Sono stato zitto a riguardo. Nonostante sia evidentemente un tema a me caro, cui ho dedicato articoli, libri, monologhi a teatro, TedX, di tutto. Sono stato zitto perché ero stanco, non solo della situazione, stagnante, ma stanco anche fisicamente, perché ogni anno Sanremo è più impegnativo e io ogni anno, e ci mancherebbe pure altro, sono più vecchio, e sono stato zitto perché ho letto un sacco di cose a riguardo, e mi sono immalinconito, come una bossanova quando sta finendo l’estate e comincia a arrivare il primo fresco che presto si tramuterà in freddo. Parlo della questione dell’assenza delle donne tra le prime cinque posizioni. Questione da molte, legittimamente, sottolineata, da altri e altre, anche altre, attenzione, affrontata con scherno, quasi fosse una faccenduola che riguarda solo il Festival della Canzone Italiana, dove notoriamente vince sempre chi merita di più. Ora, preso atto che parlare del Festival a Festival finito, parlo per me, non me ne frega una beata fava, perché se ne scrive e se ne parla durante, certo, è parte del gioco e per di più è un momento raro nel quale il mondo dello spettacolo, nel quale mi muovo e del quale scrivo, alza per un attimo la testa, ma una volta finito, suvvia, vorrete mica che se ne continui a parlare con serietà. Preso atto di ciò, credo che l’assenza di donne nelle prime cinque posizioni, così come all’esigua presenza di donne nella finale di X Factor aveva evidenziato Francamente, nel mentre relegata da molti a ruolo di “chiacchierona”, cioè di una che parlava tanto per farsi notare, santo Iddio, è un fatto che va affrontato con serietà, perché è specchio di una situazione ben più ampia, che riguarda l’Italia tutta, altro che canzonette e Festival. Diamo per assodato che Olly meritasse di vincere, così come che Lucio Corsi, Brunori SaS, Fedez e Simone Cristicchi di arrivare subito dopo di lui, così ha stabilito quello strano mix di votazioni che prevede la voce in capitolo di spettatori da casa, Sala Stampa e Radio, Tv e Web quest’anno chiamato a decidere. Sui gusti non si disputa, dicevano i latini, e in fondo chi se ne frega chi vince, la storia della musica leggera è piena di canzoni che non hanno vinto e che sono rimaste, così come di canzoni che non hanno vinto e sono sparite, figuriamoci, come di canzoni che hanno vinto e sono rimaste e altre che sono sparite. Il punto è che in Italia, questo andrebbe sottolineato con veemenza, se solo non ci si incistasse sempre a guardare quello che è il centimetro che abbiamo di fronte, invece che il quadro complessivo, manca proprio la possibilità per le donne di essere altro dal modello che coincide con certi stereotipi, tra le altre cose anche nelle canzoni. Seguitemi, ora vi spiego meglio. Dice, Giorgia, da molti data per vincente, agenzie di scommesse incluse, e poi arrivata clamorosamente fuori dalla cinquina, sesta esattamente come tre Festival fa, quando aveva una canzone che a detta di tutti non era all’altezza della sua voce, Dio santo, mica stava a lei capire cosa doveva cantare, a tutti stava, non ha poi vinto perché non ha convinto. Al di fuori delle cazzate che dice Mogol, a volte sarebbe bene che chi ha un’arte, e lui l’arte di scrivere testi ce l’ha, o almeno ce l’ha avuta, avesse anche quello che nella Bibbia chiamavano discernimento per capire che non è necessario anche parlare, finendo per coprirsi di ridicolo, c’è chi dice che Giorgia non aveva una canzone degna del suo talento, che somigliava per certi tratti, due battute, cioè sei meno di quelle necessarie anche solo a ipotizzare un plagio, a La notte dei miracoli di Lucio Dalla, che era come sempre lì sul palco con qualcosa di più piccolo di lei. Bene, prendiamo per buone queste cose. Tutte.
