Ho ascoltato i trenta brani che concorreranno, a febbraio, alla settantaquattresima edizione del Festival della Canzone Italiana di Sanremo. Ve li racconto. Ma ovviamente parto da lontano. Sabato mattina. Fa freddo. Sono nell’hinterland di Milano, zona est. Sto aspettando che i tipi dell’autolavaggio mi riconsegnino la macchina. Nel mentre faccio foto a una serie di seggiolini per bambini ammassati a lato di dove avviene il lavaggio degli interni, coperti di brina. Evidentemente ci sono almeno una decina di persone che è tornata da un lavaggio intenzionata a non far salire più in auto i propri figli. Lo farei anche io, che son qui perché mio figlio piccolo, mentre tornavamo a Milano dalle vacanze di Natale ha ben deciso di vomitare sul sedile di dietro. Credo che tutto questo potrebbe tornami utile, penso, per il pezzo che devo scrivere giusto lunedì, dopo aver ascoltato i trenta brani che a febbraio si contenderanno la vittoria del Festival a Sanremo. C’è la poca voglia di essere dove sono, al freddo dell’hinterland milanese in un freddo sabato mattina, certo, ma anche negli studi Rai di via Mecenate, non troppo distante da qui, in mezzo a tutti i miei sedicenti colleghi, quelli che non avrò poi modo di incontrare in Sala Stampa, visto che ancora una volta non la frequenterò, orgogliosamente accreditato e intenzionato a seguire il Festival lontano da lì, a Villa Ormond. C’è il vomito delle giovani generazioni, difficile da lavare, contrapposto al tentativo delle generazioni precedenti di non avere più a che fare con loro, Amadeus permettendo. Tutto un po’ forzato, forse, come sempre, ma mica vorrete che spechi queste due ore passate al freddo senza capitalizzarle? E soprattutto, mica vorrete che io lunedì, dopo aver ascoltato trenta canzoni, trenta, Santo Dio, di fila mi inventi anche una intro come si deve. Sicuramente ci sarà chi non capirà, e si sentirà in diritto, ma soprattutto in dovere di farmelo notare, andando a dare di questa intro una lettura non metaforica, dimostrando scarsa capacità di comprensione del testo e soprattutto grande volontà di rompermi il cazzo, come se l’ascolto di trenta canzoni nuove di fila, con Amadeus che gigioneggia lì in fondo, mi fosse sufficiente. I tipi che mi stanno pulendo gli interni hanno quasi finito, nel mentre. Uno, il più anziano, il solo italiano, mi guarda e dice “Freddino, eh?”. Non so mai cosa rispondere a chi mi dice l’ovvio, quindi azzardo un classico: “Pensavo che l’inverno fosse finito”, nella speranza che non mi tiri dentro a parlare di cambiamenti climatici, è sabato mattina, fa freddo, e lunedì dovrò ascoltare trenta canzoni di Sanremo di fila. “Pensavo che l’inverno fosse finito,” dico. “No, finisce il 20 marzo. Poi inizia la primavera,” dice, serio, come fosse il tipo che un tempo diceva tali ovvietà su Rai1, all’Almanacco del giorno dopo. Trenta canzoni, è arrivato il momento di cominciare. Non prima di aver detto che, per una questione ideologica, non farò le pagelle. Attenzione, non farò le pagelle oggi. A Sanremo, durante il Festival, le farò e le farò, come ormai è usanza, con mia figlia Lucia, che sarà lì con me a intervistare i cantanti per Bestiario Pop, il podcast in versione live che potrete trovare qui su MOW. Non le farò oggi, per questione ideologica, perché le pagelle dei giornalisti e critici musicali durante i preasacolti servono per le quotazioni delle scommesse sui cantanti del Festival. Cosa che da una parte potrebbe essere oggetto di manipolazione da chi le fa, che potrebbe alzare le quotazioni di chi poi potrebbe essere oggetto delle proprie scommesse, questo se giornalisti e critici musicali fossero coesi, come furono ai tempi di Nesli e Alice Paba, sponsorizzati da me, che avevo chiesto a Carlo Conti di prendere Alice tra i big dal momento che aveva vinto il solo talent di casa Rai, The Voice, e quindi invisa a tutti quei sedicenti colleghi a cui sto sul cazzo, l’invito di alcuni senatori della Sala Stampa a non votarli presi sul serio da un po’ tutti, dall’altra potrebbe comunque portare a ben disporre o male disporre proprio le altre giurie, che in attesa di sentire i brani, solo giornalisti e critici musicali possono farlo, si potrebbero iniziare a fare una idea. A Sanremo, invece, farò le pagelle, perché se uno decide di prendere parte al circo, e Sanremo è il circo, non può poi prendersi troppo sul serio, ma non eserciterò il mio voto seppur facendo parte della giuria della Sala Stampa. Non l’ho mai fatto e mai lo farò. Perché credo che i giornalisti e i critici musicali debbano fare altro e perché già hanno il premio della critica. Uno dice, ma era necessario fare una premessa così lunga, già che i brani che devi raccontare sono addirittura trenta? Certo, mica vorrete che a soffrire sia solo chi scrive, no?
