Parliamoci chiaro: non me ne frega molto di prendere macchina o treno che sia, recarmi in uno di questi paesi incastonati fra mare e montagna (dove in genere si svolgono i festival principali) , scendere per guardarmi due o tre mostre al volo e poi tornarmene a casa. La fotografia è molto più del semplice far presenza in un posto tanto per dire che ci si è stati, bisogna entrarci proprio dentro.
Ecco perché vi voglio raccontare la mia esperienza all'ultimo SIFEST di Savignano sul Rubicone.
Innanzitutto, è bene dare valore a ciò che si va a vedere, in questo ci vengono incontro gli stessi curatori a partire dalle mostre. Il primo elemento di una mostra è che le foto sono appese, stampate e fisiche. E questa è già una gran cosa. Ma in quante occasioni avete potuto togliervi curiosità su un lavoro direttamente con un Denis Curti, che introducendoti il lavoro di un Gabriele Basilico ad esempio, ti narra del dietro le quinte col suo banco ottico nelle fabbriche di Milano? Di quanto fosse difficoltoso a dispetto del genere reportage, del suo passaggio ad Hasselblad… e via dicendo.
AL SIFEST di quest'anno, che poi era la 29eima edizione (pare sia il più longevo festival di Fotografia in Italia) ogni mostra era raccontata. Arianna Arcara ha esposto il suo lavoro CIAO VITA MIA, vincitore dello scorso premio Marco Pesaresi, sui bambini catanesi nei quartieri malfamati siciliani e anche lei lo ha illustrato personalmente. Tra i lavori che hanno avuto più successo al weekend di apertura, c'era sempre la fila fuori.
Anche ai bambini di Savignano è stato insegnato il valore della Fotografia: ho visto alunni dagli 8 agli 11 anni, seduti in semicerchio per terra, confessare il loro amore nello stampare le proprie foto. Una bambina dice che le piace metterle in un grande salvadanaio e seppellirle sottoterra. Perfino il sindaco, Filippo Giovannini, è esperto di fotografia e ne parla con i bambini proponendo loro collaborazioni attive. Sarebbe un sogno se in ogni scuola elementare ci fosse uno spazio dedicato all' “educazione alla Fotografia”.
Veniamo ai talk. Per alcuni è “blablabla”. Soprattutto per chi dà molta importanza al mezzo ma si cura meno di ciò che c'è dietro una buona fotografia. Io partecipo ai talk volentieri. Mi rilassano e li trovo “musicali”. Sarà che mi culla felicemente quel riflettere sulla fotografia, chiudere gli occhi sulle note di “la fotografia addosso, nel senso che bisogna viverla h24, deve uscire dalla pelle, non è una semplice passione”. Ricordare così l'autore di questa frase, il fotografo Marco Pesaresi, sapere che è morto anni fa ed è fortemente compianto dal popolo Romagnolo tanto da dedicargli un concorso con premiazione.
E il premio quest'anno l'ha vinto la giovane Giulia Gatti col lavoro itinerante, dove racconta la sua visione di madre cercata in giro per il mondo. Poetico, forte e intimo in bianco e nero. Lo vedremo esposto al prossimo festival con una mostra personale.
Mi è piaciuto ascoltare la professoressa Federica Muzzarelli che con il suo tono roco e femminile, tipico di chi ha insegnato tanto, spiega “le forme del Ritratto” introducendo il Dagherrotipo e l'auraticità con cui nasce il ritratto fotografico dopo quello pittorico.
Mi è dispiaciuto arrivare ad un quarto d'ora dall'inizio del talk di Giovanna Calvenzi (ai festival ci sono talmente tante cose da fare che a volte è difficile star dietro a tutto) e scoprire che era già finito perché non ci sono state molte domande. Un'emozione enorme poterle stringere la mano (dopo mi ha versato la sua amuchina, preferisce fare così piuttosto che toccarsi coi gomiti o i pugni).
Qui veniamo ad un altro aspetto importante, che sono le pubbliche relazioni.
Dai big al fotoamatore che arriva sul posto con due corpi macchina alle spalle, rispettivamente con due obiettivi diversi montati sopra (per “cogliere l'attimo” più in fretta), è bello confrontarsi con tutti e queste sono le migliori occasioni per farlo.
Forse qualcuno non ci crede, ma i fotografi e tutti i vari personaggi invitati a questo tipo di eventi non sono come uno se li immagina. Talvolta li scopri più empatici e colloquiali del tuo vicino di casa. Roba che se te li trovi accanto al bancone del bar ti offrono pure il caffè (magari solo perché il barista si è sbagliato e doveva fargli il cappuccino e quindi lo avrebbero fatto anche se fossi stata maschio e di 80 anni). Se ci penso in 20 anni il mio vicino di casa non mi ha mai offerto un caffè. Questo per dire che spesso persone che riteniamo inavvicinabili sono più empatiche e disponibili del tuo vicino di casa.
Per non parlare del patron del festival, Mario Beltrambini, un signore pacioccone e sempre allegro (Ciao Mario!!!). Vi racconterò più avanti di com'è stato finire a cena con persone di un certo rilievo nel campo della fotografia e passare del tempo con loro, per raccontare il lato umano che va oltre la vendita del loro ultimo libro o corso che sia. Dettagli che per cause esterne non sempre arrivano a chi li segue da fuori.
È stato piacevole parlare con i fotografi che hanno lo stand in piazza, i ragazzi di Cesura con il loro banco e i libri autoprodotti. Ho anche incontrato un ragazzo che vendeva foto di rullini presi da macchine fotografiche usate che poi ha stampato. Dentro storie di gente sconosciuta. Me ne ha regalata una con una dedica.
Le letture portfolio. Fondamentali e soprattutto una gran fortuna per chi fa fotografia.
Il fatto che con poche decine di euro si abbia la possibilità di far valutare il proprio lavoro da gente che nella minore delle ipotesi lavora per riviste e quotidiani di settore, nazionali e internazionali, se non addirittura docenti pluriennali e fondatori di case accademie fotografiche, ottenendo così dei feedback personalizzati e super partes sul proprio percorso, per me è una delle più grosse figate di questi eventi.
Sono molto a favore delle critiche e ben meno dei complimenti gratuiti, quindi capirete il valore che gli attribuisco.
In quel momento stai pagando per avere un maestro, per giunta che puoi scegliere, che in quei minuti è il tuo consigliere, mentore, giudice e amico. Dovremmo farci analizzare da esperti già nella la vita di tutti i giorni, la fotografia non è da meno. Anzi, completa perché è psicologia pura.
In pratica una lettura portfolio è una mini-sessione di psicoterapia.
Al SIFEST le letture di Giovanni Pelloso, della stessa Calvenzi, di Arianna Arcara, Tony Gentile, Francesco Zizola, Tony Gentile e altri autori hanno dato un forte contributo.
Caratteristica evidente del Festival di Savignano è stata il coinvolgimento attivo dell'intero comune, dai bambini ai più anziani.
Gli organizzatori consegnavano le foto agli abitanti da stendere ai balconi con le mollette, come grandi lenzuoli, sul fiume le stampe formato gigante che si vedevano da lontano sul ponte, foto sulle scalinate e alle vetrine dei negozi. L'aria che si respirava era fotografica al 100%. Anche i volontari (dipende molto dal settore a cui si iscrivono) possono imparare qualcosa. Come una ragazza addetta alle riprese video, che ho visto soddisfatta di avere fatto un sacco di pratica come videomaker. Questo grazie agli addetti ai video, che le hanno insegnato i segreti del mestiere. Una sorta di corso con tirocinio incluso. Il lavoro dietro le quinte è davvero tanto e più si è collaborativi, migliore è il risultato.
Certo è che in un momento storico come questo (Covid eccetera) non era scontata questa risposta da gente non solo Romagnola, ma anche da altre parti d’Italia. Feedback positivo all'evento.
Mostre ancora aperte nei weekend del 26-27 settembre e del 3-4 Ottobre 2020.