Una video chiamata con telecamera spenta, al centro solo le parole. Così Darren Aronofsky apre il film The Whale, presentato al Festival del Cinema di Venezia e candidato a 3 premi Oscar (miglior attore a Brendan Fraser, miglior attrice non protagonista a Hong Chau e miglior trucco a Judy Chin) che sarà disponibile nelle sale italiane dal 23 febbraio. Aronofsky - apprezzatissimo nel mondo del cinema internazionale - ha già diretto pellicole come “Requiem for a dream”, “Il cigno nero” con Natalie Portman, “Madre!” con Jennifer Lawrence e “Noah” con Rusell Crowe. Per il suo ultimo film ha scelto l’omonima opera teatrale di Samuel D. Hunter trasformandola in un dramma intimo e toccante con protagonista l’attore Brendan Fraser, accanto a Sadie Sink e Hong Chau, per un cast destinato a lasciare il segno.
Il film si struttura intorno alla figura di Charlie, un insegnate di scrittura morbosamente fissato sul cibo e quindi straordinariamente obeso, che tiene lezioni online con la telecamera spenta dal suo appartamento. Non ha più contatti con il mondo esterno e con le persone, se non per la sua amica e infermiera Liz. Un giorno la figlia adolescente, che non vede ormai da anni, si presenta alla sua porta e così Charlie tenta di riallacciare il rapporto con lei. In quella ultima settimana entra per caso nella sua vita anche un giovane missionario, che vuole fare di tutto per provare a salvarlo.
Un immenso macigno sulla vita
Il film trasmette una sensazione opprimente, come un immenso macigno che minaccia e schiaccia l’esistenza. È claustrofobico, a partire dal formato 4:3, che ingabbia il personaggio, fino al set del film, la casa del protagonista, che diventa un palco teatrale dove entrano ed escono i personaggi.
Le finestre sono chiuse, come le serrande, la porta è l’unico accesso al mondo esterno che raramente si apre. Ma quando questo accade, fuori piove, come se al di là di quella porta non fosse possibile andare. Non è nemmeno possibile muoversi dal quel salotto sporco e pieno di cibo perché Charlie si muove a fatica. Noi siamo lì dentro, siamo seduti sul divano con lui, oppure lo guardiamo da un angolo della casa. In quel piccolo spazio che diventa nido-prigione ci sono le paure di Charlie, il suo dolore, la fame che colma quel dolore e la consapevolezza di quello che è.
Il corpo come campo di battaglia
Darren Aronofsky svela quasi immediatamente il corpo di Charlie. Una gigantesca whale che vive nello strazio del passato. Non si sa subito il motivo della sua obesità, ma quel grasso suda dolore. Il corpo qui diventa un oggetto/soggetto: divide dal proprio Io, protegge dall’esterno, a volte diventa mostruosità, diventa il campo di battaglia delle sofferenze, dei peccati e allontana tutti. Il corpo non è più un luogo d’abitare, ma imprigiona diventando spettacolo di dolore e di incapacità. “Do you think I am disgusting?”, grida il protagonista nel film.
La sala da pranzo del protagonista diventa un tribunale casalingo quando lui si trova di fronte la figlia adolescente, complicata e furiosa del fatto che lui l’ha abbandonata per costruire la storia con un uomo, la ex-moglie, l’amica dal legame particolare - che sarà svelato durante il film – e il missionario. Il tormento di Charlie viene raccontato con un climax ascendente: il trauma del suicidio del compagno, che lo avvia verso l’autodistruzione, le scelte sbagliate, la sua ossessione per il cibo, il rapporto con la sua famiglia, con se stesso e con la morte.
Una storia sull’autodistruzione di un uomo, sullo sgretolarsi di un corpo ormai incapace, giudicato mostruoso, che per reazione vede sempre il meglio in tutti. Charlie desidera riavvicinarsi alla figlia che non vede da molti anni, riportando in superficie dei momenti di vita che ora sono solo un ricordo in cui egli trova la sua pace.
The Whale esplora nel profondo l’intricata complessità dell’essere umano attraverso un personaggio che lotta contro l'enormità dei suoi rimpianti, il dovere della paternità e il tentativo di vivere in pace con se stessi e le proprie contraddizioni.
Il film è non solo una storia di caduta e distruzione, ma anche di trasformazione e trascendenza, l’odissea di un uomo dentro se stesso e fuori dal suo corpo, un viaggio attraverso le profondità del dolore e verso la ricerca di una salvezza. È una caccia disperata, un tentativo di afferrare la sfuggevolezza della compassione, di comprendere il perché ne abbiamo tanto bisogno oppure la rifiutiamo, quando possiamo concederla e quando no. Ma lo spettatore assiste al nascere di questo sentimento nel corso della storia, che aiuta a tollerare i tormenti e la fine. In questa affannosa ricerca per ridefinire i propri confini e aprire al concetto di fiducia nei legami importanti, Charlie finisce per rompe i contorni dell’io e lasciarsi andare ai ricordi migliori, trovando in essi la pace che gli manca.