Ora, comunque, passo a parlare dei pezzi, così, senza voti.
Clara, fresca della vittoria di Sanremo giovani ma soprattutto di MareFuori, apre le danze, con un brano molto contemporaneo, Diamanti grezzi, che parte lento e poi esplode nel ritornello, che come da prassi parte presto. Non sono l’ascoltatore che Clara ha in mente quando scrive e canta, ma ne riconosco le alte potenzialità.
Secondo brano è Ti muovi di Diodato. Diodato che si presenta indossando i panni di Diodato, con una ballad che ne mette in risalto la bella voce e la rara capacità che ha di usarla a dovere. Uno in grado di risultare classico senza risultare fuori dal tempo, come dire: i panni di Diodato a Diodato calzano a pennello.
Mahmood torna cambiando ancora una volta le sue sembianze. Più dalle parti di Cocktail d’amore nelle strofe, decisamente più tribale nel ritornello, il suo è un brano difficile, non banale. Una canzone che pretende attenzione, con un ottimo bridge in falsetto che poi si fa quasi rap. Una domanda nel mentre si fa largo in me, perché Amadeus finge di suonare le tastiere mentre le canzoni vanno?
Sangiovanni arriva con un lentone, Finiscimi, pieno di parole. So che mi pentirò, specie se penso a tutti quegli accenti spostati, ma mi viene in mente, come mood malinconico, un giovane Luca Carboni. Dio mi fulmini.
Loredana Bertè presenta una canzone che è in puro stile Bertè, tutta grinta e graffi. Si intitola Pazza, e gioca sul fatto che tutti la ritengano così, ma in realtà ci dice ben altro. Un tiro pazzesco. Come ai tempi della Bandabertè, di Fossati e di Lavezzi. Grande. Per la cronaca, coerentemente con la canzone, ora Amadeus suona l’air guitar.
I Bnkr44 portano una canzone dal titolo Governo punk. Come Ruggeri sono stato punk prima di loro. Non che ci voglia molto, loro sono pop, pop giovanile. Io no. Il ritornello, con quel me sincopato e reiterato, lo sentiremo a lungo, temo. Mi lavo i denti col gin era un titolo migliore, e lo avessi fatto forse avrei apprezzato di più.
Arriva una papabile alla vittoria, Alessandra Amoroso, che nonostante abbia un pezzo firmato anche da Takagi e Ketra piazza una ballatona, la Due mondi di quest’anno, a occhio. Papabile a ragione. Il team di autori, che vede anche i talenti di Jacopo Ettorre e Federica Abbate stanno lì mica per caso. Piazzata, forse vincente.
Fred De Palma, come Diodato, fa Fred De Palma. Una Cenere senza la base di Dardust. Almeno non è un reggaeton, ma non so se sono pronto per tutto l’urban di quest’anno. Amadeus è tornato alle tastiere, durante il pezzo della Amoroso cantava, guardando noi nei monitor.
Arriva Fiorella Mannoia con Mariposa. La sua è la quota alta, fin qui, una canzone latineggiante che sa di Fossati, ma gioca nella base anche con l’oggi. Bello il flow e questo testo che richiama come struttura O che sarà di Chico Buarque. Molta Fiorella Mannoia, quella che abbiamo molto amato.
Ecco il momento Italodisco, con Stash (The Kolors) che scrive con Petrillo e Cattoo. Funzionerà di brutto, ma non credo a Sanremo e Italodisco era più sorprendente. Come dice il mio compagno di seduta Valerio Palmieri, Salirò di Silvestri che poi diventa altro. Amadeus, non sapendo ballare come Tony Manero, sta dietro la consolle. Ritornello assassino.
