i complimenti da Valeria Ciangottini, già interprete della bambina che appare sorridente proprio a Mastroianni nella scena finale de “La dolce vita”, salvo poi accorgersi Ciangottini di avere scambiato persona: i complimenti non erano per il libro dello scrittore al quale si era rivolta, ma per “La casa del mago” del Trevi. Grande delusione negli occhi della signora.
L’ultimo testo pubblicato da Vera Gheno, “Grammamanti. Immaginare futuri con le parole”, Einaudi, 2024, in dissolvenza incrociata con il “Malleus Maleficarum”, cioè “il martello delle streghe”, primo esempio di libro tascabile, così da essere facilmente occultato sotto la cattedra dell’inquisitore di modo da ottenere una rapida consultazione per riconoscere prontamente i segni del crimine presenti nella persona imputata. Il peccato originale del maschio in questo caso vede Trevi parte in causa.
L’articolo del critico Gianni Bonina che attribuiva al contesto narrativo femminile la predilezione verso il “romance”, aveva suscitato reazioni di piccata delegittimazione professionale rivolta allo scrivente (Bonina, chi?). Un racconto complessivo che non può non portarci a evocare Franz Kafka e il suo “Processo” (ancora un maschio) e forse anche le sue lettere all’amata Milena: chiosa a margine, la figlia di questa, Jana Černá, poetessa e scrittrice dell’undergroud praghese, brillerà per una raccolta di versi intitolata “In culo oggi no”.
Alla fine della storia, si direbbe che l’unico modello di possibile maschio ammesso da Gheno e le altre (e pure dai maschi presenti nella discussione sottomessi allo schwa) dunque al mondo del pensiero e dell’esistenza stessa in nome della lotta al "patriarcato maschilista", davanti al trofeo del pene mozzato di Emanuele Trevi, sia Alessandro Giammei, “figlio d’anima” della compianta Michela Murgia. Si consulti in proposito il suo video inenarrabile intitolato “Cose da maschi”.