Ricomincio da Massimo. C'è un momento preciso della mia infanzia in cui sono certa di aver sentito accanto a me la presenza di Troisi. Non il Pulcinella senza maschera, non il comico dei sentimenti, ma proprio lui, Massimo, come un amico che ritorna e non sai per quanto tempo resterà. Fu una domenica coi parenti e una visione casuale di Ricomincio da tre. Nonni, zii, conoscevano le battute a memoria. Ma io no, e non ero pronta. Silenzio, prima scena. Il richiamo di Lello (Lello Arena) a Gaetano (Massimo Troisi) in quel palazzo sostenuto da impalcature di legno (seppure abitato) mi fece ridere così forte e senza capire perché. Ipnotizzata per tutta la durata. E “vieni, vieni” vaso, se vieni mi risolvi tutti i problemi. Vado in Tv e divento famoso. “Ma mammina dice che io ho i complessi nella testa. ‘E foss' 'o Dio, quali complessi! Tu tieni l'orchestra intera 'ncapa, Robbe'!”
Alla fine quel film l'ho rivisto decine di volte, come buona parte della sua produzione, recuperata negli anni. Gli inizi con il trio La Smorfia (Lello Arena, Massimo Troisi, Enzo Decaro). “Annunciazione, annunciazione, tu Marì Marì, fai il figlio di Salvatore, Gabriele ti ha dato la buona notizia...”. E poi Scusate il ritardo - perché ci ho messo tre anni per farlo - usato pure come striscione per il secondo scudetto del Napoli. “Meglio un giorno da leone o cento da pecora? Facciamo cinquanta da orsacchiotto e non ne parliamo più”. E la lettera di Non ci resta che piangere (film culto con Roberto Benigni), e le risate amare, tra padre e figlio in Che ora è? con Marcello Mastroianni. “Ricordati che devi morire” e “Sì, mo’ me lo segno”. E il testamento umano e spirituale de Il Postino, che gli valse una nomination agli Oscar…
È difficile dimenticare Troisi, quel suo modo di parlare cadenzato dal dialetto, ma comprensibile pure a chi di Napoli non sapeva niente, quei tempi fenomenali, le mani che si muovevano sempre, i capelli ricci, il sorriso accennato, e poi quella timidezza che traspariva in ogni momento, la fronte pronta a crucciarsi e le battute solo all'apparenza leggere, ma misurate e intelligenti, e la straordiaria (e proficua) amicizia con Pino Daniele. Troisi si ama, impossibile sostenere il contrario. Eppure è strano immaginarlo nel paradosso contemporaneo della sovraesposizione. Magari oggi avrebbe detto pure lui la sua sulla crisi dei Ferragnez, oppure più intelligentemente avrebbe glissato con una battuta. Pensavo fosse amore... invece era un calesse. Per non parlare delle presunte censure sanremesi odierne, lui che al Festival fu censurato per davvero. E infatti rifiutò di salire su quel palco. Era il 1981, post sisma dell'Irpinia. “Mi hanno detto di fare tutto, tranne parlare di religione, di politica, di terrorismo, terremoto, perché sai adesso il Paese sta in una situazione un po’ così, e così sono indeciso fra una poesia di Giovanni Pascoli e Carducci”.
E chissà cosa avrebbe detto di tutte quelle fiction girate sulla sua città, obbligatoriamente con Vesuvio sullo sfondo, circondato dai luoghi comuni che combatteva abilmente. “A Napoli c’è il sole, pensano lo sappiano tutti quanti, mica un sole normale, piccirille, no, ce sta ‘nu sole accussì. A Napoli non piove mai e mica è bello. Ho un impermeabile a casa, nuovo, mai messo, sta ancora nel cellophane”. Già, Troisi era oltre, in quella schiera di comici capaci di schiaffare in faccia alla gente la brutale realtà, smantellando ogni cliché. E ancora, le sue interviste, un manuale da studiare per ogni star, vera o presunta. “Il governo americano aiuta il cinema, ma non come in Italia, qui danno le idee. Gli americani fanno le guerre per farci i film…”. Che messaggio potente. Altro che semplice commedia, il suo era realismo italiano, universale, per questo patrimonio culturale eterno. Massimo Troisi era, è stato e sarà questo. Tutte queste cose insieme.
Ma inevitabilmente siamo ai titoli di coda, che compito ingrato scrivere di lui, nessuno è degno. Eppure, se potessi incontrarlo oggi, nel 70esimo compleanno che non c'è, una confessione gliela farei. Se posso essere sincera... ’O ssaje comme fa ’o core, Massimo non te ne sei mai andato veramente.