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E lasciamo anche da parte le medesime critiche mosse a Olly riguardo la somiglianza con Il filo rosso di Alfa e l’abuso di autotune, e via discorrendo. Potrebbe anche essere vero, lo dico non fossi io un critico musicale, eh, sia chiaro, non sono di questo parere ma mi immedesimo nel comune sentire. Giorgia era lì con una canzone scritta da Blanco e Michelangelo, coppia di giovani artisti di indubbio talento, lei a vestire i panni dell’interprete. Esattamente come lo erano Elodie, classificatasi dodicesima, Noemi, classificatasi tredicesima, Sarah Toscano, diciassettesima, Rose Villain, diciannovesima, Francesca Michielin, ventunesima, Gaia e Clara, ventiseiesima e ventisettesima. Eccezioni, forse, Joan Thiele, cantautrice, ventesima, e Serena Brancale, ventiquattresima. Forse. A guardare in questo ampio mazzo, per una volta, di artiste donne approdate al Festival, quel che spicca agli occhi, oltre una indubbia bellezza da parte dei nomi citati, il fatto che quasi tutte siano interpreti, o comunque nessuna incarni esattamente quel modello di cantautrice che, per dire, Lucio Corsi o Brunori SaS ben rappresentano sul fronte maschile. Questo si chiede alle donne, di interpretare, di avere una bella voce, oltre che una bella presenza, di non uscire mai, dico mai, dai canoni. Di aderire perfettamente a uno stereotipo, quello della bella voce, della bella presenza, del cantare quel che spesso un uomo ha deciso per loro, ha scritto per loro, senza possibilità di uscire da quei registri. Questo il problema di fondo, credo. L’impossibilità di essere autonome nelle scelte, e torniamo alla faccenda della massiccia se non totale presenza maschile nei ruoli apicali della discografia, quando capita che ci sia una donna, leggi al nome Marta Donà, vai a dire che è la nipote di Celentano, come se non sia possibile avere una donna di potere arrivata al potere perché valida. In assenza di alternative a un modello vigente, anche funzionante, attenzione, chi mai negherebbe che Giorgia è Giorgia per il suo talento? O che Elodie, Rose Villain, Gaia, metteteci i nomi che volete tra quelli presenti nel cast, non sono a loro modo di successo, con hit nel loro repertorio, concerti sold out e tutto il resto, anche con una voce autorevole e pensante, fuori dal palco, si vedano le dichiarazioni di Elodie o Gaia a Domenica In, proprio riguardo al femminile, non siano a loro volta artiste con un loro successo? Il punto non è il successo, e neanche il talento, anche se in assenza di talento il successo a volte è solo frutto di strategie o di imposizioni, chi pensa che il mercato sia deciso dal pubblico, temo, ha una visione del capitalismo piuttosto naif, il punto è l’adesione agli stereotipi e l’impossibilità di esserci in assenza di questa adesione, fatto che ovviamente agevola, non solo in musica, ripeto, il cristallizzarsi di una situazione sociale che vede gli uomini sempre e comunque al comando, vincenti, le donne a fare al massimo da contorno, quando capita. Perché a una Cristina Donà, ma anche a una Patrizia Laquidara, per dire, non viene offerta la possibilità di salire su quel palco, alla prima mai, alla seconda una volta una vita fa? Perché portano avanti un loro discorso autonomo, che le tiene giocoforza a lato del sistema musica. E l’elenco dei nomi fattibili potrebbe essere davvero lungo, oltre che da leggere con una certa mestizia nel cuore.
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Joan Thiele era lì, certo, ma in mezzo a quel calderone è passata quasi inosservata, e comunque ci è arrivata dopo una vita a scrivere e cantare, per altro solo di recente senza dover fare i conti con quanto quegli stererotipi chiedevano. Serena Brancale ha avuto occasione di passarci dopo aver azzeccato una megahit come Baccalà, non certo dentro l’alveo del mercato, ma su Tik Tok, quindi rientrando dalla finestra dentro un sistema che non l’aveva proprio presa in considerazione. Quindi bene che Olly abbia vinto, è giovane, ci mancherebbe che si guardi a un giovane con ostilità. E bene che finalmente ci si sia accorti di Lucio Corsi e di Brunori SaS. Ma se pensate che il fatto che non ci siano donne tra i primi cinque sia una stortura, perché le quote rosa eccetera eccetera, beh, sappiate che avete pure ragione, ma al tempo stesso avete torto, perché anche ci fosse stata una donna sarebbe stata la donna che un sistema maschile ha metabolizzato e digerito, accettabile in quanto aderente a uno stereotipo che qualche uomo ha stabilito. E comunque non c’era. Citare la vittoria di Angelina Mango l’anno scorso, dai, erano dodici anni che mancavano donne, e quando tredici anni fa Emma ha vinto, su Arisa e Noemi, tutte e tre erano lì a cantare canzoni scritte per loro da uomini, aderendo perfettamente a tre diverse immagini di donne, considerati accettabili (l’energica, la romantica svagata, quella che ha una voce graffiante). Della serie che anche l’Elodie che mostra il culo e dice che si taglierebbe una mano piuttosto che votare Giorgia Meloni è ormai una figurina passabile, perché ci fa sentire tutti meno maschilisti, medesima faccenda che mettiamo in pratica utilizzando auto elettriche o mangiando vegano, manca la possibilità del vero dissenso, dell’avere una voce che non aderisca a un canone, che, esattamente come è stato per Lucio Corsi, spiazzi. E se mai vi venisse in mente di non trovarvi d’accordo con me sappiate che sono, Brunori SaS docet, un maschio etero bianco, pure di mezza età, non state lì a rompermi il cazzo, please.
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