Apnea di Emma è nel suo nuovo mood contemporaneo, con un mood alla Viola Valentino che però lei domina con decisamente più voce (comunque molto più dosata che in genere). Anni '80 a gogo per una canzone che gira bene, la base techno a reggerne il ritmo.
L’amore in bocca dei Santi Francesi rallenta i beat, la cassa è dritta, ma a simulare un battito cardiaco più che a evocare scenari dance, almeno fino al primo ritornello, quando la canzone si apre. Buona.
Rose Villain tira fuori la voce e la personalità in una canzone decisamente d’oggi, una delle migliori fin qui. Ritmo incalzante, ottima dinamica, tutto al posto giusto, perfetta. Petrella è un vero cecchino, lei una ottima interprete, sentite il pezzo nel quale cita il titolo per credere.
I Negramaro tornano dopo una vita e tornano per regalarci una canzone che ti si insinua dentro e ti scalda. Una delle loro migliori, e stiamo parlando di chi ha fatto già grandi cose. Un racconto che sa di nostalgia e di carne e ovviamente di mare. Lo dico: un capolavoro.
BigMama chiude l’ascolto dei primi quindici brani, riportandoci dalle parti di Rose Villain. Non che i Negramaro non siano moderni, quel brano punta all’eternità, Big Mama porta la sua storia con suoni d’oggi, uptempo. Lei ha stoffa e personalità, e non disdegna l’impegno in un Festival altrimenti di sentimenti.
Renga e Nek, lo confesso, mi facevano paura. Perché fin qui hanno cazzeggiato, e Sanremo, nonostante tutto, è altra faccenda. Invece presentano un classico ne tenchiano, specie per la parte degli archi, dove le voci si impastano bene, seppur Renga faccia assolutamente la parte del leone. Una canzone che ce lo regala al meglio, con Nek che fa il suo con talento e mestiere.
Ghali con Michelangelo e, toh, Petrella è di nuovo il Ghali che traghetta la trap nel pop, come per primo ha saputo fare. Non credo Sanremo sia esattamente il posto più adatto per portare un brano del genere, quantomeno con altre ventinove canzoni in gara, ma questo mood, quello che implorava di non uccidere anni fa, Ghali ce l’ha.
Irama parte con la voce nuda, poi prosegue con una ballad delle sue. Un genere a parte, la ballad alla Irama, che non fosse per Amoroso e Negramaro, fin qui, potrebbe ambire alla vetta. Questa cosa Irama la sa fare.
Ecco ora Angelina Mango, per cui dichiaratamente tifo. Un brano fresco, scritto con Madame e Dardust, più dalle parti di Ci pensiamo domani che di Fila indiana, ma lei è un vero talento pieno fino alla punta dei capelli di pura vita. Che brava, Dio mio. Sicura di sé, assolutamente a ragione. Tutt’altro che noiosa.
Geolier, con Davide Simonetta e Michelangelo, tra gli altri, fa il suo con quella che sarà la vera hit di questo Festival, ne riparliamo a inizio estate se mi sbagliavo. Niente di nuovo, per chi lo conosce, ma lui punta appunto a chi ancora non lo conosce. Una mina che usa il napoletano come fosse esperanto, chi non è di Napoli non coglie la lingua, ma il suono sì.
Arriva il momento della vera incognita del Festival, Maninni. Maninni che tecnicamente è il solo a essere qui per dar valore al fatto che questo è il Festival della Canzone, non delle popstar. La sua è una bella canzone sanremese con un buon tiro melodico, qualche guizzo nel testo, con Amadeus che non sa bene cosa suonare, perché fare la sezione archi è tosta, se di lavoro fai il presentatore. Uno dei ritornelli più orecchiabili, forse non proprio nella nostra epoca.
E toh, dopo Maninni ecco i La Sad, gli outsider tra i trenta. Niente punk, se per punk intendete quello delle origini, quanto più quel pop-punk alla Blink 182 che loro, complice Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari, sanno fare. Niente di scandaloso, spiace per le anime belle. Buon brano, con un buon tiro, e dal vivo spero che lo sporchino un po’. Onesta.
Il Liam Gallagher di Roma arriva con la sua poetica assai ricoscibile, da abbracci sotto la pioggia. Gazzelle è la quota indie, quest’anno, e ha una ballatona romantica che si muove nella sua seconda parte, con l’orchestra che all’Ariston farà il suo. Ventitreesima all’ascolto, dico ventitreesima, è vittima della bulimia di Amadeus, che non ci permette di fare il nostro lavoro con lucidità sufficiente. Ma il brano c’è.
