L’attesissimo film di Nanni Moretti, Il sol dell'avvenire, che uscirà in ben 500 sale d’Italia è la storia di un regista (lui) che sta girando oggi un film sui fatti di Ungheria degli anni Cinquanta, con Margherita Buy, Silvio Orlando, Barbora Bobulova, che più che essere “sovversivo”, come preannunciava Matthieu Amalric nel trailer, sembra il prodotto di un artista geloso del suo cinema che accetta disarmato e per la prima volta le critiche e le novità dell’industria cinematografica nell’era dello streaming. Una volta Moretti chiese a Monicelli: “Perché questa ricerca angosciosa del successo economico?”. Ecco, questa domanda oggi andrebbe fatta proprio a lui, magari modificandola un po’, perché questo film sembra uno di quelli che a fine carriera si deve fare per forza, in poche parole: un omaggio di Moretti a Moretti. Il regista romano sostiene che quello che spesso manca al cinema è la cura delle cose. Eppure è proprio Il Sol dell’avvenire a non essere perfetto.
In una scena in particolare, quando Giovanni va a parlare con i produttori di Netflix, questi gli reclamano il bisogno di avere in una sceneggiatura che funzioni dei momenti “what a fuck”. Ma quella che ci sembrerebbe essere una vera e propria critica all’industria cinematografica, è invece la stessa cosa che avviene ne Il Sol Dell’Avvenire. Non sono pochi i momenti che non servono a niente. Si improvvisano delle situazioni karaoke che più che avere una valenza estetica come in Palombella Rossa e Caro Diario sembrano dover allungare il brodo. Che sia questo un modo per Nanni di dirci che in fondo pure lui che era un autarchico alla fine si è stufato? Moretti risponde di essere ancora controcorrente, lo stesso che nel novembre del 1991 con l’avvento delle videocassette e la chiusura dei cinema di mezza Italia decide di aprirsene uno tutto suo, il Sacher. Eppure, il vecchio Nanni ci manca un po’.
Quello che è innegabile invece è il tributo a Fellini, palese il rewatch del regista sotto le coperte durante il lockdown, viste le continue citazioni per tutto il film, soprattutto nel finale che si conclude alla stessa maniera di 8 ½: in una grande parata circense, con dei close up su tutti gli attori e le attrici che hanno segnato la sua filmografia. Se state cercando qualcosa del vecchio Nanni Moretti ci sono continui rimandi in superficie, da Bianca ad Aprile a Caro Diario, ma quello vero, quello che “aveva voglia di litigare con qualcuno” (Aprile, 1998), dov'è finito? Resta il suo non essere ipocrita, come diceva nell’intervista di Luigi Magni nell’82, il suo essere profetico (ci sono battute in merito a un pericolo orso libero e alla invasione sovietica con un annetto di anticipo), autoreferenziale e anche “faticoso”. Quello che manca in questo film, però, è la grinta di un tempo, perché qui Nanni non smuove più, semplicemente accetta quelle che sono le novità, le condizioni e i cambiamenti. Forse è vero che vuole provare cose nuove e magari – come ha ammesso – darsi al teatro. Stiamo a vedere. Per ora, Il Sol dell’Avvenire sembra davvero il tramonto dell’era Moretti che “gridava cose vere e giuste” (Caro Diario, 1993) e che oggi, più che urlarle, le bisbiglia.