Paolo Virzì è nella rosa dei registi che hanno cambiato e continuano a trasformare il mondo del cinema italiano. Le sue idee sono così interessanti che sembrano sogni a cui i suoi film (suoi Il capitale umano, My name is Tanino, Ovosodo, La pazza gioia) si sono aggrappati per poi diventare immagini. Il suo interesse per le cose degli altri, per i fatti che sconvolgono il mondo e quel sorriso che anticipa un animo vulcanico e aperto alla vita, è ciò che ci ha permesso di rivolgergli con sincerità e completa ammirazione anche domande sull’attualità. In questa confusa e annebbiata dispersione di noi e degli ideali in un mood di costante infelicità e amarezza, gli abbiamo chiesto di spiegarci cosa sta succedendo in Italia, al governo e quale sia lo stato di salute del cinema nazionale, prendendo spunto anche da Un altro ferragosto, il suo ultimo lavoro appena uscito nelle sale e sequel dell’amatissimo Ferie d’Agosto del 1996. Virzì ha tracciato in questo suo film la deriva politica e ci ha mostrato i resti, gli scheletri di quello che era e forse fatica ad essere ancora oggi la Sinistra. “Ho l’impressione che Elly Schlein si esprima con slancio su temi sacrosanti che riguardano i diritti civili, ma troppo poco su temi sociali”. E sulla recente uscita del Ministro della cultura Gennaro Sangiuliano sui film di destra e di sinistra: “Si tratta dell’ennesima “boutade” mistificatoria e irrazionale per distrarre dalla evidente incapacità di questo governo”. E sul futuro del cinema e del pianeta….
Paolo Virzì, il tuo ultimo film Un altro Ferragosto è appena uscito nelle sale. Torni a parlare della storia di due famiglie, Molino e Mazzalupi che nel prequel Ferie d’Agosto, del 1996, vivevano in una età neoberlusconiana. Oggi riprendi questa storia, i suoi personaggi e c’è ancora la destra al potere.
All’epoca non si trattava neppure di una cosa di destra, c’era una sorta di vuoto in cui Berlusconi si era preso gli elettori che votavano i tradizionali partiti di governo. Crollò il sistema politico tradizionale ed emerse quella polarizzazione fortissima nella quale le due comunità non riuscivano a parlarsi e ad ascoltarsi. Se la Dc e il Pci dialogavano tra loro, con diverse sfumature, ma comunque con valori fondanti condivisi, per la prima volta arrivò una burrasca di denigrazione per la lingua e il ruolo della politica, arrivò quel modo nuovo di parlare “alla pancia della gente”. Si affermò quel populismo reazionario che adesso occupa la scena della politica, non solo in Italia ma nel mondo. La campagna elettorale, che tradizionalmente viveva di comizi, volantinaggi, porta a porta dei militanti e le tribune elettorali in tv che erano soporifere ma anche pacate, adesso giungeva dalle trasmissioni televisive popolari, con Mike Bongiorno e Raimondo Vianello che invitavano il pubblico a votare per il proprio editore.
Oggi cos’è cambiato?
Il populismo si è affermato in tante modalità dai Cinque stelle in poi. Venuto meno chi aveva tenuto insieme il centro destra, che era un proprietario economico armato di una potenza mediatica che nessuno poteva eguagliare in Italia, ecco che sono riemersi gli umori antichi. Quella roba che non si era mai spenta, quel fascismo naturale degli italiani che addirittura precede il fascismo, ma che è un humus antropologico dell’arretratezza culturale e civile di un Paese che non ha avuto una rivoluzione industriale, una classe dirigente avanzata, una borghesia liberale, il fascismo fu una scorciatoia per scrollarsi di dosso le fatiche della democrazia.
Che rapporto c’è tra il governo e il fascismo?
