Sta facendo discutere, in queste ore, la notizia che vuole Giulia De Lellis, professione influencer, salire in cattedra nientemeno che all’Università Bocconi di Milano, eccellenza mondiale in fatto di economia e marketing, per tenere un master sul ruolo degli influencer. Sta facendo discutere perché Giulia De Lellis non è a sua volta laureata in Economia e Marketing, certo, ma è pieno di non laureati che tengono lezioni e addirittura corsi all’università, compreso chi state leggendo, ci sono competenze che ancora l’accademia non ha codificato e decifrato e che quindi prevedono una elasticità altrimenti impensabile, e perché l’idea che il gotha dei futuri uomini e donne di economia e marketing debbano passare del tempo a ascoltare colei che è librata verso la fama partendo dalle poltrone/trono di Uomini e donne, immagino, lascia piuttosto spiazzati. Ora, far finta di non sapere che il mondo attuale sia in balìa degli influencer, questo almeno finché il caso di Chiara Ferragni non finisca per far implodere il tutto, portiamo pazienza che sembra non mancare molto, sarebbe non solo da sciocchi, ma anche da sciocchi che non sono ben tarati sulla contemporaneità, perché siamo circondati da tanti stocazzetti che muovono numeri incredibili, fantastiliardi di views e di like, risultati che chi ha provato a farsi largo nella vita professionale seguendo sentieri considerati più autorevoli e credibili non raggiungerà mai, e quando anche li raggiungesse, pensiamo al professor Barbero, ci terrebbe comunque a far sapere di non avere nulla a che fare con. Quindi, ok, gli influencer ci sono, e stando alle classifiche di Forbes, del Time o di chiunque stia lì a stilare le classifiche delle persone più influenti al mondo, influente… influencer, dai, è facile, sono proprio loro, gli influencer a occupare le caselle più alte di tali classifiche, e spesso, beati loro, anche quelle di chi è più ricco al mondo, fatto salvo i soliti emiri, oligarchi e titolari di aziende che spopolano per la Terra. Gli influencer ci sono e chi si occupa di marketing non può non essere interessato a studiarne le dinamiche, i movimenti, i risultati raggiunti, con lo sguardo dell’entomologo, volendo anche dell’anatomopatologo che sta lì pronto a fare una autopsia. Sentire cosa loro, gli influencer, hanno da dire, di conseguenza, potrebbe anche avere un suo punto di interesse, volendo fare gli snob, i radical chic, si potrebbe anche azzardare che ascoltarli potrebbe avere il medesimo fascino che ha guardare le interviste post-partita dei calciatori, quando gente che fino a pochi istanti prima si muoveva con l’eleganza di un cigno e la potenza di un leone sul terreno di gioco si ritrova poi a biascicare parole non sempre intellegibili su argomenti che, analizzati come fossero seri, finiscono giocoforza per diventare avvilenti. Il punto, però, non è tanto il fatto che loro, gli influencer, parlino, quando che lo facciano in luoghi considerati per certi versi sacri, le aule di quelle facoltà private, elitarie, con tasse non abbordabili per tutti, figlie del fatto che in quelle facoltà ci insegni il gotha dell’accademia, che lì si creino le reti di rapporti fondamentali per la vita professionale, poi, e che le azienda vadano di conseguenza lì a pescare nel momento in cui si ritrovino a necessitare di carne fresca, le menti migliori dell’ultima generazione.
Mi spiego meglio, stavolta provando a non passare per snob né per radical chic, credo di non essere niente di tutto questo, ma magari mi sbaglio. Avevamo già trasecolato tutti all’apprendere che lo Iulm, altra facoltà di prestigio, fondata a suo tempo da Carlo Bo e da Silvio Federico Baridon, due eccellenze della nostra università, avesse aperto un corso dal nome, sintomatico, “Influencer Media Marketing”. Perché è vero che lo Iulm è università decisamente meno imbalsamata della Bocconi, provate a fare una telefonata alla Bocconi per sapere come accedere ai test di iscrizione e, esperienza di vita, vi troverete trattati come delle merde che ambiscono a essere purificate o sanificate con la sola imposizione delle mani di qualche luminare delle materie economiche, e altrettanto è vero che mai come oggi il marketing guarda con ludibrio al mondo dei social, quindi a chi di quei mondi è protagonista incontrastato, ma, tagli con l’accetta, se si vuole diventare veterinari ci si confronta sì con gli animali, una mia amica carissima a suo tempo mi ha raccontato di come tutti loro studenti in veterinaria all’Università di Milano dovessero quotidianamente fare “prove pratiche” sull’intestino del cavallo/cavia, il povero Front On, ormai non più tra noi, infilandogli un braccio nel culo, sorta di scientifico e equestre fist-fucking atto a esplorare manualmente gli ultimi tratti dell’intestino del cavallo stesso, esperienza sul campo o sul