Prima di entrare in sala ho dato un’occhiata alle recensioni del nuovo film di Salvatores e ho pensato “ecco la solita storia del vecchio regista che si trova a fare il bilancio della propria vita”; ricco ma infelice, di successo ma solitario, Leo Bernardi (Toni Servillo) è depresso e incapace di dimenticare l’amore per una contadina (Sara Serraiocco) conosciuta sul set del suo ultimo film, Il Ritorno di Casanova tratto dal romanzo di Arthur Schnitzler. Nel frattempo, si vede superato dalla nuova speranza del cinema italiano Leonardo Marino (Marco Bonadei), un giovane regista dalla fronte alta di Nick Cave, le basette di Jim Jarmusch e il guardaroba di Wes Anderson. Il tempo non è più dalla parte di Bernardi, che affida la realizzazione del film all’unico amico Gianni (Natalino Balasso), così da poter dedicare tutto se stesso al proprio egoistico struggimento. La vita del regista si intreccia con quella dell’altro Casanova (Fabrizio Bentivoglio), quello “vero”, che rompe il ritmo monotono di una narrazione dedicata alla ricerca dell’oltre il cinema, della vita vera. “La vita è accettabile solo quando giro” dice Bernardi a Silvia, la giovane donna che porta in grembo un figlio solo suo su cui Bernardi non ha ascendente (Silvia dirà: “Il figlio è mio ma l’ho fatto con te”). Fuori dal set la realtà si colora solo di bianco e nero.
Chi dei due è il vero Casanova? Bernardi o il Giacomo dalle buone maniere che, peraltro, insieme alla giovinezza, sembra aver perso il suo proverbiale galateo? Quest’ultimo striscia sui pavimenti, nudo come un paguro fuori dal guscio, e brama le attenzioni della giovane Marcolina (Bianca Panconi), la quale lo ricompensa con sguardi pieni di schifo. Entrambi, i due vecchi, nelle loro parabole discendenti aspirano a Venezia: il regista vuole battere al Festival il giovanotto Marino e Giacomo, con occhi gonfi di tristezza, vaga intorno alla Serenissima sperando di tornarci anni dopo la sua fuga dai Piombi. Nostalgici e sconfitti, i nostri eroi. Nulla di nuovo, dunque. La storia è sempre quella. Ma va bene così. Che dovevo aspettarmi: finali a sorpresa? Insegnamenti per le nuove generazioni (anche no)? Oppure, all’opposto, vite degenerate e decadute? Niente di tutto questo: il film è il suo, di Salvatores. Ma anche dei suoi due protagonisti, bianchi e non più di primo pelo.
I satelliti che orbitano intorno al duo Servillo-Bentivoglio fanno la loro parte, Ale e Franz compresi (“Ma bro, quello è Franz di Ale e Franz” sussurrano in sala). La regia e la fotografia funzionano (della serie: “Che je voi di’?”) e l’atmosfera allucinata non può non ricordare quella di Fellini, uno che sull’ansia da prestazione e sul “non aver niente da dire ma sapere come dirlo” ci ha fatto una carriera. Il suo di Casanova, interpretato da Donald Sutherland, era tuttavia perfettamente in equilibrio tra i vari momenti tragici, epici, comici e parodistici. Al contrario, Servillo viene sballottato in tutti gli angoli dell’eccesso (compreso, c’è da dirlo, quello del banale), sempre con le guance scavate troppo prese a boccheggiare le immancabili sigarette. Vecchio libertino, Toni, a cui non manca il guizzo del playboy. Ma i due sono, soprattutto, vecchi. Così tanto da non riconoscersi in quegli specchi dove non vedono l’io di ieri e neanche quello di oggi: soltanto loro stessi che “furono”. Una nostalgia che si trasforma in attesa. Attesa per la vita, nel caso di Bernardi, troppo vecchio per crescere un figlio («quando avrà 7 anni io ne avrò 70»; potevi pensarci prima, ragazzo). Un capolavoro, quindi? Direi di no. Un film che “dovete assolutamente vedere?” Neanche. Un film che dice la verità? Questo si. La verità di un tempo che corre, almeno. Chi è il vero Casanova, dunque? Nessuno dei due, perché i loro personaggi sono oltre la vecchiaia: sono morti e per questo costretti alla rinascita. E vale anche per Salvatores, che ha voluto dire quello che pensa, onestamente. Senza paura del giudizio di quelli che diranno “i soliti ricchi troppo tristi”. E ci mancherebbe altro. Suo, Maestro Salvatores. Sogno di un’ombra, te stesso.