Sinceramente di Annalisa ricalca le mosse delle ultime hit di Annalisa, con le ah, il bridge ritmato, stavolta la parola ripetuta è quando, col ritornello che si limita a ripetere il titolo. Squadra che vince non si cambia, e Annalisa è talmente a fuoco che fa quasi paura. Nota di servizio, Amadeus non suona più e neanche balla, stanco dalla maratona pure lui. Annalisa se la gioca con Amoroso e Negramaro.
Alfa, invece, punta a sbancare su Spotify e social, sorta di Ed Sheeran solare e spensierato. Un tormentone che alza il tiro, mostrando i muscoli, tra pop, folk e un po’ di sano ottimismo.
Il Volo si ringiovanisce, si ringiovaniscono, con un brano che mischia il loro vecchio stile con qualcosa di più aggiornato, coordinato con il calendario che dice 2024. Tre stili di canto che ormai sono nettamente distinti, in un brano che è un ottimo biglietto da visita per quel che sarà. Meno tenori e più pop, con una canzone che è una canzone sembra ombra di dubbio, un arrangiamento di livello a tenere insieme il tutto.
Dargen gioca a fare la sagoma, con un brano che ambisce a farsi colonna sonora di Tik Tok e a diventare, parcellizzata, meme, a partire dall’incipit. Coro da stadio. Io non frequento più gli stadi dal 1988.
Il Tre non rappa ma canta, il che potrebbe essere una notizia. Si muove in area Irama, con un brano che poi diventa rap, ma torna subito pop. Incalzante, se avessi quindici anni mi potrebbe piacere. Amadeus sonnecchia in piedi, finché non parte con un air violin, se si dice così chi finge di suonare il violino.
A me Mr Rain sta molto simpatico, ma forse a causa della stanchezza dei trenta brani di fila, mi ispira violenza. Non verso di lui, intendiamoci, verso gli altri. Anche se il bridge col solo vocoder, che si apre all’orchestra, per poi dar vita al rap funziona. Alla grande. Solo che mi fa salire la carogna, e vorrei scendere e picchiarmi coi giornalisti in prima fila, sempre i soliti. Magari è colpa di quel che, di fronte a me, sta fumando Fegiz. Comunque, risse o non risse, questa funzionerà molto anche senza bambini e ali.
I Ricchi e Poveri, che partono citando Sarà perché ti amo con le voci pitchiate non pensavo che in vita mia li avrei mai ascoltati. Un brano dance che fa ballare sulle scale la moglie di Amadeus. Temo solo lei. Preferivo morire prima. Valerio Palmieri dice che è una canzone da Plastic, rinvigorendo il mio spirito eterosessuale, ma lasciandomi comunque perplesso.
Per concludere, papabile per la vittoria, senza voler portare sfiga, Amoroso, Annalisa e Negramaro. Mie preferite, Negramaro, Angelina Mango e Rose Villain. In realtà il livello mi sembra alto, molto orientato alle radio e nello streaming, totalmente votato al ritmo e alla contemporaneità. Molto farà il palco, e lì credo che i Negramaro daranno molto. Amadeus, in fase di conferenza, ha detto che ha scelto le canzoni puntando su più ascolti, se un brano al terzo ascolto ha già detto tutto quel che ha da dire, ha aggiunto, non è entrata nei trenta, anche se almeno una ventina tra le scartate ci sarebbero potute entrare. Ecco, condivido con lui l’idea dei più ascolti, e durante il Festival, ovviamente, metterò più a fuoco i brani, che al momento mi sembrano tutti inquietantemente di qualità. Sono certo che la stanchezza ha avuto la meglio su di me, ma in fondo questi sono i primi ascolti, cosa si potrà mai pretendere. Gli articoli di questi primi ascolti sarebbero dovuti uscire alle 16:30, ma Andrea Laffranchi del Corriere della sera, simpatico come un dito nel culo (parlo dal punto di vista di chi non apprezza particolarmente avere dita nel culo, magari c’è a chi piace) ha invocato di uscire alle 18, lui poverino che sperava di farli uscire domani. Le 18, per chi pubblica online, tutti quelli che erano presenti, è come dire il momento esatto in cui la gente stacca dal lavoro e torna a casa, l’orario peggiore in natura, se vi viene voglia di ficcare un dito in culo a qualcuno sapete a che culo mirare. Adesso posso finalmente tornare in libertà, prima però voglio sapere chi è il pusher delle sigarette elettroniche di Mario Luzzatto Fegiz.