culo che dir si voglia, ma da qui a chiedere al medesimo cavallo di tenere una lezione, credo, ce ne corre. Intendiamoci, viviamo in un’epoca che ha dato per buono che Di Maio o Salvini potessero essere ministri, figuriamoci se possiamo scandalizzarci che una influecer divenuta famosa per i suoi consigli su prodotti quali rossetti o reggiseni vada a insegnare alla Bocconi, anzi, da non bocconiani la cosa confesso che mi fa molto ma molto ridere, tipo quando alla Sampdoria negli anni sono approdati acclamati brocchi, ma se pure le università più elitarie cominciano a cercare quel tipo di riscontro lì, essere sul pezzo perché chi ha molti followers ne parlerà sui propri canali, tra una televendita e una foto vista culo da una spiaggia, beh, allora forse vuol dire che siamo arrivati alla frutta. Abbiamo a lungo perculato, anche a ragione, i tanti “laureati all’università della vita” o volendo “della strada”, non tanto, spero, per il loro non essere laureati, non siamo Galli Della Loggia, lì che rimpiange i bei tempi nei quali, pre-1968, all’università potevano accedere solo i figli della classe più alta, gli altri a lavorare, plebei, quanto per il loro volerci insegnare qualsiasi cosa in virtù di conoscenze indirette apprese su Google o perché sentite di seconda mano da “mio cuggino”, e ora ci ritroviamo una “laureata all’università della vita” lì a insegnare alla Bocconi, vanificando l’idea che ci siano comunque percorsi consoni per insegnare, percorsi che in genere passano dallo studiare, o comunque dall’aver fatto esperienze che siano veicolabili agli altri attraverso una arte oratoria, anche lì, che non passa da foto vista culo in spiaggia o pubblicità più o meno esplicite di beni di prima importanza quali fondotinta o autoreggenti. Se bastasse davvero partecipare a un master di Giulia De Lellis per apprendere come una bella ragazza, ma potrebbe essere anche un bel ragazzo, o una ragazza o un ragazzo normale, ma che sa fare qualcosa di divertente, che so, recitare la formazione della nazionale campione agli Europei con un solo rutto, svitare una bottiglia di Coca-Cola usando il buco del culo, roba di questo genere, basterebbe passare le giornate a studiarsi TikTok o Instagram e avremmo risolto il problema, risparmiando qualche decina di migliaia di euro per le rette universitarie. Un discorso rischioso, il mio, lo so, che suona come molto snob e radical chic, per di più minato dal fatto che io abbia mollato gli studi a un esame dalla Laurea in Storia Moderna all’Università Alma Mater di Bologna, la tesi in Storia Americana già consegnata al professor Federico Romero, e che ciò nonostante, negli anni, io mi sia ritrovato a tenere lezioni in diverse università, chiamato a farlo per il mio essere non scienziato o professore, ma critico musicale, ruolo che non ha un percorso accademico ad hoc, una ne ho anche tenuta allo Iulm, tra l’altro, ma, credo, un conto è essere chiamati a indicare gli studi fatti per acquistare quell’autorevolezza e competenza tale da finire, poi, appunto, a poter non solo essere riconosciuto da una filiera industriale, la discografia, e dall’editoria, come tale, confrontandosi anche con quelle parti dell’accademia più aperta a confrontarsi col nuovo, lamentando, quindi, spazi ancora inesplorati, e provando a fornire possibili percorsi da sviluppare, un conto finire a raccontare di sé in terza persona, manco si fosse Diego Armando Maradona, di fronte a un uditorio di gente che, nella vita, finirà presumibilmente poi a confrontarsi non tanto coi social, quanto piuttosto col Lato Oscuro della Forza.
Credo che quel che accadrà il 20 marzo presso la facoltà di Economia Bocconi di Milano, eccellenza italiana apprezzata in tutto il mondo, sia come se, un tempo, la mia amica Eleonora, invece che ficcare un braccio nel culo del compianto Front On, si fosse trovata il medesimo cavallo in cattedra, a spiegare come il suo intestino era fatto, soffermandosi, ovviamente, sull’assenza di sfintere del suo ano. Poi, è chiaro, vale tutto, Anna Pettinelli insegna canto alla scuola di Amici di Maria De Filippi, Adelphi ha soffiato da sotto il naso dell’Einaudi il catalogo di Philip Roth e qualcuno ritiene davvero che terra sia piatta perché altrimenti chi sta nell’emisfero australe si troverebbe a cadere nel vuoto, figuriamoci se Giulia De Lellis, autrice del best seller Le corna stanno bene su tutto, non può tenere un master sugli influencer alla Bocconi. Io, come si dice in questi casi, preferisco continuare a immaginarmi un mondo nel quale gli influencer fanno gli influencer, magari sfoggiando, per dirla alla Arisa, uno scorcio delle chiappe, una frase di Bukowksi a fare da didascalia, e i bocconiani continuino a tirarsela come fossero davvero l’incarnazione degli dèi dell’Economia in terra, senza star lì a mischiare le squadre.