Noi siamo stati fascisti prima di tutto nell’animo e adesso c’è al governo una formazione politica che nasce da una fiammella residuale di nostalgici che era rimasta nel Dopoguerra, isolati politicamente fino all’avvento di Berlusconi, hanno poi trovato accesso al governo del Paese - con lo “sdoganamento” dei postmissini guidati da Fini - tuttavia rimanendo in una nicchia. Meloni e Fratelli d’Italia alle elezioni comunali in cui vinse la Raggi avevano percentuali risicate, pescavano consenso in nicchie di esaltati convintamente nostalgici del fascismo, più per ignoranza, per una forma di tribalismo primitivo e umorale, che per un pensiero ragionato. Era nato il bipolarismo e ora si sta frammentando in una forma inedita che non sappiamo ancora cosa diventerà, guarda caso le famiglie Molino e Mazzalupi in Ferie d’agosto nel 1996 erano radunate attorno ai loro leader familiari, adesso nel sequel Un altro ferragosto le due comitive non sono più così compatte.
La sinistra sembra essersi persa per strada. Penso alla battuta su Elly Schlein in Un altro ferragosto. Alla domanda “Com’è la Elly?”, Sandro Molino risponde “È molto bello a quest’ora l’improvviso spegnersi del cicaleccio delle cicale”. Ti chiedo, dove è finita la sinistra?
Chissà se Sandro Molino ha capito quella domanda, se ha risposto in maniera sibillina oppure se davvero la sua testa è ormai altrove. Quello che emerge è che non c’è più questo sentirsi parte di una storia fondativa rilevante, nel primo film Sandro difendeva con orgoglio l’identità peculiare del comunismo italiano, in Un altro Ferragosto qualcosa è cambiato. Io su Elly Schlein posso solo dirti che a volte ho l’impressione che si esprima con slancio su temi sacrosanti che riguardano i diritti civili, ma troppo poco su temi sociali come: lavoro, casa, reddito, sanità pubblica, scuola.
In Ferie d’Agosto le due famiglie Molino e Mazzalupi si scontrano sul tema del razzismo con la storia di Tewill.
In Ferie d’Agosto l’attore Oumar Ba che interpretava Tewill, il venditore ambulante senegalese nel film, fu uno dei primissimi migranti che raggiunse l’Italia (all’epoca arrivavano regolarmente, non c’era ancora la legge Bossi Fini che creava il reato di immigrazione). Era un ragazzo simpaticissimo, faceva teatro amatoriale, era un animatore nelle discoteche e ci raccontava spesso del suo Paese, della sua cultura, di magie. L’estate dopo l’uscita del film, nel 1997, decise di tornare in Senegal e io come gli avevo promesso decisi di andare con lui. Andai con una piccola troupe e girai un documentario Il viaggio di Oumar: fu un’esperienza estrema, tieni conto che andammo in un posto in cui non c’erano strade, corrente elettrica, dove gli abitanti, specie le donne del villaggio, percorrevano incessantemente chilometri per tirar su l’acqua da pozzi di acqua fetida. Arrivammo in un villaggio oggi desertificato, abitato da pastori nomadi. Noi eravamo i primi toubab, ovvero i primi esseri umani bianchi che avessero mai visto.
L’esperienza più assurda che hai fatto lì?
Un santone un giorno mi fece una magia per proteggermi dai leoni e io chiesi al mio amico di dirgli che dato che sarei andato al Festival di Venezia quell’anno con Ovosodo avrei tanto voluto “avvicinarmi a un leone” e così il santone mi fece un’altra magia “per fare amicizia dei leoni”. Poi a Venezia vinsi davvero il secondo premio del Festival e mi premiò, pensa un po’, il regista africano Idrissa Ouédraogo a cui poi raccontai tutta la storia.
Secondo te gli italiani sono “ancora”razzisti?
Posso dirti che non abbiamo assolutamente risolto il problema, stesso discorso vale per l'omofobia, che c'è sempre stata in Italia. I Mazzalupi in Ferie d’Agosto guardavano la famiglia omogenitoriale composta da due mamme dei Molino e sghignazzavano: “So alternativi, poracci”.
Il ministro Sangiuliano ha di recente esclamato: “Basta con i fondi dati solo ai film di sinistra”. Cosa ne pensi di questa sua dichiarazione?
Al governo hanno capito che non c’è niente che ecciti il sentimento popolare come il rancore nello scagliarsi contro coloro che considerano una élite privilegiata, ma è una mistificazione, infondata e devastante per la nostra industria culturale. Sono armi di distrazione di massa, per spostare l’attenzione verso la rabbia facilona e per non affrontare in modo razionale nessuna questione. Forse non se ne rendono nemmeno conto, ma rischiano di ammazzare l’intero comparto cinematografico, che non è fatto solo di star che sfilano sui red carpet (in genere con smoking presi in prestito), ma di decine di migliaia di lavoratori.
