Certo, il loop temporale è la chiave narrativa centrale in Era Ora. Il tempo è il titano onnipresente e onnipotente, maestro di cerimonia e ospite indesiderato. Ma non è l’unico aspetto che merita di essere raccontato. Il film, infatti, ci parla di come la vita sia composta da pezzi imperfetti, impossibili da completare senza fatica. L’inizio è esemplare: frase di Winnie the Pooh in apertura, prima scena di un corridoio metallico stile astronave di Odissea nello spazio e poi festa a luci strobo. Come si tiene insieme tutto questo? “Non siamo fatti per stare insieme”. Quante volte abbiamo sentito questa frase al cinema, sempre usata per descrivere amori falliti, magari dopo innumerevoli tentativi. Situazioni, però, sempre circoscritte: casi individuali che non mettono in dubbio l’esistenza, da qualche parte, della propria metà. Il problema è che non possiamo aspettarci di trovare degli incastri immediati. L’amore è fatica, come lo è anche l’amicizia.
I singoli personaggi sono frammenti di un puzzle che ha bisogno degli altri per essere portato a compimento. Frammenti, però, tutt’altro che immutabili: le loro forme vengono incrinate dagli incontri/scontri con le vite degli altri, creando di volta in volta delle spaccature da smussare. Se fortunati, trovano qualcuno così paziente da limare con dolcezza i loro profili, così da facilitare le combinazioni. Come Alice (Barbara Ronchi) che in ogni modo ha cercato di adeguarsi all’ambizione di Dante (Edoardo Leo), quarantenne in balia delle malebolgie della vita. Ed è proprio il suo quarantesimo compleanno che si trasforma in un buco nero che attraverserà ogni 24 ore ritrovandosi ogni volta più vecchio, sempre diverso. Svegliandosi con una figlia che non si ricordava di avere, chiamata Galadriel da Alice (che pazienza…). Talvolta legato a persone inaspettate come la sua segretaria (Francesca Cavallin): perché si, nel frattempo è diventato direttore dell’azienda per cui ha sempre lavorato. Pezzi inconciliabili, che faticano ad integrarsi e per questo si allontanano.
Per fortuna c’è Valerio (Mario Sgueglia) che almeno versa da bere al nostro Dante. Nella parte di un Virgilio un po’ sbronzo, Valerio accompagna l’amico nel percorso della vita. Anzi, sulla via della perdizione. Perché l’unico modo che Dante ha di salvarsi è perdersi. O meglio, distruggersi: smontare l’immagine di se stesso per non pensarsi più come una forma immutabile. Vuole salvare il mondo, ma finisce con il perdere tutto. Tutto tranne il lavoro, mezzo per un fine (ovviamente, la stabilità economica della famiglia) che diventa fine in sé e, quindi, un fuoco che si alimenta lasciandogli terra bruciata intorno. Ossessionato dal “dover essere”:efficiente, un buon marito e diverso da come era suo padre (Massimo Wertmüller), ormai vecchio e malato di Alzheimer. Dimentica tutto anche Dante. Cambia macchina, vestiti, barba, baffi, capelli e l’arredamento di una casa sempre più vuota. Ed è forse alla fine, dopo anni perduti, che la frantumazione di Dante ottiene finalmente l’effetto necessario: ridotto ad un frammento minuscolo, infinitesimale, talmente piccolo da poter finalmente penetrare ogni armatura e potersi per questo assemblare con altri pezzi, formando composizioni imperfette ma compiute. Con gli altri, amici e amori, schegge in cerca di compatibilità.
Insomma, Era ora è un film leggero ma in cui tutto funziona a meraviglia e dove l’intero cast è eccezionale. Un film che non parla solo di tempo, tema a cui il cinema non sa proprio rinunciare, ma che insiste su una necessità: deformarsi, perché solo così possiamo trovare gli altri tasselli del mosaico che è la vita. Concedendo, quando è inevitabile, che chi amiamo scelga il nome di nostra figlia, anche sapendo che quel nome sarà la ragione della futura psicoterapia. “Non siamo fatti per stare insieme”: è vero, nessuno è di per sé fatto per stare con qualcun altro. È la vita che modella le nostre forme. Vale la pena confidare che concedendo all’esistenza il diritto di spezzarci, romperci o dividerci potremo assumere profili complementari rispetto a quelli di coloro che amiamo. Costruendo così configurazioni uniche, instabili e, per questo, solo nostre.