Se poteste scegliere una canzone da ascoltare tutta la vita, quale sarebbe? Io ho sempre pensato che avrei risposto "Glamorous Indie Rock & Roll" dei The Killers. Poi è uscito il primo album solista di Noel Gallagher, “Noel Gallagher’s High Flying Birds”, e quando ho ascoltato “If I had a gun…” ho cambiato idea. L’ho ricambiata anni dopo, a quasi trent’anni, quando il 18 febbraio 2022 è uscita “Andrea” di Bresh e, ad aprile dello stesso anno, “Svuotatasche”, contenuta in “Oro Blu”, suo secondo album. Il cantautorato l’ho scoperto tardi. Nella mia famiglia l’unico ad ascoltare un po’ di musica (ma non troppa) è mio padre. Qualcosa di Lucio Battisti, un po’ di bossa nova, qualche hit casuale che mi lascia sempre perplessa. Non ho avuto nessuno che mi aiutasse a costruire la mia “identità musicale”. Ho fatto da me, cambiando idea cento volte. Le orecchie sempre aperte, i pregiudizi lasciati a tutti coloro che ho sempre pensato non amino davvero la musica. E nella costruzione di quelli che sono i miei gusti, i brani di Bresh si sono inseriti pian piano. Dall’uscita di “Che io mi aiuti” a oggi, la mia playlist di Spotify con i “brani preferiti” si è riempita gradualmente di sue canzoni. E le aspettative per “La tana del granchio” e il suo debutto a Sanremo erano alte. Sono state disattese? Assolutamente no.
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Tutto nel brano proposto da Bresh per la sua prima partecipazione a Sanremo funziona. Dall’arrangiamento al testo, Andrea Brasi ha portato la miglior versione di sé all’Ariston. Ed è arrivato al Festival per portarci in quel luogo intimo di cui tutti abbiamo bisogno. Il nostro rifugio, quel posto in cui torniamo sempre quando abbiamo bisogno di ritrovarci e di (ri)trovare pace, ma soprattutto noi stessi. C’è quella “testa che gira ancora” che ci ricorda che “Breshino testa che gira” è sempre lì, fedele a se stesso. È arrivato sul palco di Sanremo senza snaturarsi, senza voler strafare o mostrare una parte di sé che non esiste o che non è vera. E, di questi tempi, abbiamo bisogno di verità, anche piccole. “Ho una parola sbagliata per ogni frase”. Eccola, la prima piccola verità di cui abbiamo bisogno. Quante volte, almeno io, ho pensato di aver detto almeno una parola sbagliata anche nella frase più banale detta al mio capo, a una persona vista per la prima volta o a chi amo. E quante volte, soprattutto, ho cercato ovunque andassi la mia “tana del granchio”. L’ho trovata? Non una, ma diverse. Nelle parole di conforto di mio padre quando mi lamento del lavoro, negli abbracci degli amici di una vita e di quelli arrivati all’improvviso, che mi hanno insegnato che anche a più di trent’anni si posso apprezzare persone nuove. L’ho trovata nel prendere due volte a settimana l’autobus per andare a scuola di fotografia e provare a realizzare il “sogno” che avevo da ragazzina. L’ho scoperta, insomma, in tanti luoghi, persone e momenti diversi. E nel brano di Bresh, che anche questa volta mi ha fatto pensare che sì, forse la canzone che ascolterei per tutta la vita in loop cambierà ancora, e potrebbe essere proprio “La tana del granchio”.
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