Roma e dintorni, tra sacro e profano è il titolo dello spettacolo dedicato a Roma, alla romanità, un viaggio di sola andata tra la bellezza più assoluta e la suburra più oscena. Al timone? Il meraviglioso Vinicio Marchioni. L’attore tra i più forti del panorama nazionale, specie a teatro (impossibile dimenticarlo in Chi ha paura di Virginia Woolf di Antonio Latella e nel suo Caligola), ha riempito il teatro Off-Off della Capitale tra le grida e i boati di un pubblico che avrebbe continuato ad ascoltarlo probabilmente fino al giorno successivo. E come dargli torto. Vinicio Marchioni si sarebbe potuto presentare anche con una lista della spesa da leggere e avrebbe comunque suscitato riverenze e ossequi tra gli spalti per la sua bravura. Ma lui delle poesie e dei racconti li ha portati, ha scelto i versi di Trilussa, Franco Califano, Belli, Ivano De Matteo e Remo Remotti. Tra storie di “mignotte” e di “cagnetti rompiscatole”, Marchioni con l’innata e naturale credibilità che solo dei talenti come lui possono vantare di avere, è riuscito a far sorridere anche le signore più pettinate e ingessate presenti in sala usando il romanesco: “Il dialetto che ti permette con una sola parola di esprimere un concetto”. Così diceva Proietti in un divertentissimo sketch a inizio Duemila. Vinicio Marchioni su Repubblica: “Parlerò agli spettatori dei sonetti in genere, toccando temi alti e bassi tra cinismi e graffi, perché i romani prendono in giro sé stessi e tutto”. Dal repertorio di Franco Califano, Marchioni ha letto anche Cesira, al centro del brano: una donna tanto bella quanto rifatta, voluta dal marito fatta di plastica, disposto a tutto pur di averla, pronto a trascurarsi e a morire: “Cesi' quanto sei diventata bella / Una così non poi che fabricalla / Io l'ho voluta 'sta ricostruzione / Parla de me damme soddisfazione / Ognuno c'ha quarcosa de cui e fiero / Tu sei senz'altro il mio capolavoro / Cesi' sto per' mori' sto a spicca' er volo / Che t'ho da di' se rivedremo in cielo / Addio Cesi'come me rode...”.
Tra una risata e l’altra c’è stato anche lo spazio necessario per ricordare il grande Roberto Lerici con Mio padre è morto partigiano. La storia di un sogno, di un ragazzo che vede suo papà partigiano defunto, e lo incontra in una notte. La storia di un uomo che forse non sa di esser morto, convinto di un tempo che non è mai trascorso, il ricordo di una terra selvatica e sola dove questo genitore allora ragazzo aveva trovato la fine della sua vita per difendere la Patria, e il futuro per i propri figli. “Ma che ne so io de quello che è successo, io so' rimasto come v'ho lassato, quanno giocavo, giocavo, giocavo… giocavo a calcio e mica me stancavo, giocavo co' tu' madre e l’abbracciavo, giocavo co' la vita e nun volevo, coi fascisti io però nun ce giocavo…io sparavo, sparavo, sparavo”. E poi La domanda di quel padre morto ammazzato al figlio: “Ma insomma, adesso er popolo comanna?”. Qui Marchioni si ferma e ci guarda, ci sorride. E così di fronte a quel quesito antico cerchiamo una risposta pure noi adesso. “Ma adesso il popolo comanda?”.
Di Roma e dintorni, tra sacro e profano resterà la Capitale secondo Marchioni, decantata prendendo in prestito le parole di altri Maestri, ma della serata permarrà anche una leggera amarezza perchè anche stavolta il pubblico non ha smesso di ricordare all'attore, nonostante svariati film, serie e spettacoli teatrali alle spalle, a distanza di quasi vent'anni, ancora il suo Il Freddo di Romanzo Criminale. Anche basta. “Free Vinicio!”. Che il suo indimenticabile personaggio nella fortunata serie di Sollima continui pure a essere amato, ma smettiamola di ricordargli soltanto una parte della sua storia. Vinicio Marchioni è tanto, tanto altro. E in questa notte magica passata assieme a lui, sotto la luna di Roma, ce ne siamo di nuovo resi conto.