Quindi?
Quindi questa cosa che dice Sangiuliano è il classico falso problema suscitato per attivare un consenso facile e rancoroso, così come per il fenomeno dell’immigrazione, alimentato solo per generare paure irrazionali, con leggi che addirittura aumentano il problema. In questa esternazione di Sangiuliano non solo c’è il cattivo gusto ma anche una scarsa conoscenza del tema, ovvero di come funziona l’industria cinematografica in Paesi più virtuosi del nostro.
È stata costruita una narrazione in Italia secondo cui gli artisti della sinistra sarebbero stati “avvantaggiati”, eppure ricordiamoci che Luchino Visconti non prese il Leone d’oro a Venezia perché era iscritto al Partito Comunista. Si tratta insomma dell’ennesima “boutade” mistificatoria e irrazionale per distrarre dalla evidente incapacità di questo governo.
A proposito di destra e di cultura penso al caso dell’Ex civis di Roma, dove pare che uffici e parcheggi prenderanno il posto dell’hub culturale. Cosa ne pensi di questa storia?
In Italia il settore cinematografico è inerme, lo sciopero dei cineasti ha messo in ginocchio Hollywood, noi invece abbiamo delle rappresentanze sindacali farlocche o con le unghie spuntate quindi sanno che vai a sparare sulla Croce Rossa, però così facendo, riscuoti l’applauso dell’uomo della strada. È demagogia, immaturità di un governo che non è fascista, è semplicemente composto da persone impreparate e immature.
Temi l’avvento del digital e dell’intelligenza artificiale nel settore cinematografico?
Come tutte le nuove tecnologie porta vantaggi e svantaggi. Da una parte la negazione dei diritti della persona, dall’altra la risposta alla fatica del lavoro per l’operaio. Poi credo che per quello che riguarda le piattaforme ci sia una democratica possibilità di accesso a dei contenuti di qualità. Il problema, se vogliamo, è che queste piattaforme dettano spesso una modalità di lavoro che fa sì che si generi un appiattimento della proposta artistica. Le cosiddette “guidelines della piattaforma”, come scherzava Nanni Moretti nel suo ultimo film, Il Sol dell’Avvenire, peraltro, neppure così parodistico, anzi quella scena, che sembra una caricatura, in realtà è incredibilmente realistica.
In Siccità e in Un altro Ferragosto torna lo spettro dell’eco-ansia, penso alla battuta di Daniela che dice “stiamo morendo e stiamo pensando a come salvare le balene”. Tu hai paura del futuro e dell’impatto del cambiamento climatico? È un tema che ti appassiona?
Mi sta molto a cuore, mi interessa, è IL tema, è la sopravvivenza del pianeta. Gli scienziati lanciano l’allarme da anni e così anche gli Stati che producono petrolio all’ultima Cop di Fubzi, hanno finalmente riconosciuto la connessione tra le emissioni di CO2 e una crisi climatica destinata a produrre esiti catastrofici per il pianeta.
C’è da dire che ai giovani questo tema appassiona parecchio, penso soprattutto ai giovani manifestanti.
Sì, perché le nuove generazione hanno la sensibilità per avvertire questa urgenza, sono i vecchi rincoglioniti della mia generazione che sospirano “tanto moriremo tutti” ennesima forma di qualunquismo reazionario e becero. Stiamo producendo con la mia società Motorino Amaranto un documentario su questo tema, non posso rivelarti di più, ma ci stiamo investendo tanto, in termini di energia e di risorse.
E le istituzioni che ruolo svolgono nel contrasto al cambiamento climatico?
Noi abbiamo un problema: il collasso del discorso pubblico e di quelle che dovrebbero essere le classi dirigenti, che vivono una stagione di declino. Gli insegnanti nella scuola pubblica sono sempre meno pagati e spesso demotivati, c’è un problema di analfabetismo di ritorno tra gli studenti. Nasce da qui il deficit di strumenti cognitivi e culturali per affrontare temi complessi, questa è la grande pandemia dell’Occidente.