Navigo su Tik Tok, con lo stato d’animo dell’estinta. Non è esatta la traduzione emotiva, però mi assumo la nemesi, una soma da sopportare. Nella terra dei walking dead, il viso drammatico del joker è simile a un mascherone cimiteriale di una qualche tribù spersa nelle isbe della Nuova Zelanda, tale è la suggestione, un joker gigantesco che straborda qualcosa di tragico, parossistico e perduto insieme; la cover (la copertina dell’Espresso dedicata a Chiara Ferragni, nda) induce a contemplare la disfatta funerea, forse allargando i margini di un semplice fatto, uno scandalo che dispare, uno come un altro, la via prudenziale sono le interviste sulla poltrona di un talk con l’anchorman rassicurante come una vellutata di cavolo cappuccio, tanto innocua all’apparenza quanto indigesta. La cover sembra la conversione mondana di una nostalgica llorona. La llorona è il golem mostruoso e pietoso, è la donna che piange i figli che ha trucidato, l’equivalente della Medea, ma nel mito latinoamericano. La llorona. La piangente. Così Tik Tok si trasforma in un camposanto, dove muore quotidianamente l’empatia desta e acuta e tutte le antiche forme di umanità. Gli auditori non lo sanno, ultracorpi forgiati da menti demoniache, a nostra insaputa. Individui replicabili, depositari di commenti acri e faccette ilari. Quanto violenta sia la llorona della cover, più che un joker spaventato dalla potenza del proprio ego messo alle strette (entità autonoma e ingovernabile oramai), non ho ancora realizzato. È violenta? Sì, come tutto ciò che accade alla fine, la chiusa di un capitolo, la chiosa definitiva, un addio moltiplicato, edonistico e per sempre. L’anchorman è molto abile per le domande che contengono già le risposte, risposte che non urtano e non aprono feritoie dove sorprendere una coerenza di qualche tipo. Tutto è bene ciò che finisce. Non bene, non benissimo. La llorona parte per gli States. Ringrazia i suoi sostenitori. Gli adepti si chiamano follower, ma adesso hanno in mano il mouse dell’inquisizione, non più like, ma forche gettate all’ignominia.
L’impero in tandem è finito. Finito sembra urlare una folla delirante di invisibili. Il refuso mi restituisce: fola. Il che è abbastanza intelligente o metaforico o sapienziale o tutte e tre le cose. Gli invisibili un tempo erano individui, per l’appunto. Generazioni scavallate, neanche a tirar fuori concetti vetusti come “post sessantottini”, nipotastri di partigiani; militanti invisi a repubblichini nella vocazione. Fascisti. Comunisti. Macché. Niente. Signori, niente. Le ideologie soverchiate da insofferenze lapidarie, consapevoli, metropolitane, la tiktoker musicista indignata, esprime cordoglio per quella pratica obsoleta e sessista del catcalling. L’asimmetria del potere, accidenti, roba da impiantarci una rivoluzione al momento, una fatwa evirante. Questo è. Nei giorni di fine impero. L’influencer come la llorona, così conciata, dibattiti che non spostano gli equilibri del pianeta, e nemmeno la stabilità di un condominio, le certezze rionali, una identità condominiale. Niente, signori, niente. In apprensione per l’ensemble di nullità, l’impressione schietta è che si faccia sempre più fatica a distinguere responsabilità morali ed estetiche, posto che facciamo prima a sgomberare l’aia, non sussistono, non le une, non le altre. Stiamo ancora listati a lutto per un pandoro rosa. Questo è. L’effetto domino tracima e azzera amenità svettanti al suono amorfo del lip sync. Siamo in regime di eteronomia, di anchorman che rilanciano domande con dentro la risposta, consolano alla stregua di una zuppa di cavolo, il cui effluvio acido emana dalla rampa di scale. L’effluvio di piccole intelligenze al servizio di un mondo smorto. Questo è.