Madame e “L’AMORE” (Sugar Music). Storia conflittuale, per nulla fluida, se usciamo per un attimo dall’accezione gender del termine. Tanto che Madame, alla seconda prova del fuoco, sull’amore crea un manifesto, un album-dichiarazione, un disco in cui vetta e abisso non sono mai troppo distanti l’una dall’altro. Una fotografia imperfetta scattata da una 21enne che vanta già due edizioni del Festival di Sanremo vissute da protagonista (“Voce”, a tutt’oggi, resta forse il suo brano migliore). Una ragazza che vive sulla propria pelle, in diretta, il travolgente affetto di quella schiera di fan che l’altro pomeriggio, ad esempio, si sono sciroppati anche tre, quattro ore di fila per farsi firmare il cd o il vinile al Mondadori Store. E qui entra in campo un altro dettaglio, forse decisivo per capire la fortunata sorte di questo “L’AMORE”: il serpentone di gente che scorreva lentamente all’ombra del Duomo di Milano contava adulti, giovani, ma, soprattutto, una fiumana teen. Ragazzini ancora acerbi, facce pulite alla ricerca di un brivido e di una risposta. Da un disco che contiene anche versi come, ehm, “Io sono donna sì, ma nella scorsa vita avevo il cazzo. E lo so da come sono yin e sono yang, e sono Jung” (“Donna vedi”) o “Ho la fica coi semi, ti strapperei i capelli per strappartene il pensiero. Ho un succo che mi scende alle calcagna mentre penso che mi succhieresti rumorosamente come fai con l’ostrica” (“Respirare”). Help. Pur trascurando – quasi fosse un dato ormai biecamente novecentesco – l’eventuale pruderie di un genitore che si trova ad accompagnare il figlio o la figlia al suddetto firmacopie milanese, il disco, nel comparto testi, presenta più di un problema. A tratti troppo ermetico, involuto, tanto da offrire alcuni inattesi sfondoni.
Perché se Madame ha ogni sacrosanto diritto di giocare con lo scambio dei ruoli, le libere associazioni, versi che sembrano stati accatastati di getto, come scaturiti da un flusso di coscienza, i salti carpiati di “Per il tuo bene” (ottime, peraltro, sia la melodia che l’interpretazione) necessitano chiarimenti: “Mi farei figlio soltanto per essere pregna di te”. Qui mi arrendo, datemi una spiegazione. Nello stesso pezzo: “Ti farei vedere i miei seni cadenti per farti capire che conta e che no”. Accettiamole pure come licenze linguistiche estreme, sebbene a sfuggire sia il senso, ma in “Avatar” qualcosa non torna sul serio: “Chiudi gli occhi e arrenditi, senti il corpo lievitare. Prendi il volo”. Va bene che il pubblico di Madame quando va a un concerto, giustamente, lo Zanichelli lo lascia a casa, ma i testi dell’intero album sembrano stati come trascurati, quasi fosse mancata una supervisione finale. Supervisione, ad esempio, che pare evidente non sia mancata nel comparto sonoro. A parte “Quanto forte ti pensavo”, pastiche in cui la prima Motown incontra i nostri anni ’60 canzonettari (la produzione di Shablo e Vincenzo Luca Faraone somiglia a quelle del primo Mark Ronsonfase Amy Winehouse), “L’Amore” vanta suoni e soluzioni quasi impeccabili, dalla simil-Bossa di “Come voglio l’amore” all’essenzialità ipnotica di “Milagro-A Matilde”, passando per quel campionario di effetti e illusioni che oggi sono de rigueur in ogni produzione pop che possa dirsi contemporanea e commercialmente competitiva. E Madame? Mischia amore, affetto e sesso come è giusto che sia, non si risparmia nulla ma proprio nulla (“Pensavo a”, lo skit, è la parentesi hard del progetto), salta da un punto di vista all’altro, manda in sollucchero il popolo LGBT, spesso canta molto molto bene e indugia su soluzioni melodiche che talvolta rischiano, fino all’ultimo, di ricondurla dritta dritta in mezzo a “Voce”.
Ci crede tantissimo, Francesca Calearo, e fa bene. Il talento è lì, ma necessita di continuo nutrimento. Come quello garantito dal pool di produttori che hanno forgiato il composito sound de “L’AMORE”. Dardust gioca con la pizzica ne “La festa delle crude verità”, Dario Pruneddu e Emanuele Nazzaro spingono la base old-school di “Pensavo a…”. Da Shablo e Faraone, a sorpresa, arrivano i momenti più delicati e avvolgenti (“Il mio nuovo maestro” – che contiene tracce di splendido minimalismo epoca “Face value” di Phil Collins –, ma anche “Per il tuo bene”). Fa tutto parte del rutilante saliscendi di cui accennavamo in apertura. Le vette, gli abissi. “L’AMORE” è un disco disomogeneo come il concetto che ambisce ad esplorare. Madame ci ha messo tutta sé stessa in questo tortuoso viaggio. I fan lo hanno già capito e in estate, come il 21 ottobre al Mediolanum Forum di Assago (ultima data aggiunta), i concerti saranno una festa di lacrime e urla con una Francesca che, davanti a tanto AMORE, non potrà che inchinarsi commossa. Resta da capire, in tutto questo, il possibile ruolo di un ascoltatore attento ma non prostrato, di chi assiste a questo show senza troppo strepitare. Forse involontariamente, divertendosi con descrizioni grafiche e suggestioni forti, Madame – con quei 21 anni che un tempo erano considerati la vera età matura – parla anche di noi adulti, continuamente infilzati dalla Gen Z per la nostra propensione a estrarre dal passato i soliti santini con i quali confrontare tutto e tutti. La stessa Gen Z che però ci chiede il biglietto per il concerto di Madame, che ci chiede di regalarle un album-sfogo a tinte “vietate ai minori” senza battere ciglio. E che odierebbe questo rimarcare i “lievitare” e i “figli pregni”.