Pierfrancesco Favino torna al cinema con “L’ultima notte di Amore” di Andrea Di Stefano (film applaudito alla Berlinale e in uscita nelle sale il 9 marzo in cui interpreta un poliziotto, Franco Amore) e sempre assieme al regista arriva sulle principali piattaforme di streaming con l’omonimo podcast dedicato alle storie di agenti alle prese con le difficoltà della loro professione. E l’attore ci ha concesso un’intervista in cui affronta anche temi delicati come quello delle condizioni di lavoro di chi opera all'interno delle forze dell'ordine.
Pierfrancesco, perché hai deciso di accettare questo ruolo? E cosa ti ha colpito della proposta?
Perché innanzitutto è una bellissima sceneggiatura, che nel caso in cui fossimo riusciti a farlo faceva pensare a un film secondo me importante. E Andrea Di Stefano ci è riuscito, per cui sono molto contento del fatto che esca un film così ben fatto. Tensione a mille, è un thriller vero come non si facevano da un po’ di tempo. Questo per partire, dopodiché il film è andato anche oltre le mie aspettative da questo punto di vista.
Non è la prima volta che un tuo personaggio è legato alle forze dell’ordine. Ci ricordiamo per esempio “Acab - All cops are bastards”. C’è qualcosa che lega questi due film e questi due personaggi?
No, perché innanzitutto sono due poliziotti che appartengono a mondi diversi: uno era della celere e questo qui è della volante. E poi perché sono due persone completamente diverse: tanto l’uno era probabilmente facinoroso quanto questo invece è famoso per essere il contrario.
Non solo cinema però, perché con “L’ultima notte di Amore – Il podcast” assieme al regista Andrea Di Stefano affronti il tema delle storie di poliziotti un po’ da giornalista-conduttore. Come si è arrivati a questo progetto?
In realtà è come se avessimo reso pubblico quello che generalmente facciamo quando facciamo ricerca su un tema o sulle persone che poi andiamo a interpretare o su cui nel caso specifico di Andrea poi si va a scrivere. Con due agenti che anonimamente si sono prestati a raccontarci la loro quotidianità e soprattutto cosa vuol dire essere per strada, ci siamo domandati se non fosse il caso di farlo sapere e conoscere a chi magari può non conoscere quel mondo e quella quotidianità appunto, così da avvicinare a quella che è la realtà di queste persone.
Favino: “I poliziotti che abbiamo ascoltato per il podcast sono i primi a essere molto arrabbiati quando si parla di abusi. Se poi ti avvicini alla loro quotidianità c’è una frustrazione molto forte che è dovuta anche alle condizioni di lavoro”
Su questo tema sentiamo anche Di Stefano: “L’idea del film – ci spiega – è nata stando a contatto con agenti di polizia per altri progetti. Uno di loro guardando carte processuali mi disse che lui guardando una scena del crimine era convinto che alcuni suoi colleghi sapessero di più del consentito della scena e che forse erano stati partecipanti attivi dell’evento, e quello mi ha fatto venire in mente in qualche modo il film stesso, con il protagonista che arriva per le indagini ma qualche ora prima era stato partecipante attivo. È stato un film per il quale abbiamo fatto molta ricerca sul campo e ci siamo avvalsi della collaborazione di ex agenti di polizia ed ex carabinieri ed erano talmente interessante ascoltare quello che avevano da dire e come il loro punto di vista fosse diverso da quella che è l’impressione comune che abbiamo pensato di realizzare il podcast”.
Disponibile in cinque episodi da 22 minuti l’uno, “L’ultima notte di Amore - Il podcast” tratta di storie e testimonianze anonime sulla vita nell'ombra degli ufficiali in servizio raccolte da Favino e Di Stefano. Racconti di alcuni tra i più di trecentomila agenti appartenenti alle forze dell’ordine in servizio in Italia: poliziotti, carabinieri. Finanzieri che spesso si trovano costretti a gestire oltre alla divisa il fardello di una seconda vita.
“Innanzitutto – ci racconta il regista – sono persone che fanno un lavoro molto difficile, sottopagato e fanno quasi tutti ricorso al doppio lavoro. E lì c’è un problema da risolvere, perché se le persone fanno un doppio lavoro e dormono poco e poi devono tornare a indossare la divisa per proteggerci c’è qualcosa che non va. E poi le persone che hanno bisogno di soldi sono più a rischio di essere avvicinate per episodi di corruzione: quindi è un problema serio che va affrontato. Bisognerebbe riflettere su quanto categorie del genere dovrebbero prendere in busta paga”.
Tornando a te, Pierfrancesco, avrai sentito l’evasione del boss della Sacra Corona Unita da un carcere in Sardegna. Il segretario del sindacato autonomo di polizia ha denunciato precise responsabilità dei colletti bianchi e di evasione annunciata, viste le condizioni di lavoro e i numeri delle guardie. Che ne pensi?
Sicuramente ascoltando il podcast ci si può rendere conto di quelle che possono essere le difficoltà con le quali lavorano queste persone, ma soprattutto di quello che possono rischiare anche personalmente. E in più il rapporto con le ore di lavoro e con quello che può essere il loro trattamento economico. Spesso capita che si parli di doppio lavoro, come anche delle “tentazioni” che ci possono essere in queste realtà, per cui abbiamo voluto chiedere a queste persone quanto possano influire il trattamento economico e le condizioni di lavoro. Quindi non mi stupisce la presa di posizione del sindacato, anche se nel nostro caso specifico parliamo di e con persone che lavorano di notte di pattuglia, quindi con mansioni diverse rispetto alla polizia penitenziaria.
Un altro caso per cui vengono tirate in ballo le forze dell’ordine è quello del caso Cospito, con il tema degli anarchici e del 41 bis. Che idea ti sei fatto al riguardo?
È un tema molto lontano dal nostro film, una cosa decisamente fuori da quello di cui parliamo nella storia, per cui mi sembrerebbe inutile tirare fuori una mia opinione su un argomento così delicato come questo.
C’è una fetta di popolazione che non vede di buon occhio chi porta un’uniforme. Essendoti messo nei panni (anzi, proprio nella divisa) di uno di loro che effetto ti fa?
Le persone che noi abbiamo ascoltato sono le prime a essere molto arrabbiate quando si parla di abusi. Detto questo, se poi ti avvicini alla loro quotidianità c’è una frustrazione molto forte che è dovuta anche alle condizioni di lavoro. Andare ad analizzare le ragioni storiche cui ci può essere un’avversione nei confronti della divisa nel nostro Paese non è semplice, sono talmente profonde e diversificate. Bisognerebbe essere degli storici e dei sociologi per approfondire la questione, e sarebbe molto interessante farlo, ma il film racconta una questione personale tra l’altro di una persona generalmente stimata, per cui magari abbiamo scelto un caso a parte ma in questo caso quella meccanica lì non c’è.
Visto che spesso si strumentalizzano politicamente anche le scelte artistiche, hai pensato a qualche rischio legato all’indossare la divisa e a interpretare un poliziotto, venendo magari associato a un governo di destra?
Ma no, anche perché questo non è un film di denuncia sociale. È un film di genere, un thriller, e al centro di questo film c’è un personaggio che può essere ispirato alle vicende di un uomo che per 35 anni è stato in polizia e allo scoccare della pensione decidere di fare qualcosa al di fuori di quello che ha fatto fino a quel momento, ma non è un film di denuncia sociale, il nostro. È un film di intrattenimento bello, molto piacevole, un vero show al centro del quale c’è un poliziotto, come molto spesso capita a film americani che quando si vanno a criticare o a vedere non pensiamo assolutamente che trattino del problema della polizia o del rapporto che gli americani hanno con la polizia, o che Denzel Washington rappresenti un sindacato. Ecco, se noi riuscissimo anche a goderci ogni tanto quello che facciamo non